Il Topo che diventò un Leone Onnigrafo Magazine

Il Topo che diventò un Leone

C’era una volta una Savana un po’ particolare, che poteva quasi definirsi una giungla. Non era certo piena di alberi e umida come una giungla vera, ma era abitata da animali particolarmente antipatici e troppo pieni di sé, tanto che ad ogni dialogo che si cercava di fare uscivano fuori sempre litigi e chiacchiere dietro le spalle, nemmeno fossero stati tutti babbuini e avessero imparato la sola arte di sciommiottare. Quando si parla di animali esotici spesso si sbaglia a definire dove essi vivano davvero, ed ecco che il leone, definito in altre favole il re della foresta, invece preferisca abitare proprio nella savana, sotto il sole cocente in un cielo azzurro, a bearsi un bel cosciotto di gazzella o di antilope.

Accadde un giorno in questa savana un evento lieto: la nascita di un nuovo leoncino. Tutte le leonesse accorsero ai piedi della rupe dove la leonessa stava con il suo cucciolo, per complimentarsi con lei e portare un saluto. Il via vai di felini durò più giorni, come sempre accadeva quando nasceva un cucciolo, arrivavano, posavano qualcosa da mangiare per la madre, facevano due chiacchiere guardando il leoncino e andavano via.

Questo leoncino era a tutti gli effetti un leoncino bellissimo, aveva un meraviglioso pelo lucido e i suoi occhi erano grandi e blu come la notte. Appena fu abbastanza grande la mamma lo portò a giocare con gli altri leoncini della savana, ma il suo piccolo era un po' timido e restava in disparte, fino a quando un giorno accadde che altri cuccioli iniziarono a prenderlo in giro, perché stava sempre in silenzio, e alla fine lui provò a ruggire, ma invece di un Roarr uscì fuori una specie di Miao piccolo piccolo e i leoncini si misero a ridere, incuranti proprio come tutti gli animali di quella svana giunglosa. Come se non fossero bastate le risate dei cuccioli ci si misero anche un paio di grandi leonesse a burlarsi del piccino: “Ma questo non è un leone! Questo è un gatto, senti come miagola!” E l’altra a seguire: “Macché gatto! Questo è lo squittio di un topo!”

E da quel giorno il leoncino venne chiamato da tutti Topo, alcuni lo facevano per abitudine, non di certo per disprezzo, fatto sta che il leoncino era diventato ancora più timido. Ma la sua mamma era davvero una leonessa, una di quelle forti e coraggiose e non sopportava che il suo cucciolo venisse preso in giro. 

La leonessa andò allora alla pozza degli elefanti a parlare con i più anziani di questa situazione, sapeva quanto gli elefanti fossero saggi e spiegò per filo e per segno a quei grandi pachidermi, cosa stesse accadendo. Gli elefanti presero a cuore il leoncino e decisero che lo avrebbero aiutato a ruggire come tutti gli altri leoni, perchè oltre ad esserci un modo per farglielo fare, non sopportavano queste bertucciate che facevano gli altri leoni. Ogni giorno la leonessa si allontanava dal suo branco per andare con il suo piccolo dagli elefanti saggi che, più che far parlare il cucciolo, si divertivano a trascorrere del tempo con lui raccontandogli incredibili favole. Topo ascoltava curioso, poi tornava dalla mamma che puntualmente gli chiedeva cosa avesse imparato. Topo raccontava le stesse storie, dimostrando di aver imparato ogni lezione degli elefanti, ma di ruggire non se ne parlava proprio. 

Allora la leonessa si rivolse alla giraffa col collo più lungo, che le spiegò che la voce deve partire dalla pancia, che eve essere sempre bella piena e quindi ci vuole un po' prima che esca fuori, certo questo valeva per la giraffa che aveva il collo lunghissimo e quindi la bocca lontana dalla sua pancia, ma la leonessa volle darle fiducia e iniziò a far mangiare di più il suo cucciolo e a portarlo ogni giorno da lei. Anche la giraffa si divertiva a raccontare storie al leoncino, erano storie che venivano dall’alto e raccontavano di grandi prati e di cieli azzurri. Topo tornava a casa e ripeteva la lezione appena imparata alla sua mamma mentre mangiava a quattro ganasse, ma di ruggire non se ne parlava affatto.

Allora la leonessa decise di rivolgersi alle scimmie che vivevano sulle piante, queste accolsero il cucciolo con allegria e dissero alla mamma che era troppo gracile, che mangiare di più andava bene ma che doveva fare anche tanto movimento. Così la leonessa portò ogni giorno il suo piccolo dalle scimmie, che lo facevano giocare e divertire tantissimo, saltava tutto il tempo e si dondolava sulle zampe, ma di ruggire nemmeno l’ombra.

Ma la leonessa non voleva rassegnarsi, il suo cucciolo continuava a squittire anziché ruggire, e tutti nella savana ridevano di loro, della leonessa e del suo Topo.

Fino a quando la leonessa capì che i suoi amici animali avevano lavorato bene, ma che ora toccava solo a lei finire il lavoro. E così ogni mattina la leonessa e il suo cucciolo si alzavano all’alba e andavano lontano per fatti loro. La mamma e il suo piccolo restavano ore l’uno di fronte all’altro, la mamma ruggiva mostrando al suo piccolo come fare e Topo provava e riprovava. Giorno dopo giorno. Mamma leonessa faceva mangiare il suo cucciolo, lo faceva giocare, gli raccontava storie, sempre sorridendo.

Finché un giorno, nel bel mezzo dei giochi dei cuccioli del branco, arrivò Topo di fianco a sua madre e non appena gli altri iniziarono a prenderlo in giro, il cucciolo guardò la sua mamma che lo incoraggiò con un sorriso e lui intonò un ruggito altissimo, un ruggito da leone grande, grandissimo! 

Da quel momento nessuno si permise più di chiamarlo Topo, era diventato Leone, un leone vero, forte e coraggioso.

Proprio come la sua mamma.