Pietre, Il vampiro Onnigrafo Magazine

Pietre, Il vampiro

Nel paese vecchio c'era un gruppo di case chiamate “le case nuove”. Si chiamavano così perché erano state costruite al di fuori del continuo delle mura antiche. Avevano una forma diversa ed erano addossate tra loro con all'interno un piccolo cortiletto con qualche pianta cresciuta spontanea sulla terra sabbiosa.
Ma dopo più di sessant'anni dalla loro costruzione, tanto nuove non erano più.

Sulla strada davanti alle case nuove i bambini al pomeriggio giocavano spensierati, passava di rado qualche carretto, e loro erano liberi di fare quel che volevano. Giocavano. Si tiravano sassi per dispetto. Formavano piccoli crocchi per sparlare l'un l'altro. Mangiavano soddisfatti i frutti rubati dai giardini incustoditi.

Soraya non aveva molto da condividere. Se ne restava spesso seduta su uno scalino in attesa che qualche bambino la notasse e le parlasse. Aspettava paziente che magari qualcuno dei suoi cugini si accorgesse della sua esistenza e si muovesse a compassione invitandola a giocare. A volte si avvicinavano quasi con scherno. Le parlavano usando le parole più insolite e il loro dialetto diventava una lingua sconosciuta. La deridevano insultandola senza farsi capire da lei, anche se la bambina capiva ugualmente dalle loro espressioni.

Talvolta un suo cugino più grande, l'unico, arrivava in suo soccorso. Le portava una caramella, stava seduto con lei qualche minuto regalandole grandi sorrisi e poi veniva di nuovo risucchiato dal vortice dei ragazzini della piazzetta.

Ma un pomeriggio faceva troppo caldo per restare ferma al sole, era sempre più rossa e intristita, quelle giornate in paese non le piacevano affatto, preferiva la campagna. Soraya si allontanò dal gruppo e iniziò a percorrere il perimetro delle case nuove. Aveva fatto appena metà strada quando dei bambini le corsero dietro e la fermarono prendendola per le braccia.

“Non ci devi andare laggiù! Li ci abita un vampiro! Se ti vede ti ammazza!”. Ma Soraya era meno ingenua di quello che pensavano quei bambini. “Non esistono i vampiri in Calabria!”

Ma i bambini con aria di chi vuole davvero terrorizzare continuavano a tenerla ferma. Non doveva andare. Una bimba allora mossa forse dalla paura di doverla seguire oltre andò a chiamare suo cugino.

Il ragazzino arrivò di corsa affannato. Prese la bambina per mano con fare preoccupato e se la portò via a sedere poco lontano.

“ci abita un vampiro per davvero lì. È brutto. Esce solo quando è notte perché il sole potrebbe ucciderlo. È cattivo. Si mangia i gatti randagi ma se incontra di notte una persona la prende e la strozza e poi si beve il sangue. Non ci devi andare laggiù hai capito? Promettimelo.”

Soraya finse di credere a quel racconto assurdo, aveva letto da qualche parte di un certo vampiro ma era sicura non potesse esistere in quel paese. E poi sua nonna glielo avrebbe detto di sicuro. Sapeva che andava lì a giocare quando stava in paese, se fosse stato vero l'avrebbe messa in guardia lei per prima. Ma fece spallucce e si allontanò dalle case nuove senza replicare.

Il caldo si era fatto opprimente e piuttosto che passare ancora giornate a casa si preferiva andare al mare. Soraya si dimenticò del racconto ascoltato e non chiese spiegazioni a nessuno. Ma poi una mattina il cielo diventò nero e il mare gonfio e spumoso. E andare a trovare gli zii in paese era la cosa migliore da fare. Un forte temporale lavò le strade. Le discese erano rivoli di fiumi impazziti e le scalinate rimbalzi e cascate d'acqua sporca dalla sabbia accumulata dalla troppa siccità.

Il silenzio era rotto solo dallo scrosciare intenso dell'acqua sulle pietre. Da dietro i vetri nelle case si stava ammutoliti a guardare quel temporale estivo. Sembrava quasi freddo, sembrava quasi autunno. Buio e acqua. Ma a differenza dei normali acquazzoni d'agosto, smise di piovere ma il cielo restò cupo e chiuso.

Soraya prese il suo cane e lo portò fuori a far due passi. Le strade erano fresche e odoravano di pietra e terra. Non c'era anima viva e quel maglioncino di cotone sul vestito leggero era piacevole. Il cane prese la strada della piazzetta dei giochi e senza nemmeno pensarci la bambina si ritrovò a girare l'angolo delle case nuove. C'era un porticato alto e largo e da qui si poteva vedere il cortile interno. Soraya si soffermò a guardare e le venne in mente il racconto di qualche giorno prima. E vide qualcuno.

Oltre l'ingresso del cortile c'era qualcuno seduto di fuori. Era un ragazzino. Aveva dei pantaloncini corti blu e una maglia bianca con le maniche arrotolate fin sopra le spalle. La sua pelle era bianca come le mandorle e i suoi capelli sembravano come d'argento. Soraya si nascose dietro l'angolo del portone sperando di non esser vista mentre lei guardava. Ma il suo cane rimase lì davanti e il ragazzino lo chiamò con un verso buffo che lo attirò verso di lui. Soraya seguì il suo cane spaventata… anche se non era un gatto magari poteva mangiarlo!

Ma i cani fiutano il pericolo ecco perché si avvicinò trotterellando al quel ragazzino e gli leccò la mano tesa a fargli una carezza.

“ciao. Scusa il mio cane è corso qui. Non volevo disturbare”. Soraya più che impaurita era imbarazzata. Quel ragazzino aveva la pelle più chiara della sua. E quando sollevò il viso per guardarla vide gli occhi più azzurri che avesse mai visto. “non mi disturbi. Io stavo qui a prendere un po’ di aria. Sono sempre solo.”

Aveva 13 anni. Era albino. Era nato pallido e con i capelli d'argento dove tutti erano scuri abbronzati e con i capelli color dei corvi. Era il vampiro. Non poteva uscire di giorno perché il sole bruciava la sua pelle fino a farlo stare male. E invece che aiutarlo a superare questo suo problema, la famiglia aveva pensato bene di rinchiuderlo in casa e lasciarlo vivere nella totale solitudine. Aveva gli occhi di vetro per quanto erano chiari e tristi. Le mani delicate dal troppo far nulla. Parlava benissimo in un italiano perfetto perché la sua unica compagnia erano i libri. Era lui il vampiro. Sua madre gli permetteva di uscire davanti casa solo quando fosse completamente buio. Di giorno soprattutto in estate anche le tende dovevano essere chiuse in casa e nessuno doveva vederlo, altrimenti lo avrebbero preso in giro. E invece di prenderlo in giro i bambini gli davano del mostro. Non aveva amici quindi. Non aveva nulla se non il suo carcere.

“anche a me piace poco stare al sole. Ho la pelle chiara e mia madre deve riempirmi di crema perché altrimenti mi scotto”

“si in effetti sei un po’ pallida!”. I due scoppiarono in una risata fragorosa. La madre dell'albino uscì fuori incapace di comprendere cosa stesse succedendo.
“mamma non preoccuparti. È una mia amica!”

E così fu. Soraya non aspettava più che qualcuno venisse a prenderla in giro quando stava nella piazza dei giochi. Prendeva il suo cane e a testa alta senza guardare nessuno girava l'angolo delle case nuove e si infilava nel grande portone. Gli altri dicevano che era pazza e andava dal vampiro. A sua nonna invece raccontava che andava a trovare un amico. E che la sua mamma preparava delle merende buonissime a quei due visi pallidi.