In fondo alla strada principale del paese, in una grande casa con la facciata in pietra e bellissime ringhiere ai balconi, abitava una famiglia con cinque figli maschi e tanta terra da poter sfamare mezzo paese.
Con tanto benessere accadde, però, che il quarto figlio si ammalasse, da bambino, di una strana febbre; una febbre che lo consumava per giorni e notti e, nonostante il denaro speso per chiamare i migliori medici dai paesi vicini, il bambino continuava a star male.
Quando finalmente la febbre se ne fu andata, il bimbo ricominciò a crescere sereno, ma poco pasciuto.
Eppure, mentre cresceva, la sua mamma, attenta e premurosa, si accorse che una delle sue gambe continuava a rimanere più piccola dell'altra.
E così Giannetto diventò grande, ma la sua gamba destra restò visibilmente più piccola, tanto che il ragazzino, sebbene riuscisse a camminare, zoppicava in modo evidente.
Ogni mattina i suoi fratelli si alzavano ancora con il buio e assieme al padre prendevano le loro sporte con il pranzo e andavano in campagna, ognuno in un posto diverso, perché si sa, l'occhio del padrone ingrassa la bestia.
Giannetto invece se ne stava a letto fino a quando suonavano le campane della prima messa. Rimaneva accoccolato tra le coperte in attesa che sua madre gli portasse la colazione a letto.
La madre, in cucina già da prima del sorgere del sole, aveva preparato gli abbondanti pranzi per i lavoratori e la colazione per Giannetto. Oltre alla zuppa di latte e caffè e torta con uva passa, ogni santo giorno sbatteva con premura e dovizia un ovetto fresco con dello zucchero per il suo malatino, e lo faceva stando in piedi su una gamba sola, perché è risaputo che un buon zabaione fa crescere bene, e di certo uno zabaione fatto su una gamba sola fa crescere bene la gamba più corta di chi lo beve.
Dopo averlo rimpinzato ben bene, aiutava il figliolo a lavarsi e a vestirsi, indossando sempre panni puliti: mai un rattoppo sui suoi vestiti, mai un filo tirato dai suoi maglioni, mai un capello spettinato. Quando, poi, il figlio cominciò a diventare più grande e a farsi uomo, si occupava lei stessa di fargli la barba, anche se viene da chiedersi come mai il fatto di avere semplicemente una gamba un po’ più corta impedisse al giovanotto di fare tutte queste cose da solo.
Mentre i suoi fratelli erano in campagna a tirare di zappa o a mungere mucche, a governare pecore e maiali, o a controllare la crescita dell'uva o delle olive, Giannetto se ne stava comodamente alla finestra a guardare le nuvole correre nel cielo, mangiando fichi secchi. Aveva avuto addirittura una sorta di precettore in casa, che gli aveva insegnato a leggere, e il giovanotto non se la cavava nemmeno troppo male, anche se spesso, abituato com’era a lagnarsi, lamentava di essere stanco e di avere forti mal di testa, imputando tutto ciò alla sua malformazione.
La madre veniva ogni giorno assalita e divorata dai sensi di colpa perché forse non accudiva nel migliore dei modi quel suo figliolo sfortunato. Quando poi lo trovava con lo sguardo perso nel vuoto, assorto in qualche pensiero, le si stringeva il cuore in petto e, ingoiando le lacrime, si rivolgeva al ragazzo, impietosita: “Giannetto, figlio mio, cosa ti affligge?”
E lui, che magari stava pensando a come pulirsi le unghie dopo essersi ficcato le dita nel naso, come fa il miglior gentiluomo di paese, rispondeva con tono affranto: “Madre cara, pensavo ai prati... pensavo alle strade dove la gente cammina tutto il giorno... pensavo alla spiaggia, alla riva del mare... madre mia, pensavo a quanto vorrei poter correre e camminare come tutti gli altri. Quanto vorrei essere normale e felice come i miei fratelli!”.
La povera donna allora si nascondeva per piangere, e Giannetto riusciva a pulirsi le unghie al riparo da occhi indiscreti.
Ma questo lamento andava avanti da talmente tanto tempo che la madre, a un certo punto, cominciò a implorare i figli di portare Giannetto con loro, per poterlo far svagare un poco. Inutile dire che i ragazzi non volevano portarsi dietro uno storpio, insomma, avrebbe significato rallentare il loro lavoro, e poi alla fine questo fratello strano lo conoscevano appena: loro stavano tutto il giorno a lavorare, non certo a farsi coccolare dalla mamma, grandi e grossi come erano. C'è da dire che i fratelli non erano molto d'accordo sul trattamento che veniva riservato a Giannetto: solo perché alla fine era un po' zoppo, aveva il letto più comodo, le coperte più soffici, i panni sempre puliti e le sue mani erano prive di calli, e non faceva che mangiare tutto ciò che di più buono e costoso si trovasse nel paese. Loro invece avevano iniziato presto a lavorare, appena poco più che bambini, e faticavano dall'alba al tramonto tutti i giorni, sia col sole cocente che sotto la pioggia.
Fatto sta, comunque, che la mamma ebbe la meglio, e alla fine i fratelli, a turno, ritornavano a casa a metà mattinata per prendere lo storpio a bordo d'asino e portarlo in campagna con loro. Questa storia andò avanti per diversi mesi. Giannetto arrivava al podere e scendeva dall'asino e si sedeva da qualche parte a guardare i fratelli e tutti quanti i contadini che lavoravano per loro, a faticare e a sudare. Quando aveva sete spesso chiamava qualcuno che gli passasse la brocca dell'acqua poco distante da lui, e se l'acqua era calda si lagnava fino a quando non gli portavano una nuova brocca di acqua fresca. Quando aveva fame cercava qualcuno che gli portasse qualcosa da mangiare, anche se non era ancora l'ora del pranzo. Non parliamo, poi, del sole: se era troppo caldo, allora, tutta la panca, con lui seduto sopra, doveva essere spostata all'ombra. Insomma, Giannetto non ne voleva proprio sapere di alzarsi, non voleva fare nulla, se non essere molesto viziato e antipatico, fino a quando da lontano vide qualcosa che attirò particolarmente la sua attenzione.
Era la Bruna, una ragazza di appena 17 anni, vigorosa nei suoi fianchi ampi, ma leggiadra con quelle braccia agili e veloci. La Bruna se ne stava tutto il tempo con la schiena piegata verso il basso a raccogliere le olive cadute; c'è da chiedersi se Giannetto avesse notato il viso della Bruna o qualcos'altro, data la posizione che soleva tenere quando lavorava. Il fatto è che Giannetto trovò il modo di parlarci, anche se lei lo guardava appena in volto: era una ragazzotta di campagna, ignorante quanto basta a renderla furba e diffidente.
Giannetto si incapricciò talmente tanto di quella ragazza che cominciò a voler andare solamente al podere dove lavorava La Bruna. Quindi suo fratello si insospettì, anche perché la Bruna l'aveva vista prima lui e pare che, a differenza di suo fratello, lo storpio, alla ragazza il fratello sano piacesse molto.
Ma Giannetto non si dette per vinto, e cominciò ad attirare l'allodola con qualche cosa di gustoso: un fico, qualche noce, dei confetti rubati dalla dispensa della madre. La Bruna mangiava, sorrideva masticando a bocca aperta, ascoltando le inutili chiacchiere dello storpio, e se ne andava. Quando poi lui iniziò a dirle che la voleva, lei ebbe l'ardire di rispondergli anche male: “Non ti sposerei nemmeno se tu riuscissi a far rotolare un sasso a calci dalla cima di questa collina fino alla riva del mare!”, le ripeteva la Bruna con profondo disprezzo, mentre al fratello lanciava occhiate cariche di passione.
Dopo mesi e mesi di tiritere, raccolta delle olive e dei mandarini, e freddo invernale, Giannetto uscì allo scoperto, e lo fece direttamente con sua madre. Le confidò che si era innamorato e che quella ragazza era la donna giusta per lui, insomma aveva bisogno di sposarsi; quando sua madre non ci sarebbe stata più, chi si sarebbe preso cura di lui?
Il padre non era molto d'accordo a far sposare Giannetto, il che significava permettere a tutti i figli di sposarsi: non poteva certo dividere il podere in cinque parti, avrebbe dovuto concedere il matrimonio solo al primogenito per non finire in rovina.
Ma si sa, a volte il fato ci mette lo zampino, e quando lo fa, lo fa per bene. Fatto sta che l'inverno scatenò una forte epidemia di polmonite e nel paese anche gli uomini più forti e in salute si ammalarono gravemente. Il padre di Giannetto fu il primo della famiglia a morire, seguito da tre dei suoi figlioli.
La vedova, distrutta dal dolore, rimase ad accudire Giannetto e l'altro figliolo rimasto, quello che, per intenderci, se la faceva con la Bruna, quindi, a questo punto la scelta fu rapida e quasi obbligata. Giannetto si doveva assolutamente sposare e doveva anche avere dei figli, affinché il patrimonio non fosse perso. Certo, forse sarebbe stato più logico far sposare il figlio sano e non quello zoppo viziato di Giannetto, ma la mamma non poteva rischiare che il suo bambino finisse i suoi giorni da solo e magari anche in miseria. Insomma, era pur sempre zoppo, aveva bisogno di aiuto, e l'aiuto migliore sarebbe stato quello di una moglie e, in futuro, di amorevoli figli. Il fratello, per necessità di campare, lo avrebbe aiutato anche lui.
I genitori della Bruna, davanti a una dote tanto ricca, e senza alcuna richiesta in cambio, non poterono dire di no alla proposta di matrimonio, e nonostante la fanciulla si consumasse in lacrime perché non voleva sposare quello sciocco storpio e viziato, le nozze si fecero in breve tempo e furono ricche e maestose.
La sposa andò a vivere nella casa di Giannetto assieme alla suocera e al cognato. La madre, ormai stanca e depressa, consumata dai lutti subiti, cominciava ad allentare le redini in casa; seguì, quindi, il consiglio del figlio di preparare la camera nuziale al piano di sopra, al posto di quella che un tempo era stata la sua e del suo defunto sposo. I primi giorni Giannetto, intorpidito dalla troppa pigrizia, si affaticava arrancando per le scale per consumare i doveri coniugali: decise quindi, in breve, di tornare a dormire nel suo vecchio letto, in quella stanza dove ora, rannicchiata su una brandina, riposava malamente sua madre, lieta di continuare a vegliare il sonno del suo bambino.
E alla fine fu la decisione migliore per tutti. La madre morì presto, perché non vedeva l'ora di raggiungere i suoi cari, sapendo ormai Giannetto sistemato con la mogliettina e il fratello. Giannetto tornò alla finestra a mettersi, indolente, le dita nel naso. La Bruna dormiva sola e serena, e quando era sveglia era felice e ricca. E i figli che nacquero numerosi, nonostante i rari incontri dei coniugi, somigliavano tutti, in bellezza e salute, al fratello sano di Giannetto.