La veglia di Elle Onnigrafo Magazine

La veglia di Elle

Elle si destò di soprassalto sul letto, come spesso le accadeva nell'ultimo periodo; il passaggio alla veglia fu così brusco che non poté neppure rammentare uno scampolo di ciò che aveva, purtroppo spiacevolmente, sognato. D'un tratto, udì un rumore provenire dalla zona giorno, laddove tutto fino a poco prima era silenzioso. Le orecchie tardavano a ridestarsi assieme al resto di lei e sebbene fosse stato un "clack" piuttosto secco, ci mise un po' a ricollegare che doveva essere l'apertura elettrica del portone d'ingresso. Chi poteva essere, a quell'ora così insolita? Suo marito era sicuramente affaccendato a lavoro; la sua anziana madre viveva ormai stabilmente al pianterreno e non saliva di certo le scale; infine, suo figlio ultimamente sembrava evitarla con cura, soprattutto attraverso la presenza nella casa di famiglia in orari complementari ai suoi. 

Si sollevò dal letto e, con un equilibrio un po' fluttuante, traslò dalla camera verso il disimpegno che collegava la zona notte alla zona giorno, per vedere chi diavolo fosse; la luce del salotto, accesa all'improvviso da un'ombra di passaggio, le trafisse entrambi gli occhi come una coppia di lancinanti paletti, per cui vanamente alzò una mano a ripararsi il viso. Restò così, mezza accecata da quel flash di fastidiosa luce, dietro alla porta in legno a riquadri di vetro che delimitava il confine tra il disimpegno e il salone. Attraverso le rifilature sagomate di quei vetri, le filtrava dall'altra stanza l'immagine confusa e scomposta di qualcuno che rovistava nella libreria, ricolma di volumi di suo figlio, avido ed eclettico lettore; le sembrò persino di riconoscere una corporatura familiare ma da quell'angolo non poteva esserne certa e, in ogni caso, il tipo aveva delle movenze innaturali e nervose del collo, che faceva capolino di tanto in tanto nello spazio vuoto tra i libri del terzo ripiano e la mensola del quarto ripiano. Notò, sempre dai movimenti del collo, che l'individuo girava spesso la testa di lato, a osservare chissà cosa, quando non si voltava palesemente a traguardare oltre le spalle con la coda dell'occhio, con un fare decisamente losco se non nevrotico. 

Continuò a osservare, ancora indecisa sul da farsi, fin quando quello, all'improvviso, si voltò dritto verso la porta a vetri. Elle urlò. Era come se, davanti a lei, un mostro uscito dall'Inferno avesse strappato il volto a suo figlio e ne avesse fatto un disegno dai colori troppo caldi e vividi, dai lineamenti troppo definiti e spigolosi, dalle movenze febbrili e inquiete. Lo guardò incredula: aveva di fronte una creatura di un altro mondo. Dal canto suo, quello la fissò, decomposta, nella spigolosa rifrazione dei vetri sagomati; urlò, mollò un libro che teneva in mano e fuggì, lasciando la luce accesa e la porta dell'ingresso aperta. Elle passò attraversò il legno e il vetro della porta di mezzo senza aprirla e cercò, invano, di sfiorare il libro a terra: laddove quell'infernale abominio l'aveva tenuto in mano, lo sbalzo termico con le sue dita, gelide e spettrali, era così strano, così... caldo.

Così vivo.