Il dito Onnigrafo Magazine

Il dito

Illustrazione di Alfonso Amarante

C'era una volta un dito.

Precisamente, un dito indice che viveva fuori da un guanto.

Viveva fuori da un guanto per un increscioso incidente avvenuto esattamente quattro anni prima.

Per i più curiosi, cercherò di tirare velocemente le fila del fortuito evento: la mano si infilò veloce in un guanto (stando ben attenta ad alloggiare tutte le dita), e per la fretta di seguire una distrazione, assolutamente giustificata da una superiore importanza, urtò uno spigolo che provocò uno strappo.

La storia poi, procede come tutte le storie: l'incuranza allargò il piccolo strappo e lo sprovveduto indice vi si infilò. Uscendo da quel buco pensò di essere solo, iniziando a comportarsi proprio come se solo lo fosse per davvero.

Ora, mi auspico per voi che non lo giudichiate troppo selvaggiamente, giacché ognuno ha uno strappo dove ha infilato una personale via d'uscita.

La storia vera inizia adesso, e converrete con me che se non foste stati curiosi sarebbe cominciata prima.

Una volta fuori, dunque, il nostro amico fece l'unica cosa per la quale la natura l'aveva predisposto: indicare.

All'inizio il suo indicare aveva moto accusatorio: indicativo contestativo!

Tutto quello che indicava era accompagnato da un bofonchiare sommesso: «No! Non è questo il modo giusto!» e ancora: «uh!mai vista una aberrazione simile!» oppure: «giusto cielo! Nessuno si rende conto di quanto sia disdicevole?»

E così via.

Dopo aver esaurito tutte le esclamazioni d'uso, iniziò a indicare con curiosità perniciosa: indicativo interrogativo, durante il quale la sua bocca prendeva costantemente la forma di una rotondissima O.

In questo solitario periodo imparò molto, non aveva il resto della mano a dargli una spiegazione: non c'era il pollice che afferrava al volo, né il medio a difenderlo minacciando o l'anulare con il suo grande cuore, finanche il mignolo che si infilava ovunque.

Da solo quindi doveva capire, ed ecco che passò a sperimentare: l'indicativo tattile.

Cominciò dunque a toccare ogni cosa, anche sprovvedutamente: la rosa aveva un colore che lo affascinava e lo faceva indugiare sulla seta dei suoi petali, li percorreva in lungo e in largo e ne provava gran piacere ma... «AHI! Cosa è questo dolore improvviso e lancinante?» Un'insidiosa spina si conficcò tenacemente tra il piacere e lo stupore. La scoperta che una cosa tanto bella nascondesse un tranello così meschino, lo colpì in maniera profonda.

La neve invece, così fredda e pungente: una volta infilatosi lí dentro, sentì congelarsi fino all'osso e non vedeva l'ora di uscirne ma...

«Ehi! Cos'è questo che sento? Ci sono cose nascoste e riparate qui sotto che sembrano sentirsi a proprio agio. Oserei dire che sono al calduccio!»

Insomma, tutto quello che sembrava non era, e tutto quello che era sembrava. Questo lo mandava seriamente in confusione, facendolo sentire sempre più solo.

Tanta era la solitudine provata che alla fine smise di indicare.

Tutti gli indicativi furono sospesi mentre lui si arrotolava sempre più su se stesso, come una lumachina che si ritrae nel suo guscio.

Ma, ecco:

«Cos'è questo buco?» Provò a infilarci dentro la testa e «Oh gaudio! Grande gioia!» ritrovò la mano!

Adesso c'erano tutti, nulla era cambiato. Si erano solo abbassati un pochetto mentre lui era intento a indicare, ma erano sempre stati lì!!

Fermatevi un attimo, raccoglietevi su voi stessi: riuscite a vederlo, adesso, quel buco?

Buon viaggio.