Il mare Onnigrafo Magazine

Il mare

Le sue onde non sono nient'altro che mani disperate in cerca di appigli da afferrare tra sabbia, scogli e cemento delle banchise. Ci si lanciano contro, schiumano la loro piccola o immensa rabbia e poi vengono risucchiate indietro, senza pietà. Ogni volta. Finora le avevo sempre osservate con stupore e ammirazione, mentre adesso provo un senso di tenerezza.

Il mare, in effetti, lo vedo come un groviglio infinito di mani con la speranza di fuggire e la consapevolezza di non poterlo fare. Ognuna pensa per sé, in cerca di un piccolo spazio da afferrare sul proprio pezzetto di riva.

Quando nuoti, sembrano avvolgerti e accarezzarti piacevolmente ma, non appena rammentano la loro condizione di eterne prigioniere, cercano di trascinarti a fondo.

Unite al tramonto che comincia a colorarsi, si trasformano in un dipinto spettacolare; così come al mattino, incorniciate dentro i primi momenti dell'albeggio. Durante le tempeste, invece, sono giganteschi Nefilim, rabbiosi e incontrastabili, da cui i pesci fuggono nelle profondità e soltanto pochi gabbiani affamati trovano il coraggio di planarci accanto.

Eppure, quando ne sono lontano, sento terribilmente la loro mancanza; incessante, nella testa, ammaliante come il canto seducente di sirene. Quella strana e piacevole nostalgia interiore del sentirmi imprigionato tra le loro mille dita liquide che mi stringono per non lasciarmi più.

Finora ho sempre ascoltato il richiamo delle infinite piccole bolle che fuggivano dalla mia bocca verso quel soffitto celeste, ondeggiante e luminoso; sussurravano sempre "vieni, resta qui". Ora no. Ho la certezza che amavo così tanto quelle sensazioni da essere arrivato al paradosso di dimenticarmene.

Adesso so, amore, che tu sarai ad aspettarmi proprio là, dove le dolci mani di schiuma e acqua mi abbracceranno per non lasciarmi mai più.