“Sono una bimba grande, sono una bimba grande,
sono una bimba grande! La mamma dice che sono grande e non devo avere paura!”
Il ciuffo di capelli rossi, unica parte del suo corpo che sbucava da sotto il lenzuolo, smentiva però tutta la sua ostentazione di coraggio.
Mary ne aveva eccome, di paura. Nonostante il caldo che le appiccicava le lenzuola sulla faccia, Mary non avrebbe messo fuori dal letto nemmeno la punta del piede.
Tutti i bambini sapevano che il piede era il preferito dal mostro.
Afferrava quello e li portava via.
Cosa succedesse dopo era oggetto di accaniti dibattiti, a scuola. Harry sosteneva che il mostro li mangiasse, i bambini: era sicuro che suo papà avesse detto così, c'erano mostri brutti e cattivi che mangiavano i bambini. Non aveva capito bene come si chiamassero, ma papà parlava di loro durante il telegiornale e diceva tante parolacce.
Josh aveva ribattuto a questa cosa dicendo che i mostri non esistevano e che sua mamma che era scienziata lo sapeva. Però poi non era voluto rimanere da solo al buio nello stanzino del bidello per dimostrare che la cosa fosse vera. Era un cacasotto che faceva finta di sapere tutto. E sua mamma era infermiera, non scienziata. Josh era proprio uno stupido.
Daniel, invece, non aveva avuto nessuna esitazione. Era rimasto lì dentro al buio per tutta la pausa per la ricreazione. Praticamente quando ne era uscito era un eroe.
Anne era un po’ un punto interrogativo, nella questione. A Mary piaceva tanto Anne. Era una bambina buona e calma e non la prendeva mai in giro per i suoi capelli rossi. Anne era molto silenziosa e non si capiva tanto bene cosa pensasse. Questa cosa del mostro sotto al letto non la coinvolgeva più di tanto.
Mary trattenne il fiato. Forse se lo era solo immaginato, o forse no, ma aveva sentito un rumore provenire dal buio, in fondo alla stanza.
“Lo sapevo, dovevo tenere la luce accesa...”
Le sue manine stringevano un lenzuolo stropicciato e umidiccio. La mamma le aveva dato un bacetto, si era raccomandata di dormire tranquilla e aveva spento la luce.
Mai spegnare la luce.
Il buio non va bene, lo sanno tutti. Possibile che i grandi siano così stupidi? Certo, avrebbe potuto allungare la mano e cercare a tastoni l'interruttore della lampada sul comodino, ma sarebbe stato un errore. Avrebbe dovuto tirare fuori il braccio da sotto le lenzuola, e a quel punto, il mostro l’avrebbe presa. Senza dubbio alcuno. Era sicura che quella creatura spaventosa stesse aspettando solo quello, solo un piccolo, minuscolo errore da parte sua. Ma Mary non si sarebbe fatta fregare così. Si impose di respirare lentamente, i battiti accelerati del suo cuore piano piano rallentarono e riuscì a tranquillizzarsi.
Sotto il letto, nascosta dall’oscurità, la bestia aspettava. Non avrebbe avuto fretta, avrebbe potuto aspettare lì anche tutta la notte, invisibile, con gli occhi socchiusi. Sarebbe bastato solo un movimento piccolo della sua preda. Il piedino tenero e nudo che scivolava fuori era il suo preferito. Ma qualsiasi movimento sarebbe andato bene lo stesso, qualunque parte scoperta. Non c'era fretta. Poteva aspettare. La notte era appena cominciata. Ed era la sua prima notte lì dentro. Voleva gustarsela fino in fondo.
“Che poi non capisco perché la maestra abbia messo in punizione solo me e Anne. Era stata Jessika a cominciare.” I pensieri di Mary fluivano nella notte senza seguire un ordine preciso. Jessika era odiosa, lo sapevano tutti. Almeno tutti quelli intelligenti. Col suo sorrisino da perfettina, i suoi voti alti e i vestiti alla moda. Lei e Sarah erano le bambine più popolari della classe, ma lei non le sopportava. E nemmeno Anne. Persino Josh aveva capito che erano delle idiote. Povero Josh. A lui prima Sarah piaceva tanto, ma lei lo aveva trattato da stupido davanti a mezza scuola e lui ne era uscito in lacrime e col moccio al naso. Mai farsi vedere in lacrime da quelle due stupide. Mary strinse i denti nel buio della sua stanza. Per quante cattiverie potessero farle quelle due, non la avrebbero mai vista piangere. Per questo, l'altra mattina, Jess si era presa un calcio sugli stinchi. Anne era intervenuta a dividerle e la maestra le aveva beccate. Così ora loro due avevano dei compiti in più da fare e quella cretina di Jessika l'aveva scampata. Ma almeno avrebbe avuto un bel livido blu su quelle sue gambe secche.
Il sorrisetto di soddisfazione la distrasse per un po’ dalle sue paure. Si rilassò e piano piano chiuse gli occhi.
Sapeva.
Sentiva.
Era il momento di agire. Il respiro della bambina di era fatto regolare, lento e ritmato. Si stava addormentando. Il caldo avrebbe vinto sulla sua volontà e si sarebbe scoperta. Lentamente la bestia strisciò fuori. Si portò sinuosa al lato del letto. Annusò le ciabattine della bimba, aspirando l'odore di lei con la bocca semiaperta e gli occhi socchiusi, con piacere e meticolosamente. Si mosse furtiva alla ricerca di una postazione comoda per balzarle addosso. Ancora poco e un lembo di pelle sarebbe sbucato fuori dalle lenzuola, spezzando la protezione magica. Vedeva la sua sagoma, seguiva il movimento ipnotico generato dal suo respirare. La bestia voleva avvicinarsi, voleva fiutare, voleva inebriarsi del suo odore. Scivolò agile sulla scrivania accanto al letto. Ombra nell'ombra. Artigli, denti e occhi. Silenziosa, attese il suo momento.
Mary non seppe dire con precisione cosa l'avesse riportata alla realtà in maniera tanto fastidiosa. Forse un leggero rumore proveniente dalla stanza, forse la sensazione gelida di essere osservata.
Tese le orecchie. Magari era la mamma che si era alzata per andare in bagno. Forse avrebbe dovuto farle chiudere la porta della cameretta. Però visto che la mamma aveva insistito tanto per farla dormire finalmente a luce spenta, chiudere anche la porta l'aveva fatta sentire a disagio. Isolata. Nel buio e isolata dal resto della casa. Ora, invece, quella porta aperta sulle altre stanze, improvvisamente le sembrava una cosa molto, ma molto sbagliata. Una bocca spalancata, pronta a far passare ogni tipo di cosa brutta e farla strisciare fino a lei.
Un fratellino o una sorellina. Sarebbe stato bello non essere sola.
L'aveva desiderato tanto e l'aveva chiesto tante volte, alla mamma e al papà. Pensava spesso al papà. A volte era un po’ arrabbiata con lui. Che bisogno c'era di volare in cielo e lasciare lei e la mamma? La mamma ancora piangeva. Cercava di non farsi scoprire, ma lei a volte vedeva i suoi occhi rossi rossi. Per questo doveva essere coraggiosa. Doveva essere forte anche per la sua mamma. Il mostro non doveva portarla via, altrimenti lei sarebbe rimasta da sola.
Pensò a Daniel. Era un bambino molto coraggioso. Certo, era un maschio e tutti dicevano che le femmine sono più paurose. Questa cosa le dava fastidio. Conosceva molte bambine coraggiose. Magari non si facevano chiudere in uno stanzino buio, ma erano coraggiose in altri modi. Questa cosa dei confronti un po’ la esasperava. Ognuno era fatto a modo suo, pensava Mary. Josh era un maschio, eppure si era messo a piangere davanti ai tutti. Però anche uno come lui aveva trovato il coraggio di proteggere Mike da quel buzzurro di Barry. Mike era piccolo piccolo. Anche se aveva la sua età, sembrava ancora un bambino dell'asilo. Barry al confronto era un gigante e quasi ogni giorno faceva i dispetti a Mike. L'altra mattina gli aveva portato via lo zainetto del pranzo. Anne aveva fatto a metà del suo con Mike. Ecco, anche Anne era una bambina coraggiosa. Mary pensò che avrebbero dovuto parlare con la maestra, di questa cosa di Barry e Mike. Non era giusto che quel gigante cafone si approfittasse così di uno più piccolino. Ne avrebbe parlato con gli altri bambini. Tranne che con Jessika e Sarah. Vabbè, forse anche con loro.
Stavolta il rumore era distinto. Aveva riconosciuto anche il suono. Una delle sue matite era caduta sul pavimento.
C'era qualcuno.
Qualcuno era lì con lei, nella sua cameretta. Qualcuno che respirava piano e faceva uno strano verso soffuso. Era il mostro, ne era certa e la bambina tese ancora di più l’orecchio, quel verso era come se lo conoscesse, quel respiro sommesso, era simile a delle…fusa…
Improvvisamente Mary scoppiò a ridere e si ricordò della porta aperta della sua stanza. E fece una cosa che spiazzò completamente la creatura che la osservava: spalancò di colpo le lenzuola e accese la luce sul comodino.
Incespicò, si gonfiò tutta, scivolò sulle matite e sui colori sparsi sulla scrivania.
Soffocò un rantolo.
La luce improvvisa le ferì gli occhi, che divennero due fessure circondate da un verde penetrante. Cercò di darsi un contegno il più possibile dignitoso mentre ruzzolava goffamente verso il pavimento. Era riuscita a dare uno sguardo fugace alla sua preda. Adorabile, con quei riccioli rossi appiccicati al viso sudato e quelle fossette mentre rideva, ah, come erano deliziose. Aveva visto anche i suoi piedini nudi. Sarebbe stato bellissimo affondarci i denti all'improvviso, mentre lei non se lo aspettava. Forse aveva sbagliato i tempi, aveva aspettato troppo. Si era trastullata nella sua sicurezza. O forse avrebbe dovuto migliorare la sua strisciata notturna.
Certo, quelle maledette matite... D'altro canto non era mai riuscita ad entrare nella stanza, di notte. Sempre quella porta chiusa e quel guardiano gigantesco che le impediva di intrufolarsi. Magari avrebbe potuto studiare meglio il campo di battaglia. Avrebbe tolto di mezzo quegli ostacoli insidiosi. Ma tanto che sarebbe cambiato? Doveva essere onesta con sé stessa. L'umana l'aveva fregata.
Quell'imprevedibile esserino con i capelli rossi aveva fatto una mossa che mai si sarebbe aspettata. Si era spaventata a morte. Ma come poteva pensare che sarebbe emersa di botto, ridendo e accendendo la luce!? E stava ancora lì, la guardava e rideva. Rideva di lei in maniera adorabile. E si portava le manine alla bocca per non fare troppo rumore. La creatura sperava solo che non arrivasse anche il guardiano gigante. Sarebbe stata un'umiliazione troppo grande essere anche messa alla porta.
Quando Mary riuscì a smettere di ridere batté più volte la sua manina sul materasso. La creatura ci pensò un attimo. Non voleva fare di nuovo errori, poi spiccò un salto con tutta l'eleganza di cui era capace.
La porta della cameretta si aprì ma ormai la creatura sapeva che l’avrebbe fatta franca. Il guardiano-mamma, svegliato dai rumori, trovò sua figlia che, sudata fradicia, ma con un sorriso beato, stringeva tra le braccia Potato, che, con una straordinaria disinvoltura, distribuiva fusa e leccatine alla bambina.
Avrebbe dovuto immaginarlo.
“Mary, è ora di dormire.”
“Ora ci provo, mamma. Potato può restare, vero?”
La creatura la guardò con occhi socchiusi. Certo che sarebbe restata. Era una adorabile gattina.
La donna sorrise. Erano un quadretto delizioso.
“Va bene, fate le brave”
“Mamma...”
“Sì amore...”
“Spegni pure la luce!”
“Niente più mostri, allora?”
“Non ne sono ancora sicura, ma sono sicura di una cosa: se arriverà il mostro, Potato la farà arrosto!”
La mamma sorrise.
Spense la luce e restò qualche secondo sulla soglia, ascoltando la vocina della figlia che parlottava con Potato.
“Vedi, Mat? Piccole donne crescono. Tienile i mostri lontano, da lassù, ok?”