A chi serve un Maynard? Onnigrafo Magazine

A chi serve un Maynard?

«Fino a dove riesci ad arrivare?» chiese Robert Jr.

«Da’ qua!» rispose seccamente James Saunders. Fece roteare il sasso tra le dita con una sicurezza che a Robert Jr. parve stupefacente. Ricordava quei lanciatori di coltelli che aveva visto alla tv qualche settimana prima. Il suo sguardo era rivolto al punto dove avrebbe fatto arrivare il sasso, e non si concedeva alcuna distrazione. La concentrazione era totale.

«Laggiù!» esclamò, indicando un punto non precisato. Robert Jr. ebbe timore di farselo ripetere. Doveva essere distante, dal tono della voce che il suo amico aveva usato.

All’improvviso ci fu il lancio. Con una tecnica precisa e studiata nei minimi dettagli, James si decise a lanciare. Il sasso accarezzò più volte la superficie dell’acqua stagnante fino ad arrivare al punto da lui stabilito.

«Ce l’hai fatta!» disse Robert Jr.

«Certo che ce l’ho fatta!» ribatté prontamente lui. «Che pensavi ?»

Non aveva nemmeno fatto a tempo a contare quante volte avesse toccato la superficie. Sicuramente aveva provato quel lancio diverse volte. James apparve infastidito, però, dall’insistenza di Robert Jr. nel chiederlo. La sua era solo curiosità.

«Secondo me non sai neanche da che parte cominciare.»

«Ci posso provare», disse con entusiasmo Robert Jr.

«Provare! Che scemenza! O lo sai fare, o non lo sai fare!»

«Ho solo bisogno di un buon sasso!»

«Non è questione di un buon sasso o no!» insisteva James. «E’ tutto basato sulla tecnica. O ce l’hai, o non ce l’hai. E secondo me tu non lo sai proprio fare!»

Punto nell’orgoglio, Robert Jr. non voleva darla vinta all’amico. Non lo aveva mai fatto prima, ma che importava? Avrebbe selezionato il miglior sasso, e ci avrebbe provato. Non sarebbe riuscito a farlo saltare così tante volte, ma avrebbe dimostrato che ne era in grado.

«Allora? Lo tiri o no?» chiese James, dopo aver aspettato per alcuni minuti l’estenuante ricerca del sasso vincente.

«Ci sono!» Era leggero, adatto alle sue mani delicate, e levigato al punto giusto. Lo strumento della sua rivincita sembrava promettente.

Robert Jr. cercò la concentrazione proprio come aveva fatto poco prima James. Non indicò alcun punto sull’acqua, impegnato com’era a decidere quale fosse il dettaglio vincente per un lancio corretto. Alzò il ginocchio, piegandosi come i lanciatori di baseball. Del resto, non c’era poi così tanta differenza rispetto alle palline.

«Principiante!» urlò dopo grasse risate il piccolo Saunders. «Lo hai fatto sprofondare subito!» ripetè subito dopo, con la solita arroganza.

«Posso imparare!» disse allora Robert Jr.

«E a che serve ?» chiese James. «Non sai fare nulla in ogni caso. Non sai neanche andare in bici bene come me. E abbiamo la stessa età.»

«Io ci so andare in bici!» disse spazientito Robert Jr.

«Non sai nemmeno arrivarci, alla tua bici!» lo provocò allora James.

«Che vuoi dire?»

«Che vuoi dire?» gli fece il verso James. «Arrivo prima io di te!» Detto questo, scattò verso le biciclette, appoggiate sull’erba qualche decina di metri più indietro.

Nonostante il vantaggio iniziale, James fu sul punto di essere raggiunto proprio sul finale. Capendo di non potercela fare, si fermò per arrestare la corsa di Robert Jr.

«Stronzo!» urlò allora lui.

«Che vuoi fare, l’eroe?» lo provocò James. «Non sai correre, non sai andare in bici, e non sai nemmeno far saltare i sassi sull’acqua!»

«So suonare! Dimmi, tu che suoni?»

«E a che ti serve suonare Robert Jr.?»

«Sempre meglio di tirare due sassi sull’acqua!»

«Non sai quello che dici!»

«Sì, invece! Suonerò! E reciterò! Proprio come hanno fatto mio nonno e mio padre!»

«Già», disse con sarcasmo James, «e come loro finirai nei peggiori bar della contea!» Rise, senza sapere nemmeno bene cosa avesse detto. Quella storia l’aveva sentita dal padre. I Maynard non avevano mai combinato niente di buono, gli aveva detto.

«Reciterò e suonerò. E me ne andrò da qui! Sentirai parlare di me, James! Occorre del tempo, ma io so qual è la strada da seguire. Chi sa far tutto diventa un artista, un artista totale!»

«Artista totale?» chiese ridendo James Saunders. «E che diavolo significa? Tu ti sei bevuto il cervello Robert Jr.! Guardi troppa di quella robaccia perché tua madre non è mai a casa, e ti lascia da solo! Togliti dalla testa certe idee stupide!»

«Che cosa ne sai di mia madre?» urlò allora Robert Jr.

«Lo sanno tutti!» disse, quasi per giustificarsi, James. «Dovresti fare come me! Io prenderò in mano l’azienda di mio padre. La Saunders sta crescendo, sai cosa vuol dire? Tutti, prima o poi, lavoreranno per la nostra ditta. Daremo lavoro a tutti, anche a quelli come te! Il tuo futuro non è lontano da qui, non farti strane idee in testa!»

Suo padre glielo ripeteva in continuazione. La cosa migliore da fare era seguire le sue orme, fare come lui. Sarebbe stato un imprenditore di successo, proprio come suo padre, e suo padre prima ancora. Avrebbe portato avanti il nome della famiglia.

Gli faceva tenerezza, Robert Maynard Jr.; che cosa poteva fare lui, pensò il ragazzino. Veniva da una famiglia di ubriaconi, e aveva vicino solo sua madre, alcolista anche lei.

«Ritira quello che hai detto!» esclamò Robert Jr.

«No! E te lo ripeto di nuovo, Robert Jr.! Sarai un fallito, come tutti quelli della tua famiglia! A chi serve un Maynard?»

«Te lo faccio vedere io!» urlò allora Robert Jr. prima di scagliarsi sul compagno di scuola.

Si strattonarono e spinsero a vicenda, per poi rotolare sull’erba. James Saunders ebbe la meglio, riuscendo a mettersi sopra e a colpire Robert Jr. al viso.

«Non sai nemmeno fare a botte!» gli disse. Si alzò subito, lasciando a terra quello che fino a poco prima era un suo amico. Robert Jr., col viso sporco di fango e terra, lo guardò andare via, dopo aver sferrato un calcio alla sua bici.

Si sentiva affranto, ma si alzò quasi subito. Si guardò i jeans sporchi e la maglietta ormai da buttare. Si sentiva ora immerso nel silenzio quasi irreale del bosco. A tratti udiva il cinguettio degli uccelli, mentre il vento accarezzava gli alberi. La bicicletta di James Saunders era sparita, la sua giaceva ancora a terra.

Provò a tirarla su, ma vide la catena fuori dalla ruota anteriore. Ci impiegò un po’ per sistemarla, sporcandosi le mani che andò poi a lavare nello stagno. Si sciacquò il viso, guardando all’insù il cielo limpido e la bellissima giornata estiva che ancora aveva davanti.

Mezzogiorno era passato da un pezzo, e la fame cominciava a farsi sentire. Trascinò la bicicletta lungo il sentiero, ripensando alle parole di Saunders. Non era vero che non sapesse fare niente.

Arrivò alla strada, e iniziò a pedalare. Incrociò due veicoli; gli uomini al volante lo guardarono in entrambe le circostanze, quasi a chiedersi chi fosse quel ragazzino. Robert Jr. aveva capito bene chi fossero, sebbene loro non si ricordassero mai di lui.

Fu allora che ripensò a suo padre. L’ultima volta che lo aveva visto era stato proprio in un furgone come quelli, con una bottiglia in mano. Se ne era andato per non fare più ritorno. Sua madre era peggiorata proprio da allora.

A casa lei non c’era. Robert Jr. aveva fame. Si diede una sistemata, cambiandosi maglietta e pantaloni, prima di andare in cucina. Era ancora tutto in disordine. Nel frigo non c’era poi così tanto da mangiare, a parte mezzo sandwich che Robert Jr. addentò immediatamente.

Sul davanzale della cucina si appoggiò il solito passero a cui dava da mangiare. Spesso si trovava solo, e la compagnia di quella creatura lo faceva star bene. Non sentiva però alcun bisogno di rimanere a casa da solo. Casa era sua madre, e sua madre gli mancava terribilmente.

Non le avrebbe raccontato di James Saunders, e forse non le sarebbe nemmeno interessato, ma sentiva il bisogno di riportarla a casa. Lasciate le ultime briciole al suo migliore amico, uscì nuovamente in sella alla bicicletta, per dirigersi verso la principale.

Pedalò velocemente perché sentiva il bisogno del vento, del suo fischio nelle orecchie, e della sensazione di benessere che avvertiva. La strada era tutta per lui, come sempre. Voltando a destra avrebbe sicuramente trovato sua madre, ma preferì continuare dritto.

Padre Dawson era solito pranzare e ritirarsi per la preghiera in quelle ore del giorno, ma forse avrebbe potuto trovarlo davanti alla chiesa. In pochi minuti vi fu davanti. La porta era ancora aperta. Robert Jr. si sentiva indeciso. Dopo essersi morso il labbro un paio di volte, entrò.

Regnava lo stesso silenzio che si udiva per la strada, solo che quello era per Robert Jr. un silenzio particolare. Sentiva sempre una sorta di richiamo dal silenzio della chiesa luterana del paese. Seduto di fronte all’altare immaginava se mai avesse potuto farcela.

Padre Dawson veniva proprio dalla città. Tutte le volte che Robert Jr. gli aveva chiesto della Florida lui era diventato evasivo, a volte persino contrariato. I suoi occhi si riempivano di gioia solo se pensava alla sua comunità, una piccola, minuscola comunità nel centro dimenticato degli Stati Uniti, dal quale Robert Jr. aveva una gran voglia di scappare.

Intrecciando le mani, in un tentativo goffo di preghiera, Robert Jr. chiedeva all’altare che cosa mai avrebbe dovuto fare. La mamma aveva sempre incolpato suo padre, ma in fondo se lui se n’era andato un motivo ci doveva pur essere.

Restava solo, coi suoi pensieri, con le sue richieste alla chiesa. Il silenzio lo confortava, ma continuava a lasciarlo senza risposte. Nelle calde ore di un giorno qualsiasi d’estate, Robert Jr. aveva solo la sua bicicletta.

Doveva trovarla. Sarebbe stata la stessa scena di sempre. Lo avrebbe ferito ancora, ma si trattava comunque di sua madre. La sua famiglia era lei, non padre Dawson. Uscì dalla chiesa con lo sguardo basso, che rivolse, poco prima di montare in sella, alla canonica. In quegli istanti, forse, stava pregando anche per lui.

Cercò ancora il soffio del vento, e questa volta pedalò veloce verso la principale. Billy Ray teneva aperto fino alle tre. Forse sua madre aveva scelto proprio lui. Decise di entrare trainando la bicicletta con sé, aspettandosi la solita accoglienza.

«E tu che diavolo ci fai qui, Robert Jr. ?»

«Ho quarantacinque cent.»

«Sai che non bastano, figliolo.»

«Posso portarti il resto domani, Billy.»

«Quante volte ti ho detto di non rivolgerti a me così ?» disse indispettito Billy Ray. «Dove è andato a finire il rispetto ? Se penso a quello che sarebbe capitato a me…» borbottò in seguito. I suoi occhi vivaci continuavano a soffermarsi sul ragazzino.

«Di’ un po’», disse, «sei qui per tua madre, non è vero ?»

Il silenzio di Robert Jr. gli rispose. Billy Ray abbassò per la prima volta lo sguardo, mentre Robert Jr. continuava a fissarlo.

«Sei ostinato, piccolo Maynard», gli disse. «Anche io ero come te, da giovane. Ma chi mi dice che dovrei fidarmi ? Sai che tua madre non ha il becco di un quattrino. Fai prima a crescere e venire a darmi una mano, così un giorno la potrai mantenere.»

«Sono già abbastanza grande.»

«No che non lo sei!» esclamò contrariato Billy Ray. «Continua a scorrazzare per il paese, è questo quello che devi fare!» Detto questo, aprì il solito cassetto sotto il bancone, e con aria compiacente guardò ancora il ragazzo.

«Avanti, puoi scegliere quella che vuoi. Lei capiterà, prima o poi.»

«Non la voglio. Sono venuto qui per cercarla.»

«Come vuoi», disse Billy Ray. Chiuse l’album di figurine che custodiva gelosamente nel solito cassetto, e si rivolse per l’ultima volta al ragazzo: «Buona ricerca. Ora lasciami lavorare.»

Robert Jr. tornò in strada. I bar del paese erano in tutto tre. Si sentiva tutto sommato sollevato per non aver trovato sua madre dal burbero Billy Ray. Le figurine di baseball lo allettavano fino a un certo punto. Charlie Simmons, poco più in là, lo avrebbe fatto sentire come a casa.

Lo vide proprio fuori dall’ingresso, mentre girava il cartello sulla porta. Evidentemente sua madre non si trovava lì, oppure era uscita poco prima.

«Robert Jr.!» esclamò Charlie, allargando il suo sorriso buffo. «Che ci fai qui, ragazzo? Siamo in chiusura, il vecchio Charlie ha delle cose da fare. Come ti va?»

«Tutto a posto, signor Charlie!» disse allora lui.

«Oh, piccolo!» disse ridendo Charlie Simmons. «Chiamami Charlie!»

«Ha per caso visto mia madre?»

Il signor Simmons diede l’ultimo giro di chiave alla porta. Non sorrideva più come prima. Apparve per un istante pensieroso, poi si rivolse al ragazzo sorridendo come in precedenza: «Non l’ho vista qui, Robert, ma se vuoi ti riporto a casa io.»

«Non ne ho bisogno. Sono in bicicletta. Grazie lo stesso!»

L’ultimo bar si trovava proprio in fondo alla strada. Sempre accarezzato dal vento, Robert Jr. pedalava sicuro di sè. Scese dai pedali, e mise le mani sul manubrio per trainare la bicicletta fino all’ingresso.

Udì il rumore del videopoker già prima di entrare. Un suono fastidioso e continuo, che nascondeva persino il volume della televisione. Sul bancone i soliti operai della Saunders borbottavano qualcosa davanti a una pinta. Si voltarono entrambi verso il ragazzo non appena entrò. Uno dei sue sorrise. Robert Jr. li conosceva ormai di vista, ma tirò dritto.

«Lascia fuori quella bici, ragazzo!» disse una voce dall’altra parte del locale.

«E lascialo entrare, Donnie, che male ti fa?» disse uno dei due operai.

«Ehi, qui le regole le faccio io!» rispose a tono Donnie, il padrone del locale. Si trattava di uno degli uomini più anziani del paese.

«Mi dispiace», disse Robert Jr. Il rumore del videopoker continuava, ma con immensa sorpresa la donna che vi era seduta di fronte si voltò verso il ragazzo non appena sentita la sua frase.

«Robbie!» fu tutto ciò che disse, prima di voltarsi nuovamente verso la macchina illuminata.

«Così! Bravo figliolo!» disse Donnie, dopo che il ragazzo aveva riportato all’ingresso la sua bicicletta. «Non potresti entrare qui, ragazzo, lo sai bene.»

«Io volevo solo…»

«Lo sappiamo che cosa vuoi», disse ancora Donnie. «Beh, è qui! E le fa piacere stare qui con noi. Non hai da studiare, ragazzo?»

Robert Jr. proseguì dritto. Sua madre continuava a gettare d’impulso le monete tra i mille suoni assordanti del videopoker.

«Mamma! Sono qui!» fu tutto ciò che le disse, dopo essersi avvicinato. Lei continuava a fissare davanti a sé. Robert Jr. rimase immobile, aspettando un qualche suo gesto. Sapeva che la mamma non voleva essere disturbata.

«Mi fa pena», disse uno degli operai al bancone.

«Tu non sai che vuol dire avere dei figli», gli rispose quell’altro.

«E con questo?»

Cercarono entrambi di non alzare troppo la voce. Ne seguì una banale conversazione ubriaca, mentre Donnie asciugava i bicchieri e Robert Jr. continuava ad aspettare.

«Mamma? Mi hai sentito?»

«Certo che ti sento, Robbie! Non mi seccare adesso, sto giocando!» rispose lei, continuando a rimanere nella stessa posizione.

«Posso aspettarti, mamma? Quanto ci vuole ancora?»

Mentre Robert Jr. cercava di ottenere una risposta, la porta di ingresso si aprì. Sembrava che le sorprese fossero destinate a continuare, perché chi entrò nel locale non era in alcun modo atteso da Donnie e i due clienti.

«Padre!» disse il padrone. «Cosa ci fa qui?»

«Non ti ho più visto in chiesa, Donald. Ma il Signore ti aspetta sempre», rispose con la solita eleganza padre Dawson. Toltosi il cappello, aveva salutato i clienti e Donnie, per poi rivolgere lo sguardo dall’altra parte, dove il videopoker la faceva da padrone.

«Padre!» esclamò felice Robert Jr.; sua madre si voltò per la seconda volta da quando suo figlio era entrato. Apparve in principio contrariata, poi continuò a giocare come se nulla fosse.

«Ciao Robert», disse padre Dawson. Robert Jr. si fece accarezzare la testa in un gesto che padre Dawson sapeva essere il più materno che potesse ricevere. Fu l’unico a strappargli un sorriso da quando James Saunders lo aveva spinto a terra un paio d’ore prima.

«Non ha giocato abbastanza, Emily?» disse padre Dawson.

«Non sono affari suoi, padre! Gliel’ho detto mille volte!» rispose con rabbia la madre di Robert Jr., sotto gli occhi di suo figlio. «Non dovrebbe essere qui! Se ne torni alla sua chiesa, e se ne stia alla larga da mio figlio!»

«Suo figlio ha bisogno di lei, Emily. E anche io. Mi farebbe piacere che tornasse da noi.»

«Già», ribatté Emily, voltandosi per la terza volta, e fissando negli occhi padre Dawson. «So bene che cosa vuole! Non fa altro che dire la stessa cosa da anni. Non vuole capire che io e Robbie non abbiamo bisogno di lei e delle sue belle speranze? Ora la prego, se ne vada!»

Padre Dawson non si scompose. Robert Jr. gli prese la mano, cercando di trattenerlo. Padre Dawson gli sorrise, gli diede un buffetto, e se ne andò dal locale salutando tutti i presenti.

Sua madre continuò a giocare, muovendosi più nervosamente di prima. Sembrava stesse pensando a qualcosa. Robert Jr. lo sapeva a cosa pensasse sua madre in quei momenti. Continuava a starle accanto, immobile, in piedi.

Alcuni minuti dopo sentì un buonissimo odore di pane tostato. Donnie aveva preparato qualcosa.

«Vieni, ragazzo», disse dopo aver sorriso per la prima volta. «Se proprio hai fame, questo ti dovrebbe piacere. Ci sono tutte le salse che vuoi. Serviti pure.»

Mangiò al bancone del vecchio Donald mentre sua madre continuava a vuotare le tasche. Rimase lì quasi un’ora. Gli operai della Saunders se ne erano andati barcollando già da un pezzo prima che Robert Jr. decise di fare l’ultimo tentativo.

«Ma non dovevi essere fuori a giocare?» fu tutto ciò che gli fu detto.

Ringraziò Donnie, che sembrava stranamente felice di aver dato da mangiare al ragazzino. Uscì dal locale poco dopo, per sfrecciare nuovamente e sentire la voce del vento.

Per strada ripensava a quanto aveva detto a James Saunders. Lui non aveva la minima idea di cosa volesse dire essere artista. La Saunders produceva qualche discreto macchinario, e un buon numero di operai beoni, proprio come quelli che si rifugiavano da Donnie.

Altro che sassi sull’acqua! Il destino non dipendeva da quello. Una volta arrivato a casa, rinfrancato dal cibo di Donnie e dal breve incontro con padre Dawson, Robert Jr. si tolse la maglietta e si diresse subito al suo angolo preferito.

La vecchia batteria di suo padre lo stava aspettando. Si sedette sullo sgabello. Era consumato, ma Robert Jr. si sentiva come un leone, lassù. Le ore che aveva passato lì seduto erano state le più belle della sua vita. Prese in mano le bacchette. Cominciò con un ritmo compassato che aveva in mente da qualche giorno.

«Signore e signori!» urlò deciso nella sua mente. Il pubblico fremeva. Sembrava non poterne più. Aveva aspettato tanto quel momento. Era giunta l’ora di ripagarlo.

«Diamo un caloroso benvenuto alla più grande promessa dei giorni nostri!» continuava l’annunciatore, mentre Robert Jr. suonava ad occhi chiusi, col sorriso sulle labbra che si muoveva a ritmo di batteria.

Robbie Maynard fece il suo ingresso in scena. Il pubblico lo acclamò come mai aveva fatto prima. Occorreva dare il massimo per non deludere se stesso, e le sue migliaia di affezionati.

Il vecchio vinile di rock and roll risuonava per tutta la casa. Erano trascorsi anni da quando suo padre glielo aveva fatto ascoltare la prima volta, e ad ogni occasione Robert Jr. riprovava le stesse emozioni. Si sentiva libero. I vari James Saunders della sua giovanissima vita non potevano dargli fastidio quando il vinile comandava, e la sua batteria lo seguiva.

Robert Jr. si muoveva con energia, puntuale ad ogni battuta. Si sentiva forte, sicuro, apprezzato. Amato dai quarantamila accorsi per vederlo anche quella sera. Il tutto esaurito dimostrava come Robbie ce l’avesse fatta. Era stata solo questione di tempo. Un talento come il suo, in grado di suonare ogni singolo strumento, e di comporre qualsiasi cosa, non si poteva ignorare a lungo.

Suonò per un’ora abbondante. Il concerto, però, durò molto di più. Gli spettatori non si potevano deludere. Si esibì in pezzi di notevole difficoltà, notando lo stupore lungo i volti delle prime file. Il cielo della Florida era tutto per lui. E da lì la giovane promessa avrebbe cominciato un tour per tutti gli Stati Uniti, fino alla California.

A Los Angeles, lì sì che sarebbe stata dura! Forse lo avrebbe atteso il doppio degli spettatori. Ma nemmeno L.A. sarebbe stata troppo grande per lui.

«Sei forte, Robbie!» gli dicevano i fans a fine concerto. Lui firmava tutti gli autografi che poteva. Sapeva quanto significasse per chi aveva atteso il concerto. Poi la limousine lo portava direttamente in albergo. E poi ci si preparava per l’ennesima serata.

Il vero, unico ascoltatore del meraviglioso concerto di un ragazzino di undici anni a casa sua fu padre Dawson. Si era messo fuori dalla porta ad ascoltare per alcuni minuti, nella strada di ritorno per la canonica. Cercò di catturare le emozioni di quel giovane ragazzo al quale era molto legato. I suoi ritmi compassati prima, e rabbiosi poi, lo definivano alla perfezione. Suonava sprigionando la speranza di una giovane vita che voleva gridare al mondo la sua voglia di esserci.

Padre Dawson ripensò alla sua, di giovinezza. Ai sogni che lui stesso aveva avuto, alle speranze dei tantissimi ragazzi che aveva conosciuto poi nelle comunità. Ripensò quindi al suo vecchio amico Robert.

Lui e padre Dawson erano stati legatissimi. Era sempre rimasto al suo fianco durante la lunga e travagliata attesa di Emily per il piccolo Robert Jr., che arrivò tra mille difficoltà.

I problemi tra i due erano nati già in precedenza. Quante volte padre Dawson aveva ascoltato Robert, e la sua volontà ferrea di avere il piccolo Robert Jr. che sua moglie Emily invece non aveva mai assecondato. Alla fine era toccato proprio a lui convincerla. Robert Jr. era nato sotto le parole di conforto di padre Dawson.

Ma l’alcolismo al quale era andata incontro aveva fatto crollare tutto. Il giorno in cui Robert decise di andarsene fu un colpo al cuore anche per padre Dawson. Dopo anni di amicizia e consigli, Robert era scappato, voltando le spalle al figlio che aveva tanto desiderato.

Ancora una volta, tra quei rullanti che parevano urlare di rabbia, padre Dawson ripensava alla triste storia di un ragazzino che nessuno aveva mai voluto. Rimaneva lui, con la sua fede. Così come per suo padre in precedenza, toccava a lui stargli vicino.

Lasciò che il concerto proseguisse, e se ne tornò a piedi verso la canonica, ripensando a tutte le volte in cui Emily e il vecchio Robert lo avevano invitato a cena.

Robert Jr. arrivò all’ultima rullata. Chiuse la canzone con il volto all’insù, in preda all’eccitazione. Si sentiva stanchissimo, ma incredibilmente appagato. Lasciò le bacchette al solito posto, e si diresse verso la sua stanza. Si gettò sul letto esausto. Quarantamila persone. Da non crederci.

«Ecco a chi serve un Maynard, James “figlio di papà” Saunders!»