Armenia, 401 d.C. -1153 a.U.C. (dalla fondazione di Roma).
Era mattino inoltrato quando un viandante passò al limitare di un bosco, uno dei fitti boschi di cui l'Armenia era piena. Indossava un paio di brache marroni scuro infilate nei gambali di pelle imbottiti di lana e fissati dalle corregge in cuoio in modo da ripararsi le gambe dall’acqua e dal fango delle strade. Il mantello verde scuro ne celava le fattezze del viso con il cappuccio. Dall'interno del bosco giunse il ruglio di un orso inferocito, seguito dallo schianto di un albero che rimbombò facendo tremare il terreno. Sembrava quasi che l’animale fosse stato ferito da un cacciatore. L’alta e fitta vegetazione non permise al viaggiatore di vedere oltre le prime file di alberi, ma con una breve corsa raggiunse il grande orso in una radura poco distante; era ferito a un fianco da una lancia, spezzata dal proprio impeto selvaggio. Il sangue sgorgava copioso dalla ferita, striando la folta pelliccia marrone scuro e facendo impazzire quel grosso maschio adulto. Una preda troppo possente per la ragazzina che lo stava fronteggiando a pochi metri, tremante di paura. Con un ultimo, disperato tentativo, la osservò afferrare la sua ultima lancia e scagliarla con forza verso l'animale. Fu un tiro scarso sotto ogni punto di vista, mancò l’animale di parecchi palmi e anche se l’avesse centrato non gli avrebbe comunque causati danni alla gola come doveva essere nelle intenzioni della cacciatrice. La lancia scagliata fece infuriare ancor di più l’animale. Il potente ruggito riecheggiò nella radura e l’orso si sollevò sulle zampe posteriori urlando la propria rabbia. Le zampe scattarono in avanti, ma la giovane schivò, anche se non riuscì a sfuggire del tutto all'unghiata che le recise un’abbondante porzione di pelle sul braccio. Con una capriola si ritrovò lontano dall'animale che ricadde sulle zampe anteriori pronto a caricarla. La ragazza aveva appena compiuto quattordici anni e aveva richiesto di superare la prova della caccia come i maschi suoi coetanei, a differenza di altre ragazze del suo villaggio non aveva ancora un marito perché orfana e nessuno la voleva senza una dote che nessuno dei suoi fratelli poteva permettersi di pagare, sempre se fossero riusciti ad acciuffarla per imporle un matrimonio. Mentre l'orso la caricava, vide con gli occhi della mente il volto dell’unica amica che aveva al villaggio, conscia che non la avrebbe mai più rivista. Un rumore alla sua destra la strappò dalla morsa del panico. Si tuffò in quella direzione appena in tempo, la massa scura dell'orso le passò di fianco schiantando alcuni alberi mentre lei atterrò urtando un oggetto lungo e duro. Un veloce sguardo e la giovane vide che di fianco a lei vi era una spada e senza pensarci ne afferrò l'elsa e caricò l'animale che in quel momento le dava le spalle. Spiccò un agile salto atterrando sulla schiena della bestia e con forza affondò la spada. Colpito a morte l'orso stramazzò a terra trascinandosi dietro la giovane che, con un’agilità sorprendente, spiccò un salto indietro estraendo la spada. Dopo un lesto volteggio in aria atterrò ad alcuni passi di distanza dall'orso.
La ragazza fissò la spada che impugnava senza comprendere da dove fosse giunta. Si guardò intorno, spaesata. Non aveva una spada con sé quando era andata a caccia, e quella era una spada lunga e dalla lama appena incurvata, affilata solo sul lato esterno fino alla punta. Come tutti i guerrieri che affrontavano quella prova si era portata via tre lance e l'arco con la faretra piena di frecce, che aveva perso durante il primo agguato all'orso.
Dal limitare del bosco, sistemato su uno dei primi rami, l'uomo aveva visto tutta la scena e annuì compiaciuto.
Il vedere quella piccola furia dai capelli rossi combattere in modo così avventato lo riportò indietro di parecchi anni, a quella notte nel deserto egiziano in cui Azia Medea Rubinia Antinea gliele aveva suonate di santa ragione. Nemmeno sfoderando i suoi poteri a piena potenza si era salvato da quel pestaggio e, tutto sommato, anche a distanza di decenni non poteva darle torto. Quella ragazzina le somigliava molto, come indole… e tuttavia era diversa, lo avvertiva a pelle, come se celasse qualcosa.
Fino a ora, forse,si disse. Aveva intenzione di scoprire in fretta i suoi segreti.
L’aveva studiata durante tutto il combattimento, osservando le movenze agili, ma ancora grezze della giovane, l’impeto battagliero, il cedimento al panico. La sua spada era servita, eccome.
La ragazza stava ancora osservando la lama dell’arma, ricoperta di lettere sconosciute, che terminava in una guardia circolare mentre l’elsa, era fasciata con strisce di pelle nera. Sentendo un rumore alle proprie spalle si voltò di scatto, la spada sollevata in posizione di guardia. Osservò guardinga la figura ammantata avanzare dal bosco tremando, alla tensione accumulata durante quel combattimento si unì quella causata dalla comparsa dello sconosciuto. Uno sconosciuto dall’aria pericolosa, che le camminava incontro come se lei non costituisse alcuna minaccia. La paura s'impossessò della giovane che perse la presa sulla spada per il tremito incontrollato. Arretrò d’istinto e poi, vedendosi perduta, allungò la mano verso quella spada prodigiosa, cui era bastato un solo affondo per uccidere un orso adulto. Per quell’uomo sarebbe bastato molto meno. Era la sua unica possibilità di salvezza. La spada, dalla lama lunga e incurvata, iniziò a vibrare e, fluttuando veloce nell'aria, raggiunse la mano della giovane che, afferrata l'elsa, la sollevò contro dell'uomo.
«Agilità oltre la media e potere della mente. Notevole».
«Non… non ti avvicinare o ti ucciderò».
Per tutta risposta l'uomo fece due passi avanti e la giovane ne fece due indietro per poi caricarlo all'improvviso con un urlo poderoso. Lui non si mosse, si limitò a unire indice e medio della mano destra davanti al petto e disegnare una breve linea retta dalla ragazza agli alberi. Fatti tre passi di corsa, la spada fuggì di mano alla giovane volando fino a conficcarsi nel tronco di un albero poco distante. Altri due passi e l’uomo mosse ancora le dita unite, stavolta in un movimento dal basso verso l’alto. Un bastone si sollevò da terra a interrompere la sua corsa con un forte colpo allo stomaco, facendole espellere tutto il fiato che aveva in corpo. La giovane si piegò, arrestandosi mentre il bastone roteò e la colpì dietro alle ginocchia facendola cadere in ginocchio.
«Hai un impeto notevole rossa, ma non sai batterti.» La giovane sbatté più volte le palpebre osservando il bastone fluttuare a mezz'aria davanti al suo naso. Venne distratta da quel fenomeno dalla voce calda e ferma dell’uomo.
«Non hai tattica, non hai metodo. Non sai controllare i tuoi poteri. Manchi di allenamento».
«In poche parole, un fallimento!», gracchiò affranta la ragazza, singhiozzando. «Grazie per avermelo ricordato».
«Alzati. Piangere sui propri errori non serve quando si è ancora vivi per imparare».
Il bastone cadde a terra, privato della volontà che lo sosteneva. La giovane si sollevò lentamente, controllando i movimenti dell'avversario. Lui la osservava a sua volta. Sapeva benissimo cosa stessero vedendo gli occhi dello straniero: un mostro. Era nata con la pelle scura e gli occhi di due colori diversi, oltre ai capelli rossi come il fuoco.
«Chi sei?».
«Tranquilla, non ho cattive intenzioni, la spada che ti ha salvata è mia».
Lei lo guardò torva, quella risposta non le bastava.
L’uomo scostò il cappuccio del mantello in modo da mostrarle il volto. La prima cosa che lei notò fu la bocca sottile incorniciata da una barba ben curata, senza baffi. Subito dopo vide i suoi occhi verde intenso, mentre il naso non rispecchiava nessuna popolazione che lei conoscesse. Non che ne conoscesse tante, per lo più per sentito dire. Quando la fissò, lo vide sorridere. Il suo salvatore aveva l'età del più grande dei suoi fratelli.
«Mi chiamo Elios Tigrane e passavo per caso qui vicino quando ho sentito l’orso».
La giovane rabbrividì sentendo nominare l’animale e il suo occhio argenteo controllò velocemente che l’animale fosse immobile.
«Potrei aiutarti e insegnarti a migliorare le tue abilità».
«Insegnarmi? Che cosa vorresti insegnarmi tu?».
«A combattere intanto. Vorrei farti riflettere su un particolare». La ragazza lo fissò attenta, aveva attirato la sua attenzione. «Prova a tornare al tuo villaggio a dire che hai ucciso quell’orso da sola. Se ti credessero, ben presto non ti vorranno più con loro perché non è ammissibile che una donna cacci e combatta… sono finiti quei tempi. Quando poi troveranno l'orso ucciso penseranno che tu sia una strega».
L'uomo ricordò come invece fossero chiamate e rispettate una volta le donne che adesso venivano perseguitate in molte parti dell'impero. La giovane tremò, ricordando i racconti ascoltati da alcuni viandanti.
Alcuni rumori lontani interruppero il loro discorso e la ragazza lo guardò intimorita.
«Stanno arrivando».
La giovane afferrò il bastone caduto a terra e si rialzò con un colpo di reni mentre l’uomo scostò un lembo del mantello scoprendo un fodero vuoto, verde come le pietre più pure e cesellato di ricami in oro. L'uomo poté vedere quegli occhi fissarlo curiosi. L’occhio sinistro era celeste come il cielo senza nubi mentre l’altro era d’argento e i tratti del suo visetto grazioso confermavano il retaggio egiziano, rivelato già dal colore della pelle.
Lei sorrise inclinando la bocca come se lo stesse irridendo. «Io sono Nany Terzia dei Lupi».
L'uomo annuì e la spada si sfilò dal tronco nel quale era conficcata per metà lama e, leggera come se fosse una piuma, attraversò la radura ruotandosi veloce quando giunse dinnanzi all'uomo. Silenziosa la spada scivolò nel fodero lasciando la giovane a bocca spalancata. L'uomo sollevò la mano destra, muovendo due dita in direzione della giovane e il bastone le sfuggì di mano giungendo a portata dell'uomo che lo afferrò.
«Andiamo giovane Terzia. Da oggi inizia il tuo addestramento».
«Perché dovrei venire con te?».
«Perché non avresti sconfitto l'orso da sola. Perché non puoi tornare al tuo villaggio dove non saresti accettata. E perché non è quella la tua strada».
L'uomo prese a correre nel bosco seguito dalla giovane che, sbuffando, insistette: «Perché vuoi aiutarmi?».
«Perché mi ricordi una mia vecchia amica, anche lei era impulsiva come te».
«Era?».
L'uomo ritornò serio, sollevò lo sguardo verso il cielo e dopo pochi istanti le rispose serio.
«Era. Adesso è con gli eroi, nei Campi Elisi».
Nany sussultò, stupita. «Professi l’antica fede?».
«Andiamo non abbiamo più tempo», tagliò corto lui, senza rispondere.
Antica fede. Quella ragazzina non poteva immaginare quanto fosse antica, la sua fede.
Riprese a correre tra gli alberi, nella direzione dalla quale era venuto. Nany lo vide muoversi sicuro saltando dei cespugli, una roccia che lei non aveva notato, e altri ostacoli che lui vedeva con ampio anticipo mentre lei riusciva a schivarli solo perché seguiva i suoi movimenti per stargli dietro.
Dopo aver corso per mezz’ora l’uomo si fermò, restando in ascolto.
«Riposiamo un po’, intanto pensa a un rifugio sicuro».
La ragazza si era piegata poggiando le mani sulle ginocchia respirando veloce, il combattimento e la corsa l'avevano sfibrata. Tra un respiro e l’altro Nany riuscì a ricordarsi della grotta che vi era più a valle.
L'uomo stava pensando quando sentì l'abbaiare dei cani e la giovane iniziò a tremare di paura ricordandosi come quegli animali avevano ridotto un ladro sorpreso a rubare nel villaggio.
Imperturbabile, Elios la guardò e poi fece due passi nella direzione dei latrati e si fermò.
«Ma… ma cosa vuoi fare? Scappiamo, hanno i cani».
«Fai silenzio in te e sentirai».
La giovane stava per domandargli cosa dovesse sentire quando ne colse la tensione nel corpo. Lo guardò rilassarsi alcuni istanti mentre toccava un albero, carezzandolo con la mano, in silenzio lo osservò inginocchiarsi a terra e posare l’altra mano sull’erba rada del sottobosco.
«Andiamo, abbiamo un po’ di vantaggio», disse rialzandosi.
Ripresero a correre, il mantello di Elios svolazzava ad ogni salto, una folata di vento glielo aprì del tutto quando compì un salto verso un ramo poco avanti a lui e, afferratolo, si arrampicò veloce fino a sedersi su uno dei rami più alti. Mentre Nany saliva a sua volta sentirono un ululato. Poco dopo la giovane giunse sul ramo sotto a quello di Elios, entrambi osservavano il bosco nella direzione dalla quale erano arrivati, mentre l'abbaiare dei cani si avvicinava.
«Sono vicini».
«Perché mi hai salvata? Non può essere solo perché ti ricordo qualcuno».
L'uomo la guardò negli occhi e quel che vide lo fece tremare dentro, riconobbe lo sguardo deciso e impaurito al tempo stesso che scorse in quegli occhi diversi tra loro, comprendendo come la vedessero i suoi compaesani. Tornò a guardare nella direzione da cui erano arrivati, ma decise di darle una spiegazione veloce.
«Penso sia stato il Fato a farci incontrare. I tuoi poteri, come i miei, derivano dagli antichi dèi e in questi tempi morirai in breve tempo se non imparerai a controllarli. Non che il tuo aspetto ti faccia passare inosservata». Ai singhiozzi della giovane Elios aggiunse: «Spesso gli uomini accettano le differenze se chi le possiede ha abbastanza potere per difendersi o per passare inosservato. Se vorrai ti insegnerò a fare entrambe le cose».
La ragazza riprese titubante: «Maestro, m’insegnerai solo a difendermi e nascondermi?».
La guardò e le rispose sorridente: «Se stai zitta, intanto potresti imparare a fuggire».
La piccola abbassò il capo mettendo il broncio; era una guerriera impavida, una donna, ma si comportava ancora come una bambina. Per alcuni istanti rimasero in silenzio e lei si lasciò sfuggire un urletto quando l'uomo la afferrò per il fianco e sollevandola la strinse a sé lasciandosi cadere nel vuoto. Scesero lentamente, come se una corda invisibile ne stesse rallentando la caduta. La giovane gli si avvinghiò addosso, smettendo di urlare sconvolta da quel prodigio. Quando la posò a terra, le carezzò i capelli ramati con un gesto di tenerezza che lei non si sarebbe mai aspettata da un uomo d'azione. Nany riuscì a contenere la paura per quanto era appena accaduto e guardandolo comprese che lui stava vedendo un'altra donna e si concentrò fissandolo negli occhi. Per un istante soltanto vide un volto: un essere dalla pelle azzurro chiaro quasi trasparente, con gli occhi del colore del cielo e fluenti capelli verdi come l’erba dei prati raccolti in molteplici trecce raccolte con piccoli anellini di legno. Gli occhi azzurri dell’essere la fissarono e il volto appuntito si rilassò mentre la bocca si aprì in un sorriso carico di amore.
No, non sta guardando me, guarda lui.
L'uomo si scosse e, afferratala per un polso, riprese la corsa.
«Il rifugio?».
«Di là».
«Fai strada».
La giovane corse sicura in avanti, diretta alla grotta mentre Elios le stava dietro controllando che nessuno li seguisse.
I cani sono sempre alla stessa distanza… lei invece si sta dirigendo verso l’ululato… eccolo di nuovo, meglio un lupo di un branco di cani.
La giovane si bloccò dinnanzi al fiume ingrossato dalle forti piogge dei giorni precedenti.
«La grotta è poco sopra quella salita, dobbiamo attraversare il fiume, ma si è ingrossato troppo per guadarlo qui».
La giovane lo guardò studiare il fiume.
Elios esclamò: «Perderemo troppo tempo per trovare un guado più a valle e tornare indietro».
Nany osservò anch’essa il fiume, rimuginando su una possibile soluzione, venne così colta alla sprovvista quando si sentì sollevare in aria senza che nessuno la stringesse e strillò spaventata guardando il suo salvatore allontanarsi.
«Maestro!».
«Calmati… non ti lascerò cadere».
Nany riprese il controllo di sé spezzando la gabbia di panico che l’aveva imprigionata solo quando si trovò a stringere i pugni nel ghiaino fine vicino al fiume. Sull’altra sponda Elios la guardava quasi con biasimo.
Ricordò la spada, a come le era giunta in mano al solo pensarlo. Non era la prima volta che le succedeva, quando si sentiva minacciata capitavano cose che non si spiegava molto. Le bastava solo desiderarle e accadevano.
Allo stesso modo, quindi, Elios aveva fatto lo stesso con lei. Il latrato dei cani si faceva sempre più vicino. La grotta in cui pensava di nascondersi era poco più in alto, voltando le spalle al fiume iniziò a salire, il suo maestro non avrebbe tardato. Nany sorrise pensando a quell’uomo come suo maestro, le ricordava più un avventuriero che un insegnante. Sentendo un colpo sordo sotto di sé, la giovane si voltò giusto in tempo per vederlo spiccare un balzo che glielo fece atterrare davanti. Se era come immaginava, Elios aveva coperto circa quindici pertiche con due balzi.
«Presto, alla grotta».
Troppo sbigottita per proferir parola, la cacciatrice riprese a correre fino a un piccolo tratturo oltre il quale si trovava la grotta nascosta da alberi e arbusti. In quel momento sentirono di nuovo l'ululato, ancora lontano, di un lupo.
Giunti dinanzi alla caverna, l'uomo s’inoltrò per controllare che non vi fossero pericoli, ma la giovane lo spinse dentro, sentendo l'abbaiare dei cani, bisbigliando spaventata: «Sono qui!».
Gli uomini del villaggio si fermarono una volta giunti al fiume e quello che li guidava impartì alcuni ordini secchi: «Avanti, due di voi procedano verso valle e altri due verso monte».
«Non penserai che abbiano guadato il fiume?».
«Ragiona, fratellino. In questo momento è troppo profondo per poter essere guadato, anche se l’uomo che è con lei l’avesse aiutata sarebbero affogati».
«Un uomo?».
Il primo sorrise verso il fratello minore e gli indicò un punto del terreno: «Vedi là? Ci sono quattro impronte e due sono più grandi, appartengono a un uomo. Un piede ha pesato più dell’altro quindi o è ferito…».
«Ma non avrebbe corso così veloce».
«Esatto, quindi ha saltato. Si sarà gettato in acqua per trasportarla rimanendo sotto riva in modo da risalire tra qualcheatto sperando di far perdere le tracce ai cani».
«Ecco che rientrano gli altri».
Dopo aver parlato tra di loro il gruppo si mosse verso valle.
Il sole iniziò a tramontare ed Elios uscì dalla grotta per raccogliere alcuni rami per accendere un fuoco.
Mentre era chinato per accendere l’esca con un acciarino consunto, sentì Nany prendere il respiro e decidersi a parlare. Era da quando erano entrati che non aveva più aperto bocca.
«Grazie per avermi salvata».
Elios annuì. «Ti insegnerò a difenderti, Nany».
«Lo hai già detto». La risatina riempì la caverna rimbombando ovunque. «Dimmi qualcosa che non so, maestro».
Il suo tono era un misto tra l’indagatore e l’irrisorio.
«Allora, come hai visto anche io ho alcune doti particolari, alcuni li chiamavano poteri magici, ma non è corretto». La giovane si avvicinò al fuoco sedendosi su un masso abbastanza comodo e tirandosi la tunica sulle gambe nel tentativo di coprirle.
Lui continuò: «Mi par chiaro che anche tu abbia alcune doti dalla nascita. Non deve esser stato semplice crescere per te».
«No, non lo è stato. Mio padre è morto in una delle tante battaglie che si sono combattute da queste parti contro i barbari». Alcuni singhiozzi la scossero al ricordo di quanto era accaduto ed Elios le porse una coperta che aveva appena estratto dalla bisaccia. «Grazie. Si è stato difficile crescere con una madre che non sapeva come spiegare come fossero morti i quattro barbari che avevano ucciso suo marito. Negli anni ha fatto qualsiasi lavoro per poter sopravvivere. Se mi vuoi ti pagherò con il mio corpo. Ho visto come si fa e so che gli uomini pagherebbero molto bene per una come me».
Elios la guardò tristemente quindi le fece segno di tornare a sedere.
«Copriti, una donna non dovrebbe…».
«Cosa? Fare la puttana? Era l’unica cosa che poteva fare per darmi da mangiare, per questo ho imparato a cacciare».
«E per questo ti sei trovata alle prese con l’orso».
Nany allungò le mani verso il fuoco in cerca di calore e dopo alcuni istanti, durante i quali aveva fissato il danzare delle fiamme, riprese a raccontare: «Sì, ho voluto affrontare la prova per poter diventare un cacciatore».
«Notevole, e quanti anni hai?».
«Quattordici… e non sono sposata!».
«Calma, lo avevo capito. E tua madre?».
«La febbre se l’è portata via lo scorso inverno».
«Dormi adesso, io farò un po’ di guardia».
«Non serve, ci sono i lupi, sentiremo se si avvicineranno altri uomini».
«Quindi Nany Terzia dei lupi, che legame hai con loro?».
«Hai detto che dovevo dormire, dormiamo». Di nuovo la giovane si lasciò andare a una risatina divertita. «Tanto tu non mi hai raccontato nulla di te».
Lui estrasse dalla bisaccia una borraccia e due pezzi di carne secca, ne porse uno alla giovane mentre si appoggiava alla parete di roccia.
«Domattina all’alba ci rimetteremo in cammino».
«Non lo so perché Terzia… in quanto ai lupi… in famiglia siamo sempre stati molto affini con quell'animale».
Elios annuì in silenzio, se avesse avuto voglia di parlare l’avrebbe ascoltata.
«Capisco. A guardarti mi viene da pensare che devi aver avuto parenti egiziani».
«Mia mamma diceva che… dunque… che la nonna di sua nonna le aveva raccontato che sua mamma aveva amato un egiziano, un uomo straordinario». Il sorriso della ragazza parlava di un racconto d'amore fantastico. «La storia di come lo conobbe nel Ponto ce la tramandiamo di madre in figlia, era una storia fantastica e, se era tutto vero, l'uomo che aveva conosciuto era uno di quegli eroi in grado di fare imprese incredibili».
I due iniziarono a mangiare in silenzio, scaldati dal calore del fuoco.
La giovane finì la carne secca in silenzio per poi stendersi a guardare le stelle, le braccia incrociate dietro la testa.
«Maestro, gli dèi si curano di noi? O sono solo delle leggende pagane? Così dicono i cristiani, so che anche perseguitano coloro che ancora seguono l’antico credo».
La voce gli giunse bassa e l'uomo si mise le braccia sulle ginocchia, fissando la giovane al di là delle fiamme.
«Gli dèi si curavano di noi, Nany. In tempi lontani camminavano pure tra noi, e hanno amato i mortali, ma poi se ne sono dovuti andare perché abbiamo smesso di credere in loro e i loro sacerdoti sono stati perseguitati da quelli di altri culti. Purtroppo, è successo già altre volte».
«Quindi non sono storie?».
«Sono la storia, ma far passare la storia per leggenda e cambiarla è il primo passo di coloro che ti vogliono dominare. È ironico, non trovi? Coloro che erano perseguitati hanno dimenticato l’insegnamento principale del loro maestro diventando persecutori crudeli».
«Dobbiamo abbandonare le foreste per pregare nelle loro chiese e obbedire senza porre domande?».
«Dovrai farlo per vivere, ma non allontanare mai l’antico credo dal tuo cuore e gli dèi non saranno dimenticati».
Il tono di Elios era carico di malinconia, come se avesse vissuto di persona l’incontro con gli dèi, e a Nany non sfuggì.
«Come la storia della nonna; mi disse che ai tempi della sua antenata vi era ancora una dea che proteggeva l'Egitto e, per guidarlo al meglio, al principe che aveva nominato aveva donato una vita lunga cento vite». Si voltò a fissare il maestro. «Tu ci credi a queste storie?».
L'uomo sorrise nel sentire quel racconto. «A volte le storie nascondono un fondo di verità Nany, ma adesso è ora di dormire».
La giovane rientrò sotto lo sguardo attento del maestro, andò a stendersi su un giaciglio di erba preparato poco prima e, con la voce impastata dalla stanchezza e dalle emozioni della giornata, gli pose una domanda: «Maestro… mi insegnerai a portare la pace?».
«La pace è un'illusione, vi è solo la stabilità, l’equilibrio. Quello si può portare agli uomini, ma serve passione. Passione per un ideale».
Nany si addormentò quasi subito vinta dalla stanchezza della giornata. A metà della notte si svegliò tremante dall’incubo, l’ennesimo. In silenzio prese la propria coperta accostandosi al corpo dell'uomo che dormiva sereno. Si accoccolò sentendone il calore e poco dopo si riaddormentò rasserenata, contenta di non aver svegliato il suo maestro.
Nel buio, lui sorrise.