illustrazione di Elisabetta Giulivi
È un'eclissi così persistente, sporadicamente intrisa di una luminosità solo a tratti non nefasta, la vita.
Un coro di preghiere si alza a volte attorno a noi, in forma di cerchio ma con toni d'iperbole; ammonitori statici che non ci sfiorano, ricolmi di tracotanza per un passaggio ipocrita nelle nostre esistenze. È come un circolo con velleità sacrali ma spinto, come spesso accade, da pulsioni profane.
Molto più spesso, immersi nell'oscurità dell'eclissi, mentre i nostri occhi vengono torturati dagli aghi delle interferenze nella luce così diffusa e obliqua, scorgiamo molteplici e caotiche ombre danzare scomposte e rapsodiche, fin troppo vicine; accade quando il circolo del nostro limitato orizzonte perde la coscienza dell'insieme, quando il Caos alza la sua quota di ingerenza nei confronti del nostro status mentale e di quel ben delineato circolo resta unicamente un circo. Che preme sulle nostre meningi, dalle quali non può essere contenuto, non avendo sede in esse.
Nei momenti degli accessi più vanesi alla nostra psiche o dei dialoghi più introspettivi con la nostra coscienza, quello stesso circolo è come composto da megalitici specchi dove ammirare, rispettivamente ai due casi anzidetti, il riflesso del nostro involucro più vuoto o del nostro Ego più etico e pensante. Porre attenzione ai minuziosi dettagli sulla cornice degli specchi, scongiurerebbe il primo; assumere un punto di vista spazialmente inferiore o superiore o ancora immaginare una realtà di là da essi, come seguendo una lezione leopardiana, salverebbe dal secondo. Se soltanto fosse facile smettere di guardarsi, fuori e dentro.
Succede inevitabilmente, anche a chi odia e rifugge gli specchi; poiché non genera da essi ma da spinte subliminali comuni nell'era dell'apparire, oppure dalla bilancia tra la concretezza dei risultati e l'evanescenza delle colpe (o ancora, dai loro esatti contrari), con la quale malamente tentiamo di soppesarci.
A ben guardare, una vera ed inflessibile coscienza troverebbe costantemente errori in quegli autoriflessi tediosi, poiché non esiste peggior inquisitore che una discussione con noi stessi; giungendo alle estreme derivazioni di questo assunto, gli immacolati specchi diverrebbero una schiera di fatiscenti sbecchi protrusi a sempiterna memoria di fallacia e fallibilità, una distorsione dei nostri errori rifratta da una lente ineccepibile, al punto da essere percepita (ed eccepita) come aliena da noi stessi.
Ci ritroviamo così, a volte nel mezzo d'un circolo sacro o virtuoso o che crede d'esserlo; altre volte al centro d'un circo di danzatori ombrosi, folli e caotici; in altri momenti ancora, siamo all'intersezione dei nostri riflessi o delle nostre riflessioni; infine, devolviamo altri istanti ad accentrare verso di noi le lugubri ombre appuntite dei nostri errori. Più spesso, è la contemporaneità di queste condizioni ad assommare in negativo, lasciandoci solo uno spiraglio nel buio.
La vita, non nefasta solo a tratti, intrisa di una luminosità così sporadicamente persistente, è un'eclissi.