Esperienze, Parte Quarta Onnigrafo Magazine

Esperienze, Parte Quarta

[da le "Storie dei Regni Unificati"]

Dall'interno del Campo I si riversarono centinaia, forse un migliaio di individui. Questi però sembravano normali, senza nessuna deformazione fisica apparente.

I primi difensori, quelli con il torso gigante, stavano perdendo terreno e alcuni stavano persino indietreggiando verso le mura e il cancello ora aperto, per cui il resto dell'esercito stava avanzando, così da poter dar inizio all'assalto all'interno della cinta, spalleggiati dai Genieri che si portavano appresso scale ed esplosivi a innesco o da lancio. I trabucchi vennero lasciati alle loro postazioni, con una o due guardie appiedate a difesa; questi ultimi erano solitamente uomini che stavano in quarantena o in degenza da qualche malattia.

La nostra legione, ora di nuovo compatta, stava muovendo verso lo spazio tra la breccia e il cancello ora aperto, in modo da arginare l'attacco. I difensori sopra le mura lanciavano i loro attacchi molto lentamente, quasi come i nostri trabucchi facevano a inizio assedio. Infatti ora le nostre armi d'assedio tacevano, dato che tutti i Genieri si erano mossi dalle loro postazioni per dar manforte agli attaccanti.

Quel lasso di tempo tra un attacco e l'altro del secondo archetipo di difensori dava al nostro Primo Mago tutto il tempo per immaginare una risposta efficace.

Prima che Mano Nera potesse arrivare, gli altri difensori stavano utilizzando la nostra barriera protettiva come sponda per i propri attacchi: questi sbattevano sulla nostra protezione per poi cadere con maggior vigore in mezzo ai militi delle altre legioni.

Fortunatamente questo accadde solo per pochi lanci. I Secondi stavano già cominciando i riti per dissipare quella coltre protettiva che ora stava aiutando i byestiani. Nel mentre, i Primi cercavano di arginare i danni come meglio potevano, facendo esplodere gli attacchi nemici per aria con un attacco altrettanto potente. Così facendo, spesso creavano boati e ondate di calore che bruciavano occhi e orecchie. Nonché una pioggia di fuoco nero inestinguibile con metodi normali, ma non tramite un rituale magico che i maghi di compagnia non tardarono a trovare.

Intanto Mano Nera cominciava la sua controffensiva agli attacchi sotto le mura.

La prima fu quella più sensazionale, a mio avviso.

Era ormai a venti passi o poco più dalla breccia e aveva lanciato dalla mano sinistra quello che sembrava un dardo lucente verso uno dei difensori, dritto in volto. Pensavo che lo avrebbe stecchito lì sul posto.

E invece questo rimase in piedi, le braccia ancora spalancate sopra di sé. Girò semplicemente la testa, concentrando l'attenzione sul nostro mago.

Mano Nera quindi fermò il cavallo e attese, lanciando la sua sfida silenziosa. Da sopra le mura, partì l'ennesimo ammasso di fuoco nero esplosivo, caricato con così tanta flemma da far trattenere il respiro; questa volta era rivolto al nostro mago.

Che non fece attendere la propria replica.

Creò davanti a sé, con un movimento circolare della mano destra, quello che sembrava uno specchio, ma non potevo vedere da dove mi trovavo quello che raffigurava, o se proiettava qualcosa.

Ma lo scoprii immediatamente.

Mano Nera fece in modo di andare verso quella stella nera per intercettarla, così da farla cadere all'interno di quell'oggetto che aveva creato... per poi ricomparire subito sopra a colui che lo aveva lanciato!

L'esplosione fu accolta dagli attaccanti in rotta con un urlo di giubilo, anche da parte mia. Questa contromossa non solo aveva detronizzato i difensori, pagandoli con la loro stessa moneta, ma aveva allargato ulteriormente la breccia. Se prima vi si poteva passare un uomo alla volta, ora due cavalli potevano passarci affiancati senza il minimo sforzo e, dopo una breve scalata tra le macerie, si poteva entrare all'interno delle mura.

Ma se da una parte si guadagnava terreno, dall'altra il movimento era incerto.

I difensori dalle braccia spropositate stavano fuggendo in mezzo ai nuovi arrivati che, come detto, non avevano nulla di anormale, all'apparenza. Semplicemente correvano e urlavano, o digrignavano i denti, o mugolavano, le braccia tese dinnanzi a loro come a voler afferrare tutto quello che non era loro alleato.

L'Aquila IX creò un muro di scudi, con il fianco sinistro protetto dalle mura del Campo I. Ora, per i difensori attestati sopra la fortificazione, l'esercito poteva star tranquillo: i Primi erano ormai in prima fila a protezione dai difensori con l'encefalo anormale, i Secondi stavano tamponando nelle retrovie i danni dovuti al fuoco nero.

Poi, a un certo punto, sentii dire vicino a me: «Quegli occhi... quegli occhi non promettono niente di buono!».

Non ho idea di quanto tempo fosse passato dal momento in cui avevo distolto lo sguardo; il sole aveva compiuto buona parte del suo tragitto nel cielo, forse un'altra clessidra e mezzo, forse due. Così, quando mi girai verso chi aveva pronunciato quelle parole, ebbi un sussulto.

Era stato uno degli altri Storici, quello della Verità IV, a parlare. Un tipetto minuto quasi quanto me, con le mani grandi in confronto al resto del corpo e una calvizie incipiente. Teneva in mano, davanti a un occhio, un cono, fatto di un materiale che sembrava ferro e legno, e lo puntava contro il campo di battaglia.

Avevo già sentito parlare di quegli oggetti, usati per lo più nelle navi delle coste del Sud e dell'Ovest. Difficilmente li si vedono nella terraferma. Difatti, quella era la prima volta per me.

«Chiedo perdono, collega», gli chiesi, mentre mi avvicinavo in sella al mio cavallo baio, «riesci a vedere con quell'arnese i nuovi archetipi di invasori? Da qua li vedo come gente comune, a differenza dei precedenti»

«Vuoi scherzare?», esclamò abbassando il tubo, posandolo delicatamente a terra e appuntando qualcosa con una calligrafia davvero squisita, seppur efficace e veloce. Sembrava usasse una grafia che solo lui poteva comprendere. Cose che capitano tra gli inviati in guerra: in caso di sconfitta, e nel malaugurato momento in cui fossimo presi in ostaggio, il nemico non riuscirebbe a comprendere quello che scriviamo; così, avremmo una piccola possibilità di rimanere in vita, per decifrare ciò che solo noi possiamo decriptare.

Notai anche che stava abbozzando un disegno dei nuovi difensori, e potei scorgere anche degli abbozzi degli altri archetipi. Incredibile come questo omino potesse scrivere e disegnare così velocemente e con così tanta precisione!

Presi anche nota del ripiano che usava per prendere appunti. Con dei lacci di cuoio a mo’ di bretella, aveva legato di fronte a sé uno piccola lastra di legno che utilizzava come banco; vi aveva praticato un foro per la boccetta di inchiostro, e altri due più piccoli, uno per la mezzaluna di carta assorbente, e l’altro per il raspino per grattare via l'inchiostro secco in eccesso. Davvero ingegnoso.

Non mi degnò di uno sguardo, assorto com'era nel disegnare.

Il tubo ottico era rotolato leggermente verso di me e lo colsi come un segno del Fato. Smontai agilmente dal cavallo, mi chinai e lo raccolsi per studiarlo. Gli anelli, uno più grande e uno più piccolo agli estremi, sembravano fatti di bronzo e la canna, lunga poco più di un avambraccio, era di un materiale molto leggero, forse di carta molto spessa.

Mi tolsi le lenti che usavo per compensare la mia miopia e posai l'oggetto su di un occhio, come aveva fatto il mio collega, che subito mi riprese: «Al contrario, mia cara. Così i soggetti li vedrai ancor più piccoli!».

Staccai subito il tubo da me e mi sentii avvampare in volto, come se avessi combinato una marachella. Guardai verso lo Storico, che non aveva staccato gli occhi dalle proprie pergamene. Ricordo che ora stava tamponando leggermente con la carta assorbente il disegno appena concluso.

Rigirai nelle mani quello strano arnese e ritornai a vedervi dentro.

Meraviglia! Adesso riuscivo a vedere molti più dettagli dello scontro, come se fossi a un terzo della distanza attuale.

Mentre cercavo il muro di scudi con impaccio, chiesi il nome del mio collega, che rispose «Muddock Kimmer detto Mudd, di Visthev». Gli chiesi se aveva da vendere uno di quei cosi che rispondevano al nome di “cannocchiale”. Mi rispose che quello in particolare lo aveva vinto al gioco nella sua terra natia, poco prima di mettersi in lista per l'esercito, cinque anni addietro. «Quello che hai in mano è una versione molto antica e delicata», continuò, allungando la mano come a rivolere indietro il cannocchiale, «e me la porto sempre appresso più come un portafortuna. Da noi, al Sud, ce ne sono di infinitamente più pregiati e potenti. Questo ha solo una potenza ottica quasi tripla in confronto a un occhio umano, ma conosco capitani e vedette che ne hanno di dieci volte superiori. Possiamo vedere se uno dei fabbri dell'esercito ha le competenze per crearne uno».

Ormai mancavano poche falcate dei difensori al muro di scudi, quindi tentai di imprimermi il maggior numero di dettagli nella mente. I nuovi difensori, il terzo archetipo, per intenderci, erano proprio come Mud li aveva disegnati. Praticamente un'ombra di un essere umano, ricordavano vagamente i lineamenti classici delle persone dell'Est, ma molto più scavati. Sembrava non si nutrissero da parecchio tempo; non quanto quelli dall'encefalo esploso, il secondo archetipo, che avevano decisamente le membra minute. Ed effettivamente gli occhi erano, se non altro, particolari. Era come se avessero una maschera nera attillata dalle gote al sopracciglio; non mi stupiva che così tanti cadessero durante la carica. Inoltre, molti correvano in postura non dritta, ma leggermente ricurva.

Prima di abbassare il cannocchiale per ridarlo a Mud, con la coda dell'occhio notai un essere differente dagli altri nella massa. Chiesi al mio collega di aspettare e tornai a guardare.

La massa di byestiani urlanti era ormai arrivata all'impatto con il muro di scudi. Il resto dell'esercito si era mosso in modo da allungarne la linea, a difesa di coloro che dovevano ancora entrare, ma anche per evitare un accerchiamento da parte della sortita dei difensori.

Passò un'ulteriore decina di battiti di cuore prima dello scontro, e scorsi quello che prima avevo notato così di sfuggita: un difensore diverso da quelli visti fino ad ora.

Cercai di seguirlo con il cannocchiale, ma era molto più agile degli altri e non ero sicura che si trattasse sempre dello stesso esemplare.

Quando, infine, i due schieramenti impattarono, sembrava che non ci fosse storia. I byestiani erano disarmati, e semplicemente spingevano o si aggrappavano agli scudi del nostro esercito per abbassarli. Quelli che riuscivano in questo intento venivano subito trucidati con le lance o le corte spade dei soldati, alle spalle di chi reggeva il clipeo.

Mud cominciava a essere impaziente di riavere il proprio arnese, così da poter vedere meglio cosa stesse succedendo. Dovetti ridare il cannocchiale al proprietario. Saltai di nuovo in sella, e indossai le mie lenti. Ormai era un po' che non scrivevo niente, quindi estrassi una pergamena nuova con penna e calamaio, scrissi velocemente quello che avevo visto fino ad allora con la mia scrittura, ora sconclusionata, ché avevo fretta di tornare a osservare quello che stava succedendo; sventolai la pergamena sbrigativamente per asciugare quelle poche righe che avevo abbozzato e aguzzai di nuovo la vista più che potevo.

Mancava meno di una clessidra al tramonto, quindi la luce cominciava a venir meno, così come il tempo del nostro esercito: già non era sicuro prendere d'assalto l'interno delle mura di un nemico di giorno, dato che conosceva meglio gli anfratti dello stesso, così da poterlo utilizzare a suo vantaggio, figuriamoci di notte!

Le mura erano praticamente nostre. Gli Incursori avevano lasciato a terra le armi lunghe per le ben più comode spade corte, o asce, o armi da breve portata per la salita sulle scale dei Genieri. Sulla breccia si era creato il classico collo di ampolla: molti spingevano dietro, pochi entravano, e quelli che erano dentro non si sapeva bene che fine facessero. Ero solamente sicura che Probo fosse già dentro: dopo aver ricompattato l'assalto del capitano Decimo Aureo, ormai perito, aveva aspettato per poco che Mano Nera facesse i suoi trucchetti, come li chiamava il comandante, e poi aveva ripreso l'assalto della breccia, riuscendo a entrarvi. Se non altro, chi stava portando avanti l'assalto aveva gli ordini di un alto grado.

E infine accadde.

Ero sicura di avere visto un altro esemplare di questi umanoidi, e ora si stavano palesando.

Mentre il muro di scudi era impegnato a tenere a bada quella massa urlante di byestiani dalle orbite nere, da dietro, o meglio, da sopra le loro schiene, saltarono decine e decine di nuovi difensori molto più agguerriti di quelli sotto di loro.

Non avevano bocca, perché mandibola e collo erano fusi in un'unica membrana. Al posto degli avambracci e delle mani avevano come delle lame, con le quali, una volta superato il muro di scudi con un balzo, cominciarono a mietere vittime tra le fila del nostro esercito.

I nostri militi erano stati presi decisamente alla sprovvista; inoltre, l'agilità del nuovo archetipo dei difensori era sorprendente, come se non avessero fatto nient'altro che ammazzare per tutta la loro vita. Ma non era possibile! Non si era mai visto niente del genere in tutti i Regni Unificati fino ad allora!

Roteavano i loro arti con una velocità e una maestria allarmante, tanto che avevano creato il vuoto intorno a loro. Ci volle qualche minuto prima che i ranghi degli Incursori serrassero di nuovo le fila.

Ma ormai il danno era compiuto: tutta la prima linea dell'esercito era stata abbattuta, e la massa urlante continuava a spingere, a graffiare, a trascinare al suolo i nostri soldati, che poi venivano brutalmente calpestati dagli assediati che venivano dietro.

Ero ormai sicura che il nuovo stallo, alla fine, sarebbe stato vinto dai difensori. Mi mordevo il labbro inferiore, ed ero quasi arrivata ad assaporare il mio stesso sangue. Ricordo che avevo spezzato una delle penne con cui stavo scrivendo e che adesso accarezzavo il pomo della mia corta spada, indecisa se lanciarmi al galoppo per dare una mano come potevo ai miei amici in prima fila; quando infine comparirono altre figure sopra le mura.

Ero ormai preparata al peggio e stavo per spronare il mio povero cavallo baio, quando Mud disse, piuttosto neutro: «Beh, era anche ora…».

Lo Storico della Verità IV stava scrutando verso la breccia, quindi trattenni il mio impeto e tornai a concentrare il mio sguardo sul terreno di battaglia.

Mi accorsi che sopra le mura erano apparse nuove figure, ma che sembravano portare le armature e i colori del nostro esercito. Erano i nostri arcieri!

Ora stavano bersagliando dall'alto i difensori, falciandone a iosa con i loro tiri impeccabili.

Presi un profondo respiro, trattenendo un grido di gioia, e cercai di guardare anche altrove.

Almeno un terzo dell'esercito era ormai passato nella strozzatura creatasi dalla breccia, aiutati anche dalle scale dei Genieri e difesi dai nostri Primi e Secondi Maghi.

Sulle mura, a est della breccia, le resistenze erano ancora presenti, ma tenui. Piccoli contingenti continuavano ad avanzare e a trucidare quegli archetipi di difensori dall'encefalo deforme.

Improvvisamente, sopra alla massa urlante dei byestiani usciti dal cancello principale, dopo che i nostri scudi erano riusciti di nuovo ad allontanarli e arginarli, venne a crearsi come una pellicola trasparente, simile a quella del rituale di protezione che i nostri maghi avevano creato prima dell'inizio dell'assedio. Le frecce che prima mietevano così tante vittime tra i difensori, ora rimbalzavano sopra questo scudo semi-lucente, e la confusione dei nostri arcieri, nonché la mia, era evidente. Poi, notai Thuatal e Bret di Bret, che erano sospesi a mezz'aria e stavano creando questa coperta a difesa dei byestiani, ma che allo stesso tempo li intrappolavano all'interno.

A quel punto, sentii il rumore di un cavallo al piccolo galoppo, proveniente dalla collina di comando. Un portaordini dai capelli neri e corti e dal viso paonazzo fermò la propria cavalcatura a poche spanne da me e dai miei colleghi.

«I Tribuni ordinano di entrare dentro le mura», disse, guardandoci tutti negli occhi. Detto questo, diede di sprone, e portò il cavallo subito al trotto in direzione dell'esercito, probabilmente per portare altri comandi ai nostri uomini ancora impegnati negli scontri.

Non chiedevo di meglio!

Vedendo che anche i miei colleghi cominciavano a fremere, rimisi con attenzione pergamene, calamaio e penna nelle rispettive bisacce del cavallo e mi portai sul limitare della nostra collina. Mud fu l'ultimo a prendere posizione, dato che aveva perso tempo a terminare un altro disegno veloce, ma al contempo delizioso, su come i maghi della Fuoco I avevano intrappolato i byestiani nella loro prigione magica. Pochi battiti di cuore ancora, ed eravamo tutti pronti.

Gettai una veloce occhiata anche alla collina di comando, e vidi che anche loro cominciavano ad avvicinarsi. Una squadra per legione, precedentemente individuate, ora avrebbe dovuto cercare un'area all'interno delle mura facilmente raggiungibile e renderla sicura per i Tribuni e i capitani, nonché per il loro seguito di portaordini. Finché l'assedio non fosse finito, quella zona sarebbe stata il nuovo centro di comando.

Mud si era affiancato a me con il suo cavallo, un castrone pezzato che aveva visto la gioventù sfiorire già qualche estate addietro. Mi disse, tenendo le redini, «A te l'onore, mia cara».

Un fremito mi percorse la schiena. Le labbra si alzarono in un sorriso soddisfatto. Il mio primo ordine a una mia squadra, pensai con orgoglio. Non ero un loro superiore, anzi, eravamo tutti parigrado, ma comunque vedevo che Mud e lo storico della Fuoco I stavano guardando me, in attesa.

Estrassi la spada e la puntai verso le mura.

«Per il Re, per il sapere, per il futuro!», esclamai euforica, e spronai la mia cavalcatura, mettendola prima al passo, poi al trotto, e infine a un galoppo leggero. L'interno del Campo I ci attendeva, con poche risposte e nuove domande.