La lettera Onnigrafo Magazine

La lettera

André Tibodò e Hugo Doubois erano fratelli. 

Non lo erano stati dall'inizio della loro vita, ma in seguito sì. Si guardavano le spalle a vicenda, dormivano schiena contro schiena, dividevano ogni più piccolo boccone e cercavano di mettere qualche soldo da parte.

Avevano un piccolo borsello nel quale mettevano tutto quello che riuscivano a racimolare. 

Era la riserva per i “tempi difficili”.

Nella Francia del 1859 seguivano gli eserciti francesi ed intervenivano quando la battaglia stava finendo (ma ancora non era finita), quando ancora si rischiava di venire colpiti da qualche colpo di moschetto.

Correvano bassi sul campo di guerra, si avvicinavano ai soldati morti, e li ripulivano di ogni avere: monete, anelli, collane ed anche lettere. Tempo prima avevano guadagnato un piatto di avanzi ed una moneta riconsegnando una lettera e da allora le prendevano sempre. Scartavano quelle insanguinate, quelle illeggibili, quelle degli austriaci e degli italiani e le altre le tenevano.

Quel giorno non faceva eccezione. Hugo si avvicinò al corpo di un soldato ben vestito e con begli stivali. Oltre a parecchie monete trovò una lettera ben imbustata, c'era anche l'indirizzo.


Famiglia Laurent

Zi de La plaine

Champ-sur-Drac, Francia


Più tardi quella sera, mangiando un tozzo di pane raffermo in una piccola grotta naturale, scaldato da un piccolo fuoco, Andrè aveva aperto la lettera ed aveva iniziato a leggerla a voce alta. Era l'unico che sapeva leggere, in modo molto incerto, e spesso saltava qualche parola che poi recuperava dopo aiutandosi con il discorso in generale. Per Hugo erano tutti scarabocchi, ma lui aveva un'altra dote: sapeva parlare italiano e questo era utile quando capitava di valicare la frontiera. Ma ora Hugo era zitto ed ascoltava a bocca aperta Andrè che trasformava in parole quei segni.


“Caro padre, cara madre.

Oggi è il 20 dicembre, tra poco sarà Natale.

Qui fa freddo ma non nevica ancora. Vi penso spesso e non vedo l'ora di tornare ed abbracciarvi, ma l'invasore non ci offre tregua. Marce forzate e assalti ci stanno piegando. Sono partito per difendere la mia terra e mi ritrovo a difendere la mia stessa vita.

Per fortuna il pensiero di voi e della mia casa mi conforta...”

La lettera continuava per altre quattro pagine ma forse, per il timore che non bastassero, il resto del testo era scritto in caratteri minuti e ravvicinati ed era illeggibile anche per Andrè.

“Non riesco a capire il resto, ma potremmo portarla. Ricordi come era vestito? Forse è di famiglia ricca.”

“Sì, non credo sia molto lontano da qui...”

I due si erano messi a pensare alla strada e passarono il tempo a disegnare mappe sul terreno con un legnetto. Il mattino seguente si erano messi in marcia.

“Quando arriveremo, ci riempiranno le tasche di monete!” Diceva Tibodò.

“Quando arriveremo, ci daranno due, anzi no, tre sacchi pieni di avanzi!” Diceva Doubois.

Avevano previsto di viaggiare per un giorno intero, forse due.

Ce ne vollero tre e mezzo, ed anche due monete dalla loro riserva per chiedere un passaggio ad un calesse, perché non ce la facevano a camminare ancora. Nel tardo mattino del 24 dicembre arrivarono a Champ-sur-drac, nella campagna francese, accompagnati da una pigra nevicata.

Erano scalzi e camminare sulla neve era una tortura. Forse era meglio avvolgere i piedi con delle pelli, ma non ne avevano: usarono degli stracci e per un po' andò meglio.

Camminarono fino a finire in una stradina nel nulla: intorno solo campi coltivati.

“Ehi, voi due.” 

Si voltarono speranzosi di poter trovare un aiuto. Non mangiavano da due giorni, erano stanchi ed infreddoliti. Quello che videro furono tre soldati e questo li mise in allerta. Non c'erano eserciti da quelle parti, loro lo sapevano bene, quindi se erano soldati potevano solo essere disertori. E se erano disertori erano pericolosi.

“Cosa ci fate qui, dove sono i vostri genitori?”

Fu André a rispondere, che era il più sveglio.

“I nostri genitori ci aspettano a casa, siamo usciti a giocare e ci siamo persi. Abitiamo dalla famiglia Laurent, a Zi de la Plaine.”

Uno dei soldati fece un ghigno.

“Conosco quella famiglia e non hanno figli piccoli, solo uno ormai adulto.”

Il fatto che conoscessero la famiglia poteva significare una sola cosa: erano vicini. E forse avrebbero potuto dormire in un fienile caldo e mangiare un po' di brodo. André ribatté all'istante e, come sempre quando si dimostrava lesto di lingua, suo fratello lo osservava stupito con la bocca spalancata.

“Non siamo figli loro, i nostri genitori sono loro ospiti. Potreste dirci la strada di casa?”

“Perché no? – rispose il soldato continuando a sorridere ed iniziando a camminare verso di loro – magari potremmo portarvi noi stessi, magari potremmo ricevere una ricompensa...”

Quando fu a portata, con il calcio del moschetto colpì Hugo in testa, così forte che il bambino venne sbalzato all'indietro, riverso sul suolo ed immobile. I suoi compagni si misero a ridere.

“HUGO!” André urlo con tutto il fiato che aveva in gola, si accovacciò al fianco di suo fratello ed iniziò a scuoterlo lentamente. Il lato sinistro del volto e la testa di Hugo erano rossi di sangue e non si muoveva.

“Figurati se una famiglia così potrebbe mai ospitare dei pezzenti come voi. Se non vuoi che ammazzi pure te, sbrigati a tirare fuori tutti i soldi che avete e bada! Se penso che mi stiate nascondendo qualcosa ti sparo e li raccolgo dai vostri cadaveri!”

Il bambino con rabbia lanciò il borsello contro il disertore. Questi lo afferrò al volo e lo soppesò “niente male, ragazzino, niente male!”

Lo lanciò ai suoi compagni che iniziarono a complimentarsi prendendolo in giro:

“Ma quante belle monete!”

“Ma quanto siete stati bravi!”

Hugo non si muoveva. Era morto?

“Sicuro di avermi dato tutto ragazzino?”

Andrè rivolse al disertore uno sguardo carico di rabbia e dolore, le lacrime solcavano il suo volto, ma erano lacrime di rabbia. 

“Va bene, va bene! Mi hai dato tutto ahahahah.”

Sempre ridendo i soldati sparirono così come erano arrivati, litigando mentre si spartivano il denaro dei due bambini.

“Hugo.”

Nulla, nessuna risposta.

“Oh ti prego, fai che sia vivo.”

Non pregò nessuno in particolare, Dio era sempre piuttosto indaffarato quando c'era bisogno di lui. Mise la mano a coppa sulla bocca del fratello per sentire il respiro. Respirava.

Si guardò intorno: non c'era nulla. Campi ovunque nessuna casa, nessun sentiero. Dovevano muoversi, non potevano affrontare la notte lì, anche se aveva smesso di nevicare. Provò a farsi forza e sollevare Hugo e scoprì che era più leggero di quello che pensava e per un po' andò avanti così.

Poi le braccia iniziarono a bruciare... e poi le gambe.

Si bloccò in un campo di erbacce, appoggiò il fratello a terra e poi cadde nell'erba. 

Fu allora che lo vide.

Buttato su un lato in mezzo agli steli c'era un carretto, mezzo rotto con un manico in parte spezzato, ma ancora utilizzabile. Lo tirò su e, facendo un ultimo sforzo, ci mise dentro Hugo. E poi iniziò a spingere. 

Dopo un tempo che gli sembrò infinito iniziò a scorgere del fumo all'orizzonte, l'unica traccia di vita nella zona, ma le mani erano spellate e piene di schegge, fu allora che suo fratello aprì gli occhi.

“Che succede? Dove sono?”

“Hugo! Come stai? Riesci ad alzarti? Quel disertore ti ha colpito!”

“Sto – il bambino provò a muovere braccia e gambe e, con attenzione, si alzò in piedi – bene... la testa mi fa male, anche il collo... ma... posso camminare, dove siamo diretti?”

“Laggiù, verso il fumo, sono contento che tu stia bene non ce la facevo più a spingere”

Proseguirono insieme, fianco a fianco come sempre, sino ad arrivare ad un campo coltivato ed una grande fattoria con un grande fienile.

“Via dal campo!”

la voce proveniva da un contadino che aveva in mano un forcone ed iniziò ad inseguirli. I due saltarono oltre la palizzata che limitava il campo, poi André si fermò.

Il contadino vide che i ragazzi avevano smesso di scappare e li raggiunse.

“Andatevene!”

“Dobbiamo consegnare una cosa alla famiglia Laurent. Dove possiamo trovarli?”

“Una cosa? Datela a me, la consegnerò io.”

“No, dobbiamo darla a loro personalmente.”

André era irremovibile, Hugo pieno di sangue. Il contadino rimase interdetto, poi decise:

“la casa dei Lauren è questa – disse indicando la casa dietro di sé – venite con me.”

Bussò alla porta e venne ad aprire una signora anziana con dei vestiti da regina.

“Signora i ragazzini dicono di avere una cosa per lei”

André tirò fuori la lettera.

“Suo figlio ci ha chiesto di portarvela. Ha detto che avremmo avuto una ricompensa.”

La donna portò la lettera al cuore riconoscendo la grafia e chiuse gli occhi un secondo.

“Mio figlio è morto.”

La notizia della morte era arrivata prima di loro? 

Questo comunque non impensierì la lingua di André.

“Mi dispiace, ma quando ci ha consegnato la lettera era vivo”

“O signore iddio... come stava? Era... felice? Ma cosa sto facendo... entrate... tu... sei ferito... Annabelle!”

Una domestica li raggiunse sgranando gli occhi alla vista dei due orfanelli.

“Mia signora...”

“Annabelle, per favore, occupati dei fanciulli... rendili presentabili e puliti... usa i vecchi vestiti di Francis. Io leggo questa lettera, poi portali in salotto.”


I due fratelli vennero lungamente lavati, pettinati, Hugo venne rammendato sulla testa, come si fa per i vestiti, entrambi ricevettero un paio di scarpe e quando si specchiarono nessuno dei due si riconobbe.

Quando andarono in salotto la signora era seduta su un divano e piangeva.

Alzò lo sguardo su di loro. 

“Grazie. Ci avete fatto uno splendido regalo di Natale.” 

Dietro il divano un uomo con barba e capelli candidi e gli occhi arrossati, sembrava molto più vecchio della signora seduta. 

“Permetteteci di sdebitarci per questo regalo ed avervi come ospiti alla cena della vigilia”


Vennero portati davanti ad una tavola imbandita di ogni ben di Dio. Non credevano ai loro occhi, di molto cibo nei vassoi non sapevano nemmeno il nome o il gusto.

In fondo alla sala c'erano due sgabelli bassi: la zona ideale dove sedersi e ricevere i migliori avanzi della loro vita, i ragazzi presero due piatti piccoli esi accomodarono sugli sgabelli.

“Cosa fate laggiù? Venite a sedervi a tavola!”

“A tavola? Ma signora... noi non... noi di solito mangiamo gli avanzi.”

I signori Laurent si scambiarono un'occhiata inorridita

“Avanzi? Ma in nome di Dio, sedetevi a tavola! Rapidi!”

E mentre la neve riprendeva a cadere con vigore André Tibodò e Hugo Doubois, i due fratelli, fecero la cena migliore della loro vita sino a quel momento. Mangiarono sino a non poterne più ed anche oltre. Parlarono della loro vita, della loro infanzia, di come trascorrevano i giorni e le notti e ad ogni loro frase i signori Laurent parevano sconvolgersi di più.

Fu una cena meravigliosa e poi i bambini, provati dal digiuno e dagli sforzi, si addormentarono seduti.

André si risvegliò in un morbido letto. In piedi di fronte a lui Hugo si era già vestito. 

“Dobbiamo andare, non credo che i signori ci faranno mangiare ancora”

“lo penso anche io, speriamo di ottenere almeno un paio di monete.”

Quando i due scesero i coniugi Laurent li aspettavano a tavola.

“Buon Natale bambini!”

“Buon Natale signora – disse Hugo con un inchino – grazie per la cena e per tutto, noi togliamo il disturbo...”

“...Ma se ci fossero un paio di cappotti ci fareste una cortesia...” Aggiunse André, lesto di lingua.

La signora li alzò sorridendo, aveva uno sguardo diverso dalla sera prima: uno sguardo da mamma.

“Ci fareste una cortesia... - disse ripetendo le parole di Andrè – se voleste fermarvi per Natale”

“Ed anche i giorni successivi” 

Aggiunse il marito. 

Fu così che André e Hugo diventarono fratelli sul serio.