Miss Lipo Onnigrafo Magazine

Miss Lipo

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«Tutto questo accadde, come avevamo detto durante la lezione precedente, a Fort Sumter.»

«Vai, così…»

«Aspetta, non è pronto…»

«Fort Sumter era controllato dalle truppe… Signor Vaughan?»

«S… Sì?»

Il ragazzino sghignazza. Il ragazzino si sta trattenendo. Vorrebbe ridere. In ogni caso, non ha paura di Miss Candice Eloise Limo. La Limo è un’immigrata. La Limo è una negra. La Limo l’ha appena disegnata su un foglio di carta che a breve le appiccicherà sulla schiena. Una sorta di ippopotamo. Quello che lei rappresenta, dopo tutto.

«Parlavamo di Fort Sumter, Brian. Sai dirmi cosa è successo a Fort Sumter il 12 aprile del 1861?»

«Una… battaglia?» dice, con aria insolente, il giovane Vaughan.

«Quale battaglia, Brian?»

«La battaglia di noi americani… cioè, quelli che volevano liberare gli schiavi negri…»

«Come te…» sussurra il compagno di banco.

Altre risate. Questa volta più sonore. Ride anche la McVie, la prima della classe. Capelli biondi su una meravigliosa treccia, occhi blu come l’oceano che da Fort Sumter si vedeva benissimo, quel 12 aprile 1861.

«Il tuo comportamento è intollerabile, Charles!» urla Miss Limo. Si fa largo tra i banchi. Invita Charles Buckingham e l’amico Brian Vaughan a fare un giretto dal preside. Li accompagnerà lei stessa. La lezione finisce prima, e alla classe, tutto sommato, non dispiace.

«Guarda che ha sulla schiena la Limo…» sussurra la McVie.

«Un ippopotamo… un ippopotamo nero!»

«Dio, quanto è grosso! Però la rappresenta bene.»

Candice Limo assiste alla ramanzina del preside. Non convince nessuno. Non convince nemmeno il preside stesso. Lui dice che è tutto. Sono ragazzi, passerà. Nessun allarmismo per una battutina, e per qualche minuto di distrazione durante la lezione di storia americana. Candice non si sente protetta, ma non osa riferirlo al suo principale. Insegna lì da poco. Non vuole mettersi contro nessuno.

In sala professori sente qualcuno sorridere, alle sue spalle. Si volta, ma nessuno le parla. È allora che le cade un foglio dalla schiena. Candice lo raccoglie. Raffigura un animale enorme. È un grosso ippopotamo. Sotto c’è scritto Miss Lipo. Lipo, non Limo.

I colleghi fingono di non vedere nulla. Certo, Candice è piuttosto in sovrappeso. Lei si accorge che gli altri insegnanti la guardano spesso, per il suo aspetto. Forse sono d’accordo su quello che il disegno le suggerisce, una bella liposuzione. Poi, però, resterebbe il problema della pelle.

«Stronza di una negra!» esclama, dopo aver appreso della punizione, Brian Vaughan.

«Non dovevamo farci beccare…» dice il suo compare Buckingham.

«Ha rotto il cazzo, con le sue lezioni! Ci vuole insegnare la storia… lei, che viene dagli alberi!»

«Ma quali alberi…» dice ancora Charles. «Non sa neanche fare due passi. È grassa da far schifo!»

Candice, nel frattempo, torna a casa. È in anticipo. Non la aspetta nessuno. Ha rotto con il compagno Tim da qualche settimana, ma pensa a lui in continuazione. Da quando è arrivata in America, da bambina, è stata la sua unica storia. Ma poi lo stress, il peso. Lui non ce l’ha più fatta. Devo rimettere in sesto la mia vita - le aveva detto. - E tu non ne fai parte.

Candice ha molto da fare, in casa. Si ferma ad ascoltare l’acqua della doccia che scorre. È stata tutto il viaggio in auto a maledire Vaughan, e Buckingham, e il maledetto preside. Ha ragione, lo sa che ha ragione ma… e se avessero ragione anche loro? Insomma, nessuno la vuole. Tim se ne è andato, i colleghi le voltano le spalle, il suo capo non la considera, e due stronzetti di alunni la etichettano come grassa negra venuta dall’Africa. Miss Lipo. Gran bel gioco di parole, Vaughan, gran bel gioco di…

Candice comincia a piangere. L’acqua che scorre le fa questo effetto. Ripensa al passato. Si chiede dove sia arrivata. Dall’armadietto del bagno prende le sue pillole. Due in più, che vuoi che sia. Poi diventano cinque, dieci, diciassette… al diavolo, si dice.

Candice piange, inghiotte psicofarmaci. Candice non riesce a smettere. Si vede allo specchio, mentre il maledetto suono dell’acqua continua senza sosta. Sembra il suo destino. Non si ferma mai. È sempre dolore, e sofferenza, e ancora dolore e… Candice sta perdendo il controllo. Le lacrime si convertono in una risata isterica. Gli occhi arrossati guardano il suo corpo deforme, che lei odia. Lo odia da morire. Fottuto ippopotamo!

«Volete la lipo? Eccola qui!» grida allo specchio.

Ha in mano il rasoio. Quello che Tim si è dimenticato a casa. Uno, due, tre… Non fa poi così male, si dice. Continua a ridere. La pelle si solleva. Via, via la pelle della negra! Esce sangue, ma l’ippopotamo non ha paura di nulla. Un altro taglio, e un altro ancora. Queste tette enormi, si urla addosso Candice. Un solco profondo. Vede il capezzolo. Non sarò mai madre, non sarò mai niente. Via anche… Urla di dolore. Altre pillole. Altri tagli. Il seno è lacerato. Candice non si vede più la pelle nera, e ride. Perde conoscenza in pochi minuti. Gli occhi rimangono aperti giusto il tempo di vedere l’acqua della doccia mischiarsi al suo sangue. Quando è caduta a terra, non è riuscita a distendersi totalmente. Il suo corpo non ci sta nemmeno sul letto di morte, ovvero il pavimento di un bagno modesto. Dove una volta c’era anche Tim.


Solo la sera seguente la polizia ritrova il corpo. Sfigurato. La scena è complessa. Ci sono brandelli di carne sul pavimento. Resti di capezzoli. Il corpo è riverso su un lato. Gli agenti fanno fatica a capire. Uno dei due vomita. Quell’altro cerca di andare verso la doccia per chiudere l’acqua. Ma se ne occuperà la scientifica. Non vuole lasciare tracce.

«Dio… Era bella grossa questa negra…»