[da le "Storie dei Regni Unificati"]
Sopra di me e tutt'attorno all'esercito potevo cominciare a vedere come attraverso una coperta semitrasparente, frutto dei rituali di protezione che i Primi e Secondi maghi delle tre legioni stavano tessendo a difesa dei soldati che sarebbero andati in battaglia.
Da quel che riuscivo a scorgere, i trabucchi spararono in Sequenza Binaria, cioè, nel gergo dell’esercito, una macchina sì e una macchina no alternativamente, in modo tale che ogni centocinquanta, duecento battiti di cuore partiva una salva.
In questi casi, le prime due o tre serie di lanci non erano mirati alla distruzione; dovevano servire più come avvertimento agli assediati, per scoraggiarli.
Non stavolta.
Troppi erano i villaggi lasciati indifesi, troppe le persone scomparse.
Si poteva vedere persino Mano Nera lanciare degli incantesimi ai proiettili dei trabucchi della nostra legione, così da massimizzare la portata delle esplosioni delle Sorprese, anche ingrandendo i massi, e persino incendiandoli.
Contai quindici selve, e vidi ognuna di esse attraversare la cortina che oscurava i tetti del Campo I, scomparendo al suo interno. Potevamo sentire le Sorprese esplodere, certamente, ma non ne vedevamo i risultati. Quei dardi lanciati contro le alte mura sembravano sì averle intaccate, ma sicuramente non riuscivano a demolirle.
Fu alla sedicesima scarica che si manifestarono.
Il pesante cancello di legno rinforzato in ferro rimase chiuso, serrato nella sua impenetrabilità. Ma da sopra le mura, con un balzo enorme, scesero dieci, cinquanta, centoventi, duecento e più difensori; un unico, grande, salto. Una persona normale, per di più bardata di armatura, ne sarebbe sicuramente uscita, se non altro, con la distruzione degli arti inferiori o con tutte le vertebre della schiena dislocate.
Non questi.
Da quel che riuscivo a vedere, e come poi riuscii a constatare di persona, i difensori avevano la parte superiore del corpo parecchio sviluppata, come se avessero avuto i muscoli di un orso delle caverne anziché quelli di un uomo. Dai bagliori, vedevo che solo la testa, il torso e le gambe erano coperte da un’armatura a scaglie. Poi scoprii che erano anche imbottiti con una corta cotta di maglia a mezze maniche, lunga fino al pube; solo quella, date le dimensioni del torso, pesava come un bambino di quindici estati in carne.
Balzando dalle mura, questi atterrarono di gambe, ma attutendo il colpo con i pugni spropositati. Potei riuscire quasi a sentire l'onda sismica di quelle centinaia di umanoidi che atterravano fragorosamente sulla terra battuta intorno alle mura.
I comandanti quindi decisero di testare la resistenza di questi nuovi difensori, chiamando in prima fila gli arcieri. In pochi battiti di cuore, le fila serrate dei soldati crearono dei cunicoli per far passare i gendarmi armati di arco, che si disposero in quattro squadre e su tre file. I capi arcieri ordinarono di incoccare e mirare; pochi battiti di cuore ancora e partì il primo nugolo di frecce.
I difensori attesero la pioggia di legno e ferro posizionandosi con le gambe leggermente divaricate, sbattendo gli avambracci l'uno contro l'altro all'altezza della testa ad una forza tale che, anche alla distanza a cui mi trovavo, riuscii a sentire l'impatto della carne con l’armatura. Subito dopo, comparvero dal nulla due piccoli semicerchi di un materiale che sembrava ferro, lanciati dai bracciali che quegli energumeni avevano, formando così uno scudo a protezione delle frecce.
Assorbirono il primo nugolo e subito partirono alla carica, i dardi ancora incastrati nelle spalle e in quegli strani scudi. I Capi Arcieri comandarono il fuoco a volontà, anche se già ognuno di quei soldati aveva incoccato la seconda selva e stava aggiustando la mira.
Anche la reazione di Mano Nera non si fece attendere. Potei vedere il nostro Primo Mago contorcersi per richiamare in sé il potere arcano. Attorno a lui, i militari che lo avrebbero dovuto proteggere indietreggiarono di qualche passo, giacché da quei suoi movimenti cominciarono a scaturire tanti piccoli guizzi di energia, come brevi scariche elettriche.
E fecero bene. Stringendosi le mani al petto, tutta l'energia che stava evocando si concentrò in un enorme fascio di tuoni che si proiettò a velocità indicibile verso alcuni dei difensori dinnanzi a lui, e pericolosamente vicino ai commilitoni che lo accompagnavano.
Due di quegli esseri vennero travolti.
Il boato, una volta che l'onda magica colpì i bersagli, fu terribile già dalla distanza a cui mi trovavo, e posso solo immaginare cosa avesse voluto dire stare a poche decine di piedi dall'impatto.
Una luce accecante abbagliò per alcuni secondi chi era stato colpito. Quando si diradò, insieme ad una piccola nube di polvere che si era sollevata per l'onda d'urto, potemmo vedere l'orripilante scena dei due difensori ancora in piedi con tutte le articolazioni completamente dislocate e la pelle in esposizione annerita dall'energia della magia. Chi riuscì a riacquistare la vista per tempo, mi raccontò anche che diverse parti di armatura si erano sciolte addosso ai difensori.
Dal mio punto di osservazione non lo sentivo, ma cartilagine e ossa, in pochi secondi, schioccarono e sbatterono per far tornare lo scheletro al suo posto originario. Non un urlo provenne dai malcapitati.
Avrei pagato rune d'oro sonanti per vedere l'espressione su quel viso senza tempo del nostro Primo Mago di fronte a quello spettacolo.
Notai un piccolo bagliore sinistro all'altezza del collo dei difensori, mentre questi tornavano alla carica, le membra di nuovo al loro posto.
Quindi ci fu l'impatto di quelle centinaia di individui dai petti enormi e le braccia marchiane. Nessuno si era arreso alla forza magica e alla selva di frecce dei nostri arcieri, che ormai avevano smesso di scoccare.
Con forza immane scaraventarono i nostri per aria, e quanto parlo de “i nostri”, intendo Incursori: uomini di fanteria pesante abituati a portare blusa con i colori dell'esercito, gambesone, giaco di maglia, armatura completa in piastre e almeno due armi pronte all'uso, per non parlare dello scudo di legno e acciaio, grande almeno quanto il torso. Insomma, questi energumeni catapultavano per aria altri energumeni in armatura, sollevandoli di almeno quattro piedi dal terreno. Oltre a questo loro straordinario vigore, i difensori avevano anche quegli strani scudi che, se prima erano serviti per difesa, ora venivano usati per l'attacco. I bordi dovevano essere affilati, perché ogni volta che vedevo partire un montante, vedevo membra e arti dei nostri staccarsi di netto dai corpi.
A quel punto dovetti distogliere lo sguardo. Già dall'attacco magico di Mano Nera, il viso mi si era coperto di lacrime. Mi chiedevo se davvero era questo ciò che volevo fare nella vita. Ero sicura che il mestiere della Storica fosse descrivere in chiave enfatica le gesta eroiche di un esercito, di annotare mossa per mossa i duelli epici tra due gendarmi cortesi. Non potevo immaginare neanche lontanamente cosa volesse dire osservare uno scempio simile. Uomini di valore che attaccano... si poteva definirli ancora uomini? Così grotteschi, così spietati, così... inumani nelle loro fattezze.
Tentai di guardare di nuovo verso il campo di battaglia, mentre mi tergevo le lacrime e trattenevo un conato.
I difensori avevano arrestato la loro avanzata dopo l'impeto della carica. I trabucchi ancora caricavano verso le mura per creare una breccia per i nostri Incursori, che ora stavano prendendo coraggio dopo lo spossamento iniziale e cominciavano a mirare alle gambe degli avversari, per poi sfruttare la superiorità numerica.
Dopo all’incirca una clessidra di stallo, il capitano Graziano Decimo Aureo diede l’ordine di caricare a cavallo, dato che le nostri armi d'assedio erano riuscite a creare un piccolo varco nei pressi di uno dei cancelli della cinta muraria del Campo I; la breccia si era resa possibile grazie anche agli sforzi dei Primi Maghi che erano in difesa che, notando gli sforzi di tutto l'esercito, avevano abbandonato le loro postazioni per portarsi in prima linea. I Secondi erano rimasti schierati contro eventuali assalti magici del nemico.
Oltre a tutta la compagnia di cavalleria, cioè cinque dozzine di uomini e cavalli, il capitano Decimo Aureo era riuscito a chiamare a sé anche una trentina di fanti che erano rimasti senza guida, persa nella carneficina del combattimento.
Questa era una delle azioni che mi sarebbe piaciuto descrivere nei minimi dettagli, così da render giustizia al gesto glorioso di un uomo nobile e coraggioso… non fosse altro che questa carica fu come buttarsi in pasto ai cani-orso.
Vedevo parecchio fermento sulla collina dove si trovavano gli altri pari-grado: i cavalli che tiravano e scattavano per colpa dell'odore del sangue che solo loro potevano già sentire, i portaordini che continuavano ad andare e venire, spesso scontrandosi tra loro.
La compagnia del capitano Decimo Aureo era ormai sotto la breccia, quando sopra le mura comparvero altri difensori, diversi dagli energumeni che tenevano impegnati la maggior parte degli Incursori.
Al contrario degli altri, quelli sopra le mura erano poche dozzine e avevano la testa spropositata e deforme, come se le meningi fossero esplose. Potei poi constatare che il resto del corpo era scheletrico e macilento, come se fossero stati lasciati a patire la fame per mesi.
Nei pressi della breccia che il nostro capitano stava cercando di conquistare ve ne erano solo quattro. Alzarono le mani al cielo e, di nuovo, notai quello strano brillio sinistro all'altezza dell'inizio delle spina dorsale, sia dei difensori impegnati in mischia che di quelli in difesa delle mura.
I loro movimenti erano lenti, come stanchi, ma precisi e senza tremori.
All'improvviso, uno venne colpito da uno dei proiettili di pietra dei nostri trabucchi e scomparve dentro le mura. Gli altri non mossero un muscolo, concentrati e implacabili.
La nostra sortita era ormai a ridosso dello spiraglio, che andava via via allargandosi, e i trabucchi avevano cambiato bersaglio per paura di colpire i nostri, quando furono i difensori a colpire. Sopra di loro e all'interno del varco creato dalle loro braccia, si venne a creare uno dei più classici cliché della magia: una palla di fuoco, dapprima piccola e che poi, man mano che passavano i battiti di cuore, si allargava.
Ma non rossa, dorata o arancio, come ci si può aspettare dalle screziature del fuoco.
Nera. Come la pece dentro le Sorprese. Come una notte senza Luna. Come una battaglia senza speranza.
Una doppia catena di fiamme nero-violacee intrecciate le contornavano, come a trattenere qualcosa di ancora più oscuro.
Infatti, una volta lanciate, esse esplosero a contatto con il terreno davanti alla nostra cavalleria.
Fu una tragedia. Coloro che erano nelle immediate vicinanze dell'esplosione, compreso il nostro capitano, perirono sul posto, immediatamente inceneriti. Tutt'attorno, uomini che si cuocevano all'interno della propria armatura, cavalli dalle creste incendiate da un fuoco oscuro che correvano in tutte le direzioni o riversi a terra senza arti, senza occhi, o chi sa senza cos'altro.
Fu in quel momento che vidi il valore del nostro comandante Probo. La sua compagnia aveva ormai sterminato una ventina di ominidi dal busto e dalle braccia immani, così da avere via libera per l'assalto alle mura. Lo vedevo, era in prima linea e si era fermato a guardare tutte le fasi dell'assalto.
Potevo già immaginare cosa passava nella sua mente: insulti per il capitano che si era gettato così impunemente all'assalto, rimorso per non essersi accorto prima dello svolgimento degli eventi, paura per quei compagni d'arme che conosceva così bene, nuovi ordini da urlare ai portaordini che dovevano correre di nuovo verso la cunetta dove stavano gli ufficiali di grado più alto.
Cominciò a correre verso i militi ormai in rotta. Dietro, molti dei gendarmi della sua compagnia gli diedero appresso. Tra loro scorsi anche Mano Nera che, grazie ad un incantesimo, fluttuava a un palmo da terra, aumentando la velocità.
Verso di loro corsero diversi destrieri impazziti dalla paura o dal dolore, alcuni con ancora sopra i cavalieri morti o moribondi, altri senza nessuno in groppa, un paio con i cadaveri dei proprietari impigliati nelle staffe; due di loro vennero prontamente calmati, come per incanto, dal nostro Primo, ed ora aspettavano a poche falcate dal comandante, che coprì la distanza velocemente e subito saltò in sella insieme al Primo.
Gli echi della battaglia e la distanza naturalmente non mi permisero di cogliere le parole che sicuramente si scambiarono i due, ma immaginai che il milite dicesse al mago di pensare ad arginare altri attacchi da parte dei difensori sopra le mura, che stavano continuando, mentre lui avrebbe pensato a far ritirare le truppe in rotta.
Probo si girò per urlare altri ordini a quelli che erano subito dietro di lui: probabilmente, coprire come meglio potevano la ritirata delle truppe sotto la breccia, oppure riferire ai pochi arcieri che lo avevano seguito di focalizzare la propria attenzione ai difensori alle mura. Mano Nera era partito una volta inseriti i piedi nelle staffe dando prova di un vero cavaliere navigato e, mentre dirigeva la propria cavalcatura con le sole gambe, cominciava già ad accumulare potere arcano con le mani libere dalle redini. La corsa sfrenata gli aveva portato via il lungo cappuccio, e adesso si poteva vedere il cranio completamente mondato e coperto di tatuaggi, ora illuminati dalla magia.
Il cavallo del comandante si impennò e girò di tre quarti. Quindi Probo puntò la spada verso la breccia e gridò ancora qualcosa, probabilmente l'urlo di battaglia della Aquila IX, In picchiata, inesorabili!, e partì al galoppo; l'eco in risposta delle varie compagnie che lo seguivano sovrastò tutti gli altri rumori della battaglia.
La carica era partita da pochi battiti di cuore, quando quello che credevano il cancello principale venne spalancato.