E adesso? Riflessioni dal Regno Unito nell'ombra di una grande regina Onnigrafo Magazine

E adesso? Riflessioni dal Regno Unito nell'ombra di una grande regina

Anche Elisabetta Windsor va via. Addio e buona fortuna al Regno Unito. 


Ascoltando il discorso di Carlo III o Charles III o comunque si chiamerà ufficialmente dopo l’elezione- mi sono reso conto con dispiacere che vivo in un paese che è orfano, quasi, di una tradizione, un momento perché la seconda Elisabetta è stata un riferimento per molte persone, un ricordo amato del passato, sebbene il suo potere fosse apparente, come molti altri capi di stato delle cosiddette democrazie moderne. E in rispetto di questo, scriverò due parole, cercando di seguire i passi principali del discorso integrale del novello monarca, per poi concludere con il mio breve pensiero, da storico e da presto cittadino scozzese, prima che del Regno Unito. Non è il luogo per esprimere l’opinione degli Scozzesi che dopo secoli di sottomissione ad una desueta forma di governo, dal 1997 stanno cercando di separarsi dalla corona britannica, per alcuni senza successo. Auguro loro buona fortuna.

La regina Elisabetta II Windsor (ramo del casato europeo Sax-Coburg e Gotha e non indugiamo oltre) era, usando le parole del figlio e neo re, un esempio di devozione e sacrificio ed era regina riconosciuta da trentadue stati sovrani. Il suo regno, esempio di devozione e sacrificio, parole che il figlio continua a ripetere per tutto il discorso, è durato settant'anni e non è stato un regno facile. La monarca ha guidato il suo paese fuori della seconda guerra mondiale, visto guerre grandi e piccole; baie dei porci, cambi di regime; rivoluzioni in tutto il mondo, la devoluzione dei paesi geograficamente e non del suo regno e la dissoluzione quasi totale del controllo sui vari paesi dell’impero già iniziata e chiamatasi Commonwealth, la morte di una nuora amatissima da mezzo mondo, la cosiddetta primavera araba e la nascita del terrorismo islamico, l’uscita completa (in realtà non era mai stai dentro del tutto) della Gran Bretagna dall’Unione Europea e la pandemia. Il suo regno è stato raccontato in modo emblematico dalla produzione britannica “The Crown.” Questa donna notevole, giovedì pomeriggio ha lasciato questa terra, a novantasette anni. Probabilmente come molti sono stati colpiti dalla morte di Giovanni Paolo II, sicuramente molte persone vedevano e vedono in lei un segno del passato che non cambia, di sicurezza e di affidabilità che vengono a mancare. E questa ferita rimarrà a lungo tra i suoi sudditi. Donna notevole, va riconosciuto. 

Carlo III, che pare invecchiato e dimostra una flemma più profonda del solito, nel suo primo discorso alla nazione, parla principalmente di dolore e sofferenza e la vicinanza che prova con tutti coloro che hanno dimostrato affetto a lui e alla sua famiglia. Il neo re e figlio della regina Elisabetta, accoglie l’investitura come una responsabilità grande, che forse sperava di non prendere mai, come probabilmente è accaduto a Elisabetta II quando morì suo padre George, nel 1952 e lei aveva ancora venticinque anni. George era figlio della Regina Vittoria, il cui regno era durato sessantatré anni mentre Elisabetta II ha condotto la nave per settanta. Non invidio la responsabilità che si prende sulle spalle il nuovo re. E comprendo perché mi pare invecchiato di dieci anni, ma probabilmente è solo una mia impressione.

Il resto del discorso è principalmente il riconoscimento dei titoli: la moglie diventa regina consorte e l’elezione di suo figlio William ai titoli scozzesi e a Principe di Galles o “Tywysog Cymru”, rendendolo erede apparente al trono, lodando lui e sua moglie per un futuro ottimo lavoro. V’è un saluto ed estensione della mano al secondo figlio e consorte che gioiosamente vivono “oltremare”. Infine Carlo conclude con un ringraziamento sentito e commosso a “alla mamà che si riunirà a papà ” (nomi detti esattamente così in lingua inglese) e alla quale lui e il Commonwealth daranno un saluto tra una settimana circa. 

La mia conclusione da storico e, come predetto, cercando di essere imparziale è la seguente: la regina Elisabetta II, come il vescovo/ papa di Roma e molti altri capi di stato, ha vissuto ed è stata il passamano per il ridimensionamento dei ruoli di questi grandi regnanti che si sono estesi dal medioevo fino ai Moti degli anni trenta del Novecento europei verso posizioni secondarie. Il potere che possedeva la regina Vittoria e l’ultimo “papa re” non sono affatto confrontabili con quelli di qualunque capo di stato che non sia il presidente degli Stati Uniti d’America e, benché più evidente, neanche lui può esimersi di dare conto delle sue azioni a chi lo ha eletto. Altro caso forse quello di Putin ma non è il luogo per aprire il discorso.

Spero, come ho detto in altri luoghi che la monarchia costituzionale si sciolga durante la vita di Carlo III. Questi stati così come quello del Vaticano, sono desueti legami a un passato di colonialismo, stupide teorie del superuomo, traviamento delle religioni monoteistiche e segno di una cultura patriarcale di cui erano esempi gli antichi, cristiani o meno, e, dopo la Costituzione dei Diritti dell’Uomo (10 dicembre 1948), degli adolescenti (20 novembre 1989) e la Carta di Algeri o Dichiarazione dei Diritti dei Popoli del 1968, dovremmo essere andati oltre queste figure che non hanno realmente alcun potere ma le teniamo lì per mantenere una tradizione che è diventata costosa nei tempi di una crisi mondiale che a quanto pare ci farà pagare quest’inverno debiti che non ci appartengono,  per un’ennesima guerra che non ha voluto nessuno di noi. Forse potrà sembrare retorico e parlarne potrebbe apparire perfino polemico ma è l’unica cosa che possiamo fare.

Infatti  la destra xenofoba, come nel peggiore degli scenari da romanzo di Orwell, sta per tornare al potere in tutti i paesi europei e i conservatori britannici (e nel resto d’Europa) governano senza mandato e senza praticamente opposizione, unicamente cercando di distruggere quel poco di buono fatto dai laburisti (o pseudo sinistre) dalla nascita dell'Europa.

In conclusione, dunque, un saluto alla donna Elisabetta, come faremmo ad una nonna, una zia, una parente stretta che abbiam conosciuto tutta la vita e ora viene a mancare e una profonda vicinanza alla famiglia, se lo sentiamo, ma risparmiamoci la retorica "la mia amata regina" sulle riviste e nei telegiornali da parte di chi con questa donna non ha avuto mai a che fare e che solo ora si ricorda che è vissuta ed è morta.

Un Pensiero di Dario Musolino




Io non piango la morte della Regina. È stata una persona che per sua fortuna è vissuta molto a lungo e che ora si gode la pace dopo una vita piena, condita di gioie, dolori e doveri istituzionali. Io piango per la fine di ciò che rappresentava. In un mondo che si divide sempre più, la Regina è stata l'impersonificazione della Union Jack, un simbolo di mediazione e di unione, punto di riferimento dei cinquantun Stati che compongono il Commonwealth. Io piango perché, dopo Covid e Brexit, la morte della Regina può diventare un altro elemento che crea discordia e smarrimento nel Regno Unito. Ho paura di uscire per strada e scorgere un numero maggiore di volti turbati dal crollo del castello di carta che si erano costruiti attorno negli anni. Lo smarrimento crea incertezza, l'incertezza crea diffidenza, la diffidenza crea odio. E a pagare gli effetti dell'odio sono sempre le classi considerate più deboli. Ricordo ancora le settimane seguenti al voto su Brexit, giorni nei quali gli inglesi parevano aver smarrito la propria identità nazionale. Ora stiamo vivendo un nuovo momento di crisi, tra cambiamenti climatici che vengono costantemente ignorati e scarsità energetica. Mi chiedo che cosa unirà ancora la nazione, quale sarà la bandiera che il popolo adotterà. L'Union Jack rappresenta il crocevia dei mondi, il punto dove i popoli si uniscono. Eppure, il Regno Unito non è mai stato così diviso. Ivan Rocca



Goodbye Her Majesty


«È morta la regina.»

«E vabbè, tanto era vecchia.»

«Prima o poi sarebbe morta comunque. Questo vuol dire che stiamo a casa da scuola?»


La visione di bambini e adolescenti di fronte a una notizia come quella della morte della regina Elisabetta è molto da filosofia spicciola e a tratti cinica. Una sorta di menefreghismo che non intacca il loro piccolo mondo. Perché per loro altro non era che una figura di quasi cento anni che salutava dal balcone i suoi fan. 


Noi adulti, invece, abbiamo un’altra visione di ciò che è successo. 

Ce lo si doveva aspettare, in fondo. Eppure, ci si era talmente abituati e affezionati alla sua presenza, che ci si illudeva potesse vivere in eterno.

E, invece, se n’è andata. 

Proprio lei che credevamo immortale, sempre con quel suo sorriso troppo spesso di circostanza, come da regole imposte fin da quando era bambina. 

Lei con i suoi vestiti sgargianti, i cappellini buffi e la manina pronta da sventolare.

Sembrava non dovesse mai giungere la sua ora, era attiva e lucida. 

Eppure, il suo sguardo era spento e lo era da quando l’uomo che le è stato accanto per tutta la vita (nonostante scappatelle e fama da Latin lover) l’ha lasciata sola. 

E non è facile perdere la persona amata, anche se sei la regina, anche se sei circondata da figli, nipoti e pronipoti, anche se non sei mai sola, ma ti ci senti dentro.

Si respira una strana atmosfera qui in Uk, una sorta di cupezza generale in cui perfino il cielo, già grigio di suo, sembra esserlo ancora di più. 

Alla regina tutti volevano un gran bene. Non la si conosceva personalmente, ma rappresentava quella nonna che tutti avrebbero voluto avere, il vecchio mescolato con il nuovo, un’icona. 

Lei era l’Inghilterra. E, ora, niente sarà più come prima.


Oriana Turus