SPETTRI
Miriam Palombi
L’odore del sangue lo eccitava. Il liquido si era rappreso incrostandosi sotto le unghie. John portò le dita alla bocca e assaporò quel gusto dolciastro che si sciolse nuovamente. Si stese sul letto sfatto. Le luci che illuminavano la città entravano prepotenti nella stanza, trasformando il grigiore delle pareti in un caleidoscopio di colori.
Un altro dannatissimo Natale, pensò, prima di scivolare nel sonno.
*
Il mugolio di un animale ferito lo raggiunse nel torpore. Aprì gli occhi, mentre qualcosa emergeva dall’oscurità. Era una creatura piccola ed emaciata. Il debole cono di luce illuminò un viso segnato dalla paura. In quegli occhi scuri scorse qualcosa di familiare.
«Avresti dovuto ucciderlo.» Il volto inespressivo del bimbo si trasformò in una smorfia di dolore. All’improvviso John riconobbe se stesso. Quella era la sua voce.
«Non dovevi permettergli di farmi questo. Mille e mille volte ancora.» Il bimbo sollevò i polsi tremanti, segnati da lividi bluastri.
Ricacciò quell’incubo, quello spettro, o qualunque cosa fosse, nello stesso buco nero dal quale era giunto. Quello era il suo passato. Cominciò a contare…
Nove… otto…
Voleva solo dormire.
*
Un leggero ticchettio sul vetro ruppe il silenzio, cadenzato come un richiamo. Erano unghie laccate di un viola cupo, simile a uva matura. Due si erano spezzate alla radice, mostrando una lunetta di carne viva. Non c’erano più. Erano rimaste lì, incastonate nel terreno argilloso come gemme rare.
Era impossibile. Non poteva essere lei. L’aveva appena uccisa. Poi vide quel collare vermiglio emergere dalla pelle diafana e seppe di essersi sbagliato.
La testa, quasi staccata dal resto del corpo, dondolava in modo grottesco. La mandibola slogata pendeva di lato, mostrando tra le labbra costrette un tetro sorriso sghembo.
«Non dovevi farmi male.» Le parole gli uscirono dalla mascella serrata in un biascichio appena comprensibile. Quella nuova visione pian piano lo abbandonò.
*
L’ombra nera era in piedi davanti al suo letto, silenziosa. Il volto celato da un ampio cappuccio. La lama di falce risplendeva nel buio, sorretta da un arto scheletrico come ramo secco.
«Sai cosa devi fare ora, vero?» disse il terzo spettro, coperto da un nero sudario.
John strinse la canna della pistola tra i denti. Il metallo freddo sulla lingua sapeva di buono.