Ciudad Verde Onnigrafo Magazine

Ciudad Verde


  L’auto sbanda. A destra, e a sinistra. Andri sa che ce la può fare. Fottuta eroina. Il piede fa male. Si è punta il destro, per trovare la vena. Ha bevuto. Lui non se ne sta zitto. Lui piange. Il suo viso grida aiuto, dal sedile posteriore.

Il cartello indica l’uscita. Un clacson le suona. Quel suono che indica allarme, preoccupazione. Tira dritto Andri, si dice la giovane autista. Non farci caso. Occhi sulla strada. Indicazioni per il centro commerciale Ciudad Verde. Pochissima gente. Fa freddo, i saldi sono terminati. La radio ripete la solita nenia: virus, chiusure, quarantene, paura. L’ero corre nelle vene di Andreina. Frena. Vuole fermarsi, ma sbanda. A destra, e a sinistra.

  Il cassonetto è a pochi metri. Il cassonetto li aspetta. Andreina accosta, prende un sacchetto. Facciamo due, è meglio. Non piangere, dannazione. Non hai fatto altro tutto il tempo. Quei maledetti dottori dicevano che avrebbe sofferto di astinenza. Ci soffrirò io, di astinenza, si convince Andreina. E poi non posso mantenerti. Lo chiude in due sacchi di plastica. Nemmeno un istante per dargli un ultimo sguardo. Apre il cassonetto in fretta. Avrà bisogno di una casa, le avevano detto. Ecco la tua casa, pensa Andri, gettando l’immondizia che respira. Il cassonetto si richiude. Non sente più alcun lamento. Nessuno l’ha vista. Il motore si riaccende, l’auto riparte. Andreina gira. A destra, e a sinistra.

  «Ma guarda chi si rivede!» grida, poco oltre il parcheggio del Ciudad Verde, il giovane Alexis.

«Ma è sempre lui?» gli chiede l’amico Diego.

«Certo che è lui!»

«Si è sbronzato eh?» 

«Cosa volete… da… me...»

Ricardo Mingueza. Cinquantacinque anni, senza casa, senza impiego.

«Chi cazzo ti credi di essere per parlarci così?» lo provoca Alexis. «Sei solo un barbone!»

«Lasciatemi stare.»

«Scommetto che vorresti farti un sorso di questa», insiste Alexis, indicando la sua lattina di birra nella mano destra.

«Lasciatemi stare.»

«Che c’è, non la vuoi? Non hai perso il lavoro per questo, vecchio? Perché bevevi?»

Per un attimo Alexis pensa di sferrargli un calcio. Così, per testare la sua reazione. Ricardo giace a terra, a fianco di una bottiglia vuota di tequila.

«La vuoi? Prendila!»

Alexis gliela versa sui capelli. Poi schiaccia la lattina vuota. Cade ai piedi di Ricardo, tra le risate dei due ragazzini. «Goditela tutta, barbone!»

«Dai, andiamo!» dice Diego.

Se ne vanno. Ricardo rimane a terra. Chiude gli occhi, sente il bisogno di dormire. Una lattina vuota è l’ultima cosa che vede, prima di addormentarsi. Sogna il suo passato. Un sogno che sa di rimorso. Vorrebbe dormire ancora. Vorrebbe dormire per sempre, ma la fame lo sveglia. La tequila è finita.

  Ciudad Verde è deserto. Si convince che ci sia comunque qualcosa per lui, nel parcheggio. Si alza a fatica. La sua camminata è incerta, il passo oscilla. A destra, e a sinistra. Ha rimosso l’incontro coi due bulli. Ragazzi di appena diciassette anni. Vede il cassonetto in lontananza. Non c’è nemmeno un’auto, in prossimità. 

  Apre il cassonetto, rovista tra la spazzatura. Trova meno di quanto si aspettasse. Si chiede quanta follia abbia seminato il virus. Un doppio sacchetto attira la sua attenzione. Sente un rumore. Non può essere, razza di ubriacone, si dice. Eppure lo sente ancora; è un pianto.

«Dio!» esclama Ricardo. Qualcosa si muove. Sì, Ricardo, è proprio quello che pensi. Lui. Si agita da cinque ore circa. Da quando Andreina è ripartita verso la superstrada. Ricardo apre il nylon con le dita. Ricardo lo libera. Il piccolo piange. Lo vede gridare aiuto nell’unica maniera che conosce. Sta bene, respira. C’è qualcosa che sporge dal suo pancino.

«Ciudad Verde! Il parcheggio! Fate presto!»

«Signore, ha detto che il bambino è lì con lei? Respira ancora?»

«Sì! Sì, maledizione! Correte! Fate presto!»

  La polizia invia un’unità immediatamente, insieme ad un’ambulanza. L’attesa è interminabile. Ricardo non gli stacca gli occhi di dosso nemmeno per un istante. La cornetta del telefono pubblico penzola ancora. Ricardo lo ha scaldato con tutto ciò che aveva a disposizione. Lo tiene stretto a sé. Ora è lui stesso ad avere un’inarrestabile voglia di piangere. Vede ancora il suo passato, ma questa volta è sveglio, non sta sognando. Sente che la vita lo ha messo alla prova. Pensa alla salvezza, alla redenzione, a tutto ciò a cui ha smesso di credere da quando si è ritrovato per la strada. Sente di avere un posto, nel mondo. E tutto per quel bambino che stringe tra le braccia. Ha poche ore di vita, e il cordone ombelicale ancora attaccato.

  Arrivano i soccorsi. Arriva anche una troupe televisiva, poco dopo. Una giornalista gli si avvicina. Ricardo le racconta tutto. Con gli occhi ancora lucidi spiega come si senta di ringraziare il buon Dio, ora che ha compreso quanto possa valere una vita umana. Sara Correa, l’inviata, lo ringrazia di cuore. Poi dimentica. Durante il servizio non riporta le parole di umanità di Ricardo. Non hanno alcuna rilevanza. Ciò che conta è la cronaca.

  «Dalle telecamere di sorveglianza, la polizia ha identificato la donna. Si tratta di Andreina Vukic, diciotto anni, tossicodipendente, residente a Villa Victoria, a una decina di chilometri da dove ci troviamo ora, il parcheggio del centro commerciale Ciudad Verde.»

Tra i telespettatori, ci sono anche loro: Alexis e Diego. Quest’ultimo ascolta con attenzione. Poco più in là, l’amico rolla una cartina, ignorando il notiziario della sera. Sara Correa parla di un senzatetto. Lo ha trovato rovistando nella spazzatura.

«Dio mio», dice Diego. «Alex… è lui, è lui!»

«Che dici?»

«Il barbone!» esclama Diego. «Quello del Ciudad Verde! Cristo, se penso che lo abbiamo visto oggi… Ha salvato un neonato!»

«Senti, amico», taglia corto Alexis, «sono cose che succedono.»

«Parlano di una certa Andreina», dice allora Diego. «Non è la tipa con cui ti vedevi fino a qualche mese fa?»

«Ma chi, quella mezza zingara?»

«Sì!» afferma Diego. «Qui dicono che il bambino sia suo! Se ne è liberata, l’ha gettato nei cassonetti, cazzo!»

«Ma che ti frega…» borbotta Alexis. Ha finito di rollare.

«Quand’è che avete rotto, voi due?» gli chiede Diego.

  L’inviata parla di assistenti sociali. Spiega come Andreina Vukic, durante l’interrogatorio, si sia riferita al neonato chiamandolo “Lui.” Diego si domanda se possa essere figlio del suo amico. Il senzatetto, nel frattempo, lo hanno dimenticato tutti. Anche Sara Correa, che chiude il servizio con il volto affranto, aspettandosi la conferma delle accuse a carico della Vukic.

«Allora, te la vuoi fare sta canna, sì o no?»