Il punchball Onnigrafo Magazine

Il punchball


"Pensi di poter mettere cinque mila lire di benzina?"

"Ovviamente, non c'è problema."

 Arriviamo alle giostre, che di solito si piazzano nell'ampio parcheggio di fianco la stazione dei pullman, in centro città. Il cielo è terso e il sole è forte sulla marmaglia di ragazzini e ragazzine che affollano i tiri a segno e gli ottovolanti, rendendo l'aria densa e infuocata. C'è elettricità per l'attesa di quello che succederà stasera, e pare che tutti si stiano divertendo un mondo. Anch'io tutto sommato. Dobbiamo trovare Uccello, ha un debito con Lupin e ha promesso di saldarlo oggi con una contropartita.

"Sarà sicuramente al punchball" prevede Lupin. Il punchball era una specie di feticcio, di totem, per i tamarri della città, l'infallibile metro di misura della loro mascolinità, con il quale si dovevano misurare una volta l'anno per stabilire ancora una volta chi era l'alfa. Ragazzi tozzi e tarchiati, dalla tipica silhouette greco-romana, bassi con le spalle larghe date dagli anni trascorsi a perforare strade e impilare mattoni, si sfidavano a chi tirava il pugno più forte alla palla di cuoio elettronica. Era una prova d'onore che tutti prendevano con estrema serietà.

Avvistiamo Uccello, che ai tempi aveva appena 14 anni. Era il nipote di un pezzo grosso della malavita locale, e perciò si comportava da completo bullo la maggior parte del tempo, consapevole del fatto che pochissimi in città si potevano permettere di sfiorarlo con un dito. Spacciava cocaina ed ecstasy, da lì a qualche anno sarebbe finito dentro per tentato omicidio. Ho il tempo di vedere un tizio scorticarsi le nocche a causa di un colpo male assestato, e un altro finire rovinosamente al suolo dopo aver tentato di colpire la sfera con un calcio volante. Lupin mi chiama: "Andiamo al bar a prendere qualcosa con Uccello". 

Uccello paga il primo giro di campari-gin al bar della stazione, affollato come non mai di gitanti dalle province limitrofe. A quel punto, i due lasciano i bicchieri sul tavolino e si dirigono verso il bagno, io non so bene cosa fare. Lupin mi fa un cenno con la testa e mi indica di seguirli. Il quattordicenne estrae una bustina ed una carta telefonica, mette un po' di polvere bianca sulla custodia di un CD che aveva nel marsupio, e la schiaccia con la scheda. In seguito allinea tre strisce di polvere uguali, e porge a Lupin una 50 mila lire arrotolata. Osservo bene quello che fa Lupin, devo sembrare naturale. Mi porge la banconota, che stringo bene per non farla srotolare, mi chino sulla custodia, e tiro tutto su da una narice. Uccello finisce l'ultima striscia, nessuno dei due ha ancora detto una parola. 

"Spero che ora siamo pari, Lupin." 

"È tutt'apposto, fammiti offrire un altro campari-gin."

Ovviamente devo pagarlo io, e do fondo ai miei ultimi risparmi. Ora siamo ufficialmente senza una lira ma con tanta droga e alcol in corpo. Durante il secondo cocktail la coca comincia ad entrare in circolo, cominciamo a ridere e a darci forti pacche sulle spalle, ora dobbiamo uscire in strada a sfogarci. Non mi ero mai sentito così, vuoto il campari-gin d'un fiato e sento che potrei vuotarne altri cinque di seguito. Voglio correre e voglio andare sulle macchine da scontro, ma soprattutto ho bisogno di una sigaretta. Uccello, appena usciti fuori, accende il "pinguino", cioè la sigaretta che ha strofinato sulla custodia del CD, catturando gli ultimi granelli di polvere bianca. Tornando verso il punchball, Lupin si gira verso di me e mi lancia uno sguardo d'intesa: "Te l'avevo detto che oggi ci saremmo divertiti" sottintende. Arrivati sul luogo qualcuno, notando il nostro arrivo, ha la malaugurata idea di cominciare a prendere in giro Uccello, molto basso di statura. 

"Ma tu perché stai sempre qua? Non ti ho mai visto tirare un pugno, che c'è, non hai le palle?" 

Il folle non sapeva con chi stava parlando, nè sapeva che Uccello bazzicava lì perché era quello il punto in cui poter comprare della cocaina. 

"Mò lo tiro un pugno, aspè, fammi trovare i soldi" dice Uccello, piegando la testa in avanti come a frugarsi nelle tasche. Improvvisamente, il quattordicenne carica verso il malaugurato colpendogli con la testa il mento dal basso verso l'alto e mandandolo a terra. La faccia del tizio comincia a riempirsi di sangue mentre Uccello gli sferra calci nelle costole. Gente accorre per dividerli, Lupin mi tocca un braccio e mi fa cenno di toglierci di torno alla svelta. Corriamo verso il motorino e in pochi minuti siamo nuovamente diretti verso il locale nei Sassi brandendo un cartone di vino a testa.