Milano - parte prima Onnigrafo Magazine

Milano - parte prima

Alla trentunesima email che ancora una volta declinava gentilmente il mio invito, eseguo il log out del sistema e mi dirigo verso gli ascensori. Avevo smesso di fumare da anni ma ora avevo urgentemente bisogno di una sigaretta, con un po' di fortuna avrei trovato Maria giù in cortile e gliene avrei scroccato una. Stavo cercando di organizzare il più grande sciopero che la storia italiana avesse mai visto, avevo intenzione di coinvolgere tutti gli "informatici", come ci chiamano in Italia; volevo che tutti i lavoratori impiegati in mansioni relative all'informatica prendessero parte allo sciopero: ingegneri del software, sviluppatori, sistemisti, ingegneri della rete, tester, architetti, analisti, tecnici dell'hardware, avremmo messo l'Italia in ginocchio. Ovviamente nessuno finora aveva voluto aderire, nemmeno i miei compagni di squadra: Mauro aveva la moglie con una malattia cronica, Max aveva appena comprato casa e messo incinta la moglie, Ivan aveva la partita IVA. "Non possiamo permettercelo, ci dispiace, ma hai tutta la nostra solidarietà e supporteremo sempre la tua causa". Il fatto che non potevano permettersi di scioperare era la ragione principale per la quale dovevano scioperare, ma vaglielo a spiegare. Nel migliore dei casi ti rispondevano dicendo di non essere interessati, mandando in fumo le ore che avevi speso in discorsi belli tondi e ragionevoli cercando di convincerli, in altri casi minacciavano di dirlo al loro capo che poi l'avrebbe detto al mio, nella maggior parte dei casi non rispondevano proprio. Ci mancavano solo le intimidazioni mafiose, come se non fosse un mio diritto pretendere migliori condizioni lavorative.

Maria non era in cortile, ma c'era quella sua collega carina a fumare da sola, non potrà negarmi una sigaretta. Le chiedo da fumare e le faccio una domanda generica, per poterla lasciar parlare mentre mi perdo nei miei pensieri e mi godo le cancerogene boccate di fumo. Con 900 euro a Milano non ci campavo, 300 se ne andavano solo per l'affitto ed ero stato fortunato ad aver trovato un posto ad un prezzo così basso. La città era terribilmente cara, in tre anni non solo non ero riuscito a mettere un soldo da parte, ero costantemente costretto a contare il denaro che avevo in tasca. Ma la cosa più irritante era il fatto di non avere un contratto fisso; me lo facevano rinnovare ogni sei mesi, contratti a progetto che non prevedevano né ferie né malattie, figli dell'ultima riforma della legge sul lavoro, e ciò non mi dava sicurezze, tanto meno la possibilità di fare investimenti di alcun genere. Sapevo che migliaia di persone erano nelle mie condizioni, e sapevo che avremmo potuto tranquillamente bloccare tutto perché il nostro lavoro è fondamentale, ma nonostante ciò i miei colleghi si rifiutavano di coalizzarsi e chiedere condizioni migliori. Tutto ciò mi mandava in bestia.

Senza rendermene conto sono di nuovo davanti al computer, nel carnaio del tredicesimo piano dell'edificio principale di Banca Mediolanum, sede di Milano 2. Uno stupido grattacielo di vetro contro le cui finestre a specchio spesso andavano ad uccidersi uccelli di ogni specie. Una volta si schiantò un'anatra, fece un rumore pazzesco e cadde a strapiombo. Capettini andò a raccorgliela e probabilmente se la mangiò. Eravamo buttati nel mezzo dell'open space, con i nostri portatili fra mille schermi e cavi, cercando di concentrarci sul codice, mentre intorno a noi impiegati di banca urlavano al telefono. C'era davvero poco rispetto per il nostro lavoro; per qualche ragione, nel 2008 un programmatore con tanto di laurea in informatica non aveva un profilo contrattuale da ingegnere, era invece classificato come metalmeccanico e pagato di conseguenza. Ma la cosa peggiore era la supponenza, l'arroganza, la maleducazione dei superiori, quei manager di banca le cui professioni non esisterebbero senza qualcuno che gli scrive il codice. Io purtroppo dovevo anche partecipare alle loro riunioni da bauscia milanesi, tutti tronfi e pieni di sé, a elencare le loro stupide specifiche che avrebbero cambiato da lì a poche settimane quando si sarebbero accorti che ciò che avevano chiesto non era quello che volevano. Si davano tante arie da capoccioni senza i quali l'azienda non sopravviverebbe, ma quando li sentivi discorrere fra di loro tutto ciò di cui parlavano era calcio e figa. Dio quanto li odiavo. Due ore e mezza dopo riesco finalmente a lasciare quella macchina divora anime. Prima di raggiungere la fermata della navetta devo assolutamente bermi un cicchetto o due al bar aziendale. In quel bar tutte le mattine c'è un piccolo signore anziano che ordina tre bicchieri di bianco, se li tracanna d'un fiato e senza batter ciglio va a lavoro. È quasi buio e sta piovendo, la primavera ancora latita in questo marzo freddo e umido. La navetta aziendale ci scarica tutti alla fermata della metro, e tanto per cambiare c'è di nuovo sciopero dei mezzi. Non ne potevo davvero più, ero stanco e bagnato, tutto ciò che volevo era fumarmi un cannone lungo un piede. Vado allora alla fermata del bus, in mancanza di idee migliori. Passa un autobus ma non si ferma, immagino stiano facendo quella cosa per cui si sciopera ma si consumano comunque le risorse dell'azienda. Penso l'abbiano inventata i giapponesi. Quando ne avvisto un altro, metto da parte tutti i miei principi e mi pianto nel mezzo della strada, sperando con tutto il cuore che qualcun altro faccia lo stesso. Altre tre o quattro persone mi affiancano e il mezzo si ferma, saliamo a bordo. L'autista alla fine non è tanto cattivo, e ci fa scendere un po' dove ci pare. L'unica cosa buona che mi è capitata in questa giornata del cazzo.

Scendo dalle parti del quartiere Caiazzo e mi avvio verso i campetti, Vins mi aveva mandato un messaggio pochi minuti prima facendomi sapere dov'era. Anche lui di Matera, lo avevo conosciuto durante la scuola superiore quando avevamo fatto volontariato insieme allo stesso mercatino dei libri, ma non ci eravamo mai frequentati prima di esserci ritrovati entrambi a Milano. Ora ci vedevamo praticamente quasi ogni giorno, con il mio collega Billy ed il mio coinquilino Sky a completare un gruppo di quattro uomini single poco più che venticinquenni, con ancora tanto vigore e tanta voglia di drogarsi, di fare baldoria e di godersi gli ultimi scampoli di giovinezza, e sicuramente non serve dire che eravamo in cerca di donne 24 ore al giorno 7 giorni la settimana.

Vins era seduto su una panchina con il nostro pusher ed altri personaggi del quartiere, scoppiati a malapena in grado di badare ai loro bisogni fisiologici più immediati, avevano tutti alle spalle storie di droga e anni passati in strada come punk erranti, e ora arrancavano vivendo alla giornata, immagino che senza la pensione della madre vivrebbero nella galleria che porta a Piazza Garibaldi. Stavano facendo girare un cylum mentre africani, est europei e sudamericani se le davano di santa ragione sul terreno di gioco. Era ormai buio e a stento si riusciva a distinguere la sfera grigiastra e scolorita sul campetto di mattonelle, grigie anch'esse, ma i giovani immigrati non avevano intenzione di smettere, anzi l'agonismo era palpabile. Marocchini e algerini dal fisico asciutto e olivastro, bulgari e ucraini biondi, pallidi e ossuti, cileni e peruviani piccoli, veloci e ipertecnici. Amavo il multietnico proletariato milanese.

Saluto Vins e gli altri bislacchi abitanti di queste lande periferiche, e gli chiedo se posso andare a casa sua a farmi una doccia e a cambiarmi. Il mio buon amico mi passa le chiavi e mi dice di fumare un po' dal cylum innanzitutto.


L'arrivo di Vins nel nostro gruppetto rappresentò un vero e proprio giro di boa. I primi mesi a Milano conoscevo solo Billy e Sky, poi un'amica in comune che all'epoca viveva in Spagna mi passò il suo contatto, dicendomi che se volevo svoltare a Milano dovevo conoscere Vins. Aveva ragione. A parte il fatto che ormai era nel capoluogo lombardo da cinque anni e conosceva bene la mappa della città e i suoi locali, il mio compaesano andava allo IULM, dove il 90% degli studenti è di sesso femminile, ma la cosa più importante di tutte era il suo magnetismo, il suo esercitare un certo fascino sull'altro sesso. Era di carattere gioviale e allegro, era rarissimo vederlo serio o pensieroso, sembrava vivere in una bolla di felicità inespugnabile, ed era anche un comico niente male. Se a ciò si aggiunge che adorava andare per locali, bere e fumare hashish, si comprende come Vins era l'elemento perfetto in un gruppetto di uomini che sta solo cercando di inserirsi in un contesto così confusionario, impenetrabile e francamente intimidatorio. Io e Billy non eravamo un granché nell'arte dell'approccio, mentre Sky a malapena parlava in generale, invece Vins non aveva nessun timore a buttarsi e a cominciare a ridere e scherzare con gruppi di ragazze che neanche conosceva, perché "aveva la faccia come il culo", per dirla alla maniera di Billy.

Il nostro amico pusher mi passa il cylum. Erano ormai diversi anni che Vins si riforniva da lui, soprattutto per comodità, essendo il suo appartamento nel palazzo di fronte a quello del mio compaesano. Ero stato solo una volta a casa sua, e la sensazione di squallore e povertà che trasudava da quei 40 metri quadrati, in cui ci viveva con compagna e figlio in età prescolare, mi avevano messo addosso una tristezza indicibile. È davvero difficile nella società odierna barcamenarsi fra lavori in nero, o sottopagati, o precari, quando non si ha un titolo di studio o capacità appetibili al mercato. Il nostro spacciatore aveva semplicemente concluso che era molto più semplice e remunerativo vendere droghe leggere ai giovani e meno giovani del quartiere. E anche così a stento campava. Una situazione che in qualche modo vivevo anch'io, giunto a Milano con tante speranze andate sistematicamente frustrate quando dopo un po' mi sono reso conto di aver lavorato a tempo pieno quasi ininterrottamente per tre anni senza essere riuscito a risparmiare nulla, e soprattutto senza avere il sentore che le cose potessero migliorare.

All'inizio questa città mi faceva un po' paura. Ho dovuto imparare in breve e a mie spese che non era possibile girarsela a piedi, dovevo imparare la topografia dei mezzi pubblici e soprattutto dovevo pagarli, e costavano cari. Ho dovuto imparare che l'apparenza è tutto a Milano, dovevo ben vestirmi e rinunciare all'aspetto trasandato da studente di sinistra se volevo trovare un lavoro, e se volevo essere notato dalle donne. Lo shock culturale che esiste fra Bari e Milano è qualcosa di sottile e allo stesso tempo molto netto. Superate le difficoltà iniziali cominciai ad apprezzare la decadenza, quello strano squallore chic, quel doversi divertire e ostentare il proprio divertimento a tutti i costi, che appartengono solo alla Milano da bere. Non c'era confronto con Bari. C'erano eventi tutte le sere, strade piene fino alle 3 di notte, un brulichio continuo, una nuova generazione di potenziali tossici figli di papà che voleva bruciare le tappe in fretta. Discoteche, club, centri sociali, concerti, piazze gremite, studenti stranieri, modelli e modelle, rifugiati e clandestini, rom e punk di strada, ragazze facili, e tanta di quella droga. È stato all’inizio un mondo nuovo ed inesplorato, affascinante e sexy, ma dopo tre anni cominciava già a seccarmi, non ne vedevo l'evoluzione, non ne vedevo il miglioramento, perché semplicemente non c'erano.

Apro la porta dell'appartamento ed entro nel disordine della dimora di Vins, un bilocale che divideva con il fratello, il quale era esattamente il suo opposto. Non era in casa, probabilmente era già davanti al Gioia 69, a farsi due ore di fila per dover poi pagare 50 euro per entrare in un posto in cui non sei ammesso se non hai la camicia e i cocktail costano 10 carte. Vado immediatamente al computer per controllare email e notifiche su Facebook; internet era diventato negli ultimi anni lo strumento principale per incontrare ragazze, l'online dating era ora la nuova frontiera, e per me non poteva profilarsi scenario migliore. Ero sempre stato abbastanza timido con le donne, inoltre balbettavo sotto stress, e per alleviare lo stress ricorrevo all'alcol, col risultato di essere spesso troppo ubriaco per poter condurre un discorso coerente. Liberato dalla pressione della presenza fisica, chattavo con svariate persone su Microsoft Messenger e riuscivo a esprimere me stesso liberamente, quindi quando eventualmente le incontravo di persona avevamo già raggiunto un certo livello di intimità, e mi sentivo più sicuro. Noto che Cynthia, la studentessa americana che avevo conosciuto a gennaio, mi aveva mandato una nuova email. Le sue email erano sempre più lunghe e più profonde, come le mie d'altronde, e stavamo davvero raggiungendo un'intesa che non avevo mai provato prima. L'algoritmo di un sito di incontri aveva trovato compatibilità fra le nostre personalità, e chiunque abbia scritto quell'algoritmo ha fatto un ottimo lavoro, visto che siamo finiti a letto tre ore dopo esserci incontrati. A fine gennaio era rientrato in America ciò che io avevo archiviato come un altro successo personale, poi però abbiamo cominciato a scambiarci email, prima una volta alla settimana, poi a giorni alterni, e ora quotidianamente. Avevo paura di essermi innamorato di lei, e avevo paura che prima o poi mi avrebbe chiesto di andare a vivere da lei. Decido di aprire quell'email quando sarei tornato a casa quella sera.

Esco dalla doccia con i Prodigy a tutto volume e Vins e Billy che condividono uno spinello, surfando l'internet alla ricerca di qualcosa da fare in questo venerdì sera. Era sempre difficile mettere d'accordo tutti, impiegavamo ore per decidere dove andare.

"Stanno gli Aretuska al Leoncavallo" dice Vins, "Li abbiamo visti quattro volte in un anno, e andiamo sempre al Leoncavallo!" protesta Billy. Vins e Billy battibeccavano in continuazione, ma si volevano un bene dell'anima.

"Quella tipa che ho beccato su Badoo ha detto che va al Leoncavallo, e che porta un'amica."

"E allora di cosa stiamo parlando. Dille di portare due amiche a sto punto. Oh, bella Bob!" Billy saluta, mettendo su un video dei Disturbed. "Bella uagliò!" esclamo di rimando. Lo avevo conosciuto allo stage per il quale mi ero trasferito a Milano, poi Billy aveva deciso di accettare l'offerta della multinazionale fornitrice dello stage, io invece avevo deciso di unirmi ad una startup nel campo del VoIP, la quale startup mi avrebbe poi "prestato" a Mediolanum e altre aziende come consulente. Eravamo entrambi a Milano per la prima volta, fu praticamente naturale cominciare a frequentarci, l'amicizia fu immediata. Era anche un metallaro, anche se non l'avreste mai detto, visto che il suo look abituale era pantaloni neri e camicia bianca.

Io e Billy rappresentavamo la parte responsabile del gruppo, avendo entrambi un lavoro professionale, pur essendo entrambi inclini allo sballo, all'autodistruzione ed alla vita notturna. A quell'età potevamo ancora permetterci di fare bisboccia fino a sera tardi e poi andare a lavoro, un po' arruffati, la mattina dopo. Era decisamente migliore di me nella pratica del risparmio e della parsimonia, era sempre a caccia di sconti, coupon, groupon e discount vari, non spendeva mai troppi soldi quando usciva e soprattutto non offriva mai. A Vins questo suo braccino corto non piaceva e spesso lo criticava apertamente, ma Billy gli rispondeva che se non aveva soldi non poteva farci niente. Non era vero che non aveva soldi, ma comprendevo anche perché si comportava in una certa maniera.

Dopo le pizze e birre d’ordinanza dall’egiziano (avevo scoperto che gli egiziani sono ottimi panettieri e in grado di imparare l'arte della pizza quasi fossero napoletani veraci) ci incamminiamo nelle buie strade della periferia milanese, ci vorrà un po’ per raggiungere la nostra meta. Era fondamentale arrivare al luogo di destinazione già ubriachi, Milano non ti permetteva di ubriacarti con i cocktail comprati nei locali, costosi e annacquati. Di conseguenza si usciva sempre con una bottiglia di Lemon Soda che era per un quarto Lemon Soda e per tre quarti gin. Arrivati finalmente al centro sociale, ci tratteniamo al baretto che funge da anticamera della sala del concerto, dove gli Aretuska sono appena saliti sul palco. Gli africani che affollano il bar ballano le loro danze sensuali al ritmo dello ska, giovani e pieni di muscoli. Ci muniamo ciascuno di un bicchiere di plastica colmo di birra ed aspettiamo che le ragazze si manifestino.

"Oh, ma ti hanno confermato che vengono?" domanda Billy. "Sine, te l'ho già detto", replica uno stizzito Vins.

"Eccole là, hai visto?", continua il mio compaesano, scorgendo tre ragazze alte e carine. Vins comincia subito a dare il meglio di se stesso: con il suo carattere coinvolgente si presenta e ci presenta, parla del più e del meno, condendo ogni sua frase con qualche battuta di spirito, ciascuna accompagnata dalle sue movenze teatrali. Un robusto cannone sembra d’uopo, prima di buttarci nella folla. Mentre siamo nella dancehall la ragazza bionda sembra apprezzare le mie fattezze punk, mi viene vicino e vuole parlare. È molto bella, e mi sormonta di una buona decina di centimetri. Le chiedo se vuole uscire a fumare di nuovo, così possiamo parlare un po', al che acconsente. Mentre ci stiamo avviando verso l'uscita mi si avvicina un tipo con gli occhiali da sole, e mi chiede se voglio comprare dell'MDMA, chiamandomi "zio". Gli spacciatori mi hanno sempre avvistato da lontano; in ogni dove io mi sia recato, estero incluso, i pusher si sono avvicinati a me prima che io potessi avvicinarmi a loro. Mi mostra un pezzo e gli chiedo "Quanto?", mi risponde "20 carte", sebbene onestamente sembrasse molto più grande di una dose da venti euro, per cui gli passo i soldi con una manovra consolidata e continuo per la mia strada, nessuno dei due ha bisogno di aggiungere altro. Mi compro e le compro una birra, ci sediamo ai tavolini del cortile interno e rullo un'altra canna, mentre la ascolto cianciare della sua vita. Avevo scoperto che non era difficile intrattenere una ragazza, basta ascoltare ciò che dice e rispondere di conseguenza. Sembriamo piacerci a vicenda, ci scambiamo i numeri e decidiamo di rientrare. Avremmo fatto l'amore una settimana dopo e dopo di che saremmo diventati così amici che non lo avremmo mai più rifatto. Buttiamo giù un paio di cicchetti al baretto e rientriamo nella sala.

Passano così due o tre ore, Roy Paci e la sua banda stanno ritirando gli strumenti, le ragazze hanno rincasato, e noi ci ritroviamo di nuovo al bar, fatti e rintronati. Sto rullando l'ennesima canna quando una tipa mi si siede letteralmente in braccio. Mi racconta di quanto fossi carino e alternativo, è ubriaca e biascica, e mi chiede se ci prendiamo un paio di birre insieme. Penso che implichi che le birre dovrei pagarle io, per cui mi dirigo verso il bancone per la centesima volta. Billy decide di accommiatarsi, ed esce a cercare un taxi, e poi ha anche il coraggio di dire che non ha soldi. Vins invece mi dice che rimane per il dj set, sarebbe stato lì in giro e magari avremmo potuto prendere il notturno delle quattro. Io e la tipa continuiamo a parlare per un tempo indefinito, non ho idea di cosa ci siamo detti, ma so per certo che a un certo punto è sopraggiunta l'amica con la quale era uscita quella sera, e mi propongono di tornare a casa tutti e tre insieme. Non erano particolarmente carine, ma non era il caso di sottilizzarsi, l'occasione di avere un threesome non capita spesso. Mi dicono che vanno un momento in bagno e poi avremmo chiamato un taxi, io penso che sia l'ora di farmi l'ultimo cicchetto, e quello è stato il mio unico errore quella notte. Non mi ero reso conto di quanto fossi ubriaco, preso dall'euforia di aver conosciuto così tante potenziali partner in una sola notte, mentre per tutto quel tempo avevo dovuto tenere le meningi concentrate sul dialogo, e ora si stavano finalmente rilassando. Dovevo vomitare. Penso di aver passato l'ora successiva seduto sul pavimento lercio del bagno del Leoncavallo, mentre fricchettoni ubriachi e strafatti andavano e venivano, fra una minzione e un tiro di coca. Mi ridesta la chiamata di Vins, sono quasi le quattro e se non vogliamo perdere la corsa notturna dobbiamo avviarci. Grazie a dio c'era Vins.


La camminata verso la fermata del pulmino procede quasi in silenzio, io stavo cercando di riprendermi dalla sbronza mentre Vins non aveva quagliato tanto dal suo appuntamento, ma poco male, ne aveva un altro il giorno dopo, mi diceva. Riusciamo ad acciuffare il mezzo un attimo prima che parta, avrà a stento una decina di posti a sedere e ci dobbiamo stringere come sardine, tutti stipati l'uno sull'altro fra ascelle pezzate e aliti alcolici. La corsa speciale notturna ci molla tutti sulla circonvallazione, alla fermata della 90 o della 91, a seconda di quale periferia dovevi raggiungere, est o ovest. Vins ha ancora voglia di fumare e rulla un altro joint, alla fine passano solo 20 minuti prima che il bus sopraggiunga, praticamente un miracolo. Durante i primi tempi questi tragitti notturni attraverso la città mi affascinavano, ammiravo le architetture del periodo fascista affiancate da quelle del periodo medievale, con i loro numerosi passeggeri esotici e colorati; asiatici con le cuffie enormi alle orecchie ondeggiavano il capo al ritmo di una musica che solo loro potevano sentire, sudamericani che discutevano ad alta voce in spagnolo, e africani che non perdevano mai il buon umore e la voglia di ridere e scherzare a qualunque ora del giorno e della notte. Vins raggiunge la sua fermata prima di me, si congeda e mi dà appuntamento alla domenica. Ho una fame boia e non vedo l'ora di arrivare al kebabbaro sotto casa, chioschetto che raggiungo poco dopo. A memoria non credo di averlo mai visto chiuso, potevi contare sul nostro amico turco ogni volta che ti prendeva la fame chimica. Era il miglior kebab che avessi mai provato, o forse mi sembrava così buono perché ovviamente non mangerei mai un cono di carne grondante grasso ed oli saturi a meno di essere sbronzo e/o sballato, rimane il fatto che non ho mai trovato un kebab così ben confezionato in nessun'altra parte del mondo. Divoro il lauto pasto in piedi sul marciapiede, insieme agli altri disperati nottambuli, rincaso e finalmente crollo in un sonno profondo.

Mi sveglia il trambusto combinato da Sky al suo ingresso nel minuscolo monolocale quando sono quasi le due del pomeriggio, era finalmente tornato dal suo ritorno forzato in quel di Filottrano (Ancona), dove si era dovuto recare per l'ultima analisi delle urine, essendo stato beccato con dell'erba in macchina un anno prima. E ora finalmente fuori dal purgatorio era decisamente sul piede di guerra. A detta di Sky quell'anno senza droga è stato il più duro e difficile della sua vita, lui che era abituato a frequentare rave e a prendere ogni tipo di sostanza. A un primo maggio qualche anno prima prese così tanta ketamina che dovemmo portarlo a casa in braccio. Quando andammo allo Sziget Festival una notte si prese una pillola di non so cosa e rimase a vagare in giro completamente disorientato fino alle 10 del giorno dopo. Mi raccontò che a un certo punto si ritrovò a camminare sul ponte che collega l'isola dove si svolge il festival alla città di Budapest, e a metà di questo ebbe un momento di lucidità e si girò per tornare indietro, al sicuro. L'unica volta in cui andai con lui a Filottrano per un sabato sera consumai più cocaina di quanta ne abbia consumata in tutto il resto della mia vita messo insieme, uscimmo alle sette di sera e tornammo alle sette del mattino, più in botta che mai. Il nostro incontro cambiò i destini dell'uno e dell'altro, ne sono sicuro: ero a Milano da una settimana ospite di un amico e dopo aver visto appartamenti su appartamenti arrivai alla porta della dimora di Sky; quest'ultimo si era appena mollato con una ragazza con cui era stato per tre anni, e cercava ora un coinquilino. Anch'io mi ero appena mollato dopo tre anni, ed era solo la prima coincidenza. Mi offrì una Moretti da 66 e si mise a fare una canna, e lì mi ha praticamente conquistato. Non mi importava se dovevamo vivere in 30 metri quadrati, non mi importava se ogni volta che passava il tram tremava tutto (dopo un giorno non lo senti più), e non mi importavano neanche gli scarafaggi che dalla strada entravano strisciando sotto la porta (l'uscita del nostro monolocale dava praticamente sul marciapiede), quel ragazzo mi andava a genio e i tre anni passati in sua compagnia sono stati anni di maturazione e decisioni importanti per entrambi, e ci siamo sempre fatti forza e sostenuti a vicenda. Era il mio compagno ideale, come me aveva bisogno di alcol ed erba per sopportare il peso dell'esistenza, e come me non amava parlare a caso, le nostre conversazioni erano rare ma significative; era estremamente intelligente ma non aveva la benché minima disciplina, in tre anni di scienze politiche era riuscito a dare solo due esami, nonostante il fatto impiegasse ogni secondo del suo tempo libero nella lettura di quotidiani, saggi e documenti politici. Era anche di bell'aspetto, quindi non aveva difficoltà nel rimorchiare, nonostante il fatto che parlasse pochissimo. Anche Billy era della provincia di Ancona, e con loro due uniti a noi due materani formavamo un gruppetto molto affiatato, eravamo persino tutti e quattro juventini, durante gli anni più bui della storia del club e costretti a sorbirci i successi dell'Inter proprio nella Milano nerazzurra.