Rebecca sollevò con mani tremanti il chiavistello che assicurava il cancelletto alla recinzione. Quest'ultimo produsse un rumore stridente che aggredì le orecchie della ragazza. Non vi badò. Oltre la barriera si estendeva un campo di grano e, forse, una possibilità di fuga. Spalancò il cancelletto e lo attraversò. Non si prese la briga di chiuderlo. E a che cosa sarebbe servito? Quell'orda di creature infernali che l'aveva destata dal sonno l'avrebbe rintracciata con quel fiuto che solo gli animali selvaggi avevano.
Prima di entrare nella foresta di spighe si diede un'occhiata alle spalle. C'era movimento, nella fattoria in cui aveva vissuto fino a quel giorno. La luna alta nel cielo glabro illuminava decine di ombre che si muovevano spandendosi sulle mura e sul terreno. Sagome informi che perlustravano ogni angolo in cerca di lei, carne fresca in grado di soddisfare numerosi appetiti.
Rebecca indossava solo la sua vestaglia da notte. Aveva perso una ciabatta nella fuga e si ritrovava a correre come una storpia. Se nel giardino il piede nudo aveva goduto della morbidezza dell'erba tagliata di fresco, nel campo di grano soffriva della durezza del terreno arido cosparso di canne spezzate e foglie taglienti, affilate come solo una foglia secca di granturco poteva essere.
Il piede nudo iniziò presto a sanguinare, un condannato a morte ferito dai pugnali di mille aguzzini. Il dolore si attenuò man mano che perdeva la sensibilità. Alla fine, avvertiva solo delle pulsazioni. La mente di Rebecca non badò nemmeno a queste. Il suo obiettivo era lì, di fronte a lei, oltre il campo.
Udì delle grida, i versi scellerati dei demoni che le davano la caccia. Forse si stavano aggregando sul retro della fattoria, dove il giardino costruito da suo padre per le due figlie conduceva direttamente al campo di granturco. Dove c'era quel magico cancelletto dipinto di azzurro che lei aveva attraversato pochi minuti prima.
Ripensò alla sua famiglia e si chiese che cosa ne era stato. Stava dormendo in camera sua quando i rumori dei demoni che entravano in casa l'avevano svegliata. Rumori di vetri rotti, di assi di legno che si spezzavano, di serrature che saltavano come popcorn. E poi lo scalpiccio di zampe artigliate che salivano le scale accompagnato da suoni che sembravano rigurgiti.
La stanza di Rebecca era quella in fondo al corridoio. La più lontana. In preda alla disperazione, la ragazza aveva aperto la finestra a ghigliottina situata vicino alla testiera del letto. Si era calata fuori adagiando i piedi sulle fragili tegole del tetto del portico. Trattenendo il respiro aveva percorso passo dopo passo fino a raggiungere l'estremità della grondaia. Si era calata abbracciando il tubo come una ladra. Da lì al giardino era stata solo una questione di secondi, ma solo quando aveva posato il piede nudo sull'erba era stata travolta da tutte quelle emozioni che aveva trattenuto a stento.
Altre grida immonde. I demoni avevano guadagnato terreno, poteva udire il rumore delle canne che si spezzavano sotto la pressione dei loro artigli. Piangendo, Rebecca cambiò direzione. Spaventò un animale che le sgusciò tra le gambe. Un tasso, forse, o una volpe.
Finalmente sbucò fuori da quell'intrico di spighe e canne. La sua destinazione era a pochi passi. Un canale che divideva i campi come una ferita aperta. Si sarebbe tuffata e poi, e poi...
Con orrore si accorse che i demoni l'avevano circondata. Un manipolo di mostri le bloccava l'accesso al canale, gli artigli alzati che brandivano delle spade fiammeggianti. Altri giunsero da dietro muovendo le spighe di granturco come una marea.
Non c'erano altre vie di fuga. I demoni erano ovunque, tutto attorno a lei, bestie sataniche ululanti. Alla luce delle fiamme poteva scorgere le lunghe corna sopra le loro teste, i canini che uscivano dalle fauci, i nasi porcini e le chiome leonine. Avevano ali di pipistrello ripiegate dietro le spalle e lunghe code glabre che terminavano con degli spuntoni ossei.
Le grida si intensificarono mentre i demoni restringevano il cerchio. Rebecca vide la luna scomparire dietro al fumo rilasciato dalle spade fiammeggianti. Poté avvertirne il calore. Si lasciò cadere a terra semisvenuta, sopraffatta dal terrore.
Uno dei demoni lasciò la spada e abbandonò la congrega.
Riuscì a sorreggerla un istante prima che lei toccasse il terreno.
"Rebecca, figlia mia, che cosa hai fatto?" I lineamenti del demone si tramutarono in quelli di suo padre.
Il suo beneamato padre.
"Rebecca...
Tua madre...
Tua sorella...
Perché le hai assassinate?" Il mondo attorno alla ragazza mutò.
I demoni diventarono i suoi compaesani. Le spade si rivelarono essere delle torce. Le urla non erano altro che pianti e richiami.
"Padre, io non..." e ricordò.
Ricordò di quei demoni che c'erano, ma solo nella sua testa.
Piantandosi le unghie nella morbida carne del viso, Rebecca urlò.