Vino Onnigrafo Magazine

Vino

Oggi con il turismo di massa non è più possibile fare una cosa del genere, ma meno di vent'anni fa i Sassi erano ancora per lo più disabitati, e si poteva occupare impunemente qualunque delle centinaia di loculi a disposizione, a volte veri e propri piccoli appartamenti. Di solito andava a finire che qualcuno notava la cosa e chiamava la polizia, la quale poi si recava sul luogo e cacciava via tutti, ma nessuno era mai stato incriminato per una cosa simile. Il nostro locale era vicino la cattedrale, in una delle zone meno abitate degli antichi rioni. Lo avevamo ripulito dalle erbacce e dalle pietre, avevamo messo una porta con lucchetto e catenaccio, portato sedie, tavolo e persino una brandina. C'era anche un caminetto funzionante. Non c'era elettricità, quindi usavamo candele e radio a batteria. Era il nostro piccolo rifugio, il nostro regno, ci riparava dal sole d'estate e dal freddo d'inverno, perfetto per quando "facevi filone", perfetto per quando volevi fumartene una in santa pace. Finora la polizia non si era vista, però un attacco in effetti lo avevamo subito: un giorno avevamo trovato la porta sfondata, sedie e tavolo rovesciati, qualcuno aveva rubato la radio e si era fumato lo "svuotino" decorativo gigante che avevamo appeso al muro. Uno "svuotino" è una sigaretta rullata con solo tabacco, niente hashish; una sera particolarmente noiosa avevamo deciso di rullare lo svuotino più lungo del mondo: attaccammo insieme una quindicina di cartine, lo rullammo in quattro o cinque e poi lo appendemmo al muro con due chiodi, a memoria eterna dell'epica impresa. Poi venimmo a sapere da fonti anonime che era stato lo Schiavo, il quale messo alle strette ci confessò di aver commesso il misfatto. Stavamo per dargli quello che si meritava quando ci implorò perdono e disse che ci avrebbe ridato i soldi di quanto avevamo speso per quel cannone gigante. L'idiota pensava di essersi fumato un enorme joint. Ci facemmo dare 50 mila lire e gli risparmiammo il pestaggio.


Lasciamo i motorini sulla strada, l'unica percorribile da mezzi con ruote, e ci inerpichiamo per le stradine e le scalinate. C'è da camminare cinque minuti buoni per arrivarci. Notiamo il motorino di Schizzo, ci sarà lui al locale. Schizzo era uno del quartiere ma non aveva un gruppo suo, era piuttosto uno che conoscevano tutti ma non aveva veri amici. Lavorava ed aveva la ragazza, ma era un tipo un po' sfuggente, aveva periodi in cui lo vedevi sempre in giro, indaffarato in mille faccende, e periodi in cui spariva dalla circolazione. Ci fidavamo di lui, per questo aveva le chiavi del locale, spesso divideva il fumo con noi e con il clochard che viveva nel loculo accanto. Ogni tanto ci viveva anche nel nostro locale, quando litigava con i suoi genitori e decideva di non tornare a casa per qualche giorno. Inoltre era l'unico che usava il nostro posticino per i suoi incontri romantici, e ci piaceva raccontare in giro che ci venivano ragazze. Gabriel il senzatetto spagnolo e Schizzo erano al locale. Stavano fumando un carciofo, una canna rullata con una tecnica particolare. A Schizzo non importava più di tanto di scambiarsi un filtro insalivato con un vagabondo, alcuni di noi non avevano la stessa disinvoltura. Gabriel girava l'Europa in bicicletta, aveva vissuto in Spagna, in Portogallo ed in Francia, ed ora aveva trovato un rifugio confortevole in questo sperduto meridione italico. Il suo italiano era abbastanza comprensibile, finchè non si sballava, a quel punto non parlava più nessuna lingua conosciuta. Una sera, dopo un sufficiente numero di cannoni, ci raccontò cosa gli era successo, però nessuno riuscì a capire cosa aveva detto. Il bello è che nessuno lo interruppe, parlò per una mezz'oretta, e ad un certo punto si mise a piangere. Un giorno, senza dire niente a nessuno, se ne sarebbe andato e non lo avremmo mai più rivisto. Arriviamo al locale e salutiamo gli inquilini, ci mettiamo subito all'opera per prolungare lo sballo. Lupin è nervoso, fabbrica in brevissimo tempo un siluro "ad elle", con due cartine incollate insieme, che fuma con avidità, passandolo solo quando è ormai a metà. Ma noi siamo troppo euforici per notare il suo malumore, e stiamo rendendo partecipi i nostri compagni di quanto ci è accaduto, e non è poco, nel giro di alcune ore. Quando Babbeo dice: "Avvocà, dammi la mille lire!" tutti scoppiano in una fragorosa risata, tranne Lupin, che sbotta ed esce fuori. Nessuno sembra interessarsene, così esco io a vedere cosa gli succede. Era un po' il mio ruolo come più anziano e più istruito del gruppo ascoltare i problemi dei miei amici e dar loro saggi consigli. Mi piaceva pensare che fossi io il collante che ci teneva uniti. Lupin si appoggia al muretto in tufo antistante l'entrata del nostro nascondiglio, e accende una Pall Mall. Non mi dà neanche il tempo di chiedergli cosa succede che parte con uno dei suoi soliti narcisistici monologhi: "Ho finito il fumo, Sacchè, mò ho rullato l'ultima canna. Sto pure senza una lira. Mi hanno licenziato due giorni fa, sono andato a lavoro ubriaco e mi sono caduti gli occhiali nell'impastatrice. Mio padre me le ha date per il licenziamento e per gli occhiali. Ho speso gli ultimi soldi per questi occhiali nuovi di merda, tengo giusto guarda, quattro, cinque sigarette! Contavo su Sbuccino per farmi dare un prestito ma ora sono fottuto! Non posso stare senza soldi, io sono Lupin, ho un nome da mantenere. E oggi ci dobbiamo sballare!" Aveva il viso paonazzo e gli occhi spalancati dalla rabbia. "Sacchè, vieni con me, andiamo a fare due cose." Ero sempre elettrizzato e lusingato quando Lupin mi coinvolgeva nelle sue avventure. Aveva solo 15 anni ma era già conosciuto da praticamente tutti quelli che contano a Matera. Aveva mollato l'alberghiero dopo due settimane di frequenza e quattro mesi di "filoni", e saltava da un lavoro all'altro. Era sempre alle prese con qualche affare, in ogni momento aveva un appuntamento con qualcuno, di solito per comprare o per vendere droga. Aveva sempre soldi e fumo, un posto dove andare e qualcuno da incontrare. Se andavi ad una festa, un concerto, una dancehall, o qualunque cosa che ricordasse vagamente un evento mondano, potevi essere sicuro di trovarlo lì. Lupin era ovunque e sulla bocca di tutti, Lupin regnava in questa cittá. O almeno questa era la nostra percezione. E la sua popolaritá di certo aiutava a migliorare la mia, per questo andavo fiero nel farmi vedere in giro con lui. Annunciamo agli altri che andiamo a fare un po' di commissioni e che torneremo presto. Babbeo mi ricorda di andare a casa sua per vedere la partita quella sera; lo tranquilizzo, ci sarò di sicuro. Monto sul motorino e Lupin parte di gran carriera. "Quanti soldi hai?" chiede. Avevo solo 10 mila lire, tutto ciò che mi era rimasto delle 50 che mia madre mi aveva dato per andare sulle giostre con i miei amichetti. Le altre 40 le avevo date a Marcostrano quella mattina. "Però ho ancora parecchio fumo" gli dico, "Capirai, non abbiamo manco sigarette, e fra un po' finirò la benzina. Sacchè, così non ci facciamo un cazzo, dobbiamo svoltare." Era chiaro che Lupin avesse un piano. Stiamo andando verso la periferia sud, in uno dei quartieri che delimitano la cittá. Percorriamo una serie di stradine di periferia deserte e arriviamo in uno spiazzo con pochi negozi con le serrande chiuse. Oggi è un giorno festivo, ed è anche l'ora della siesta nella nostra sonnolenta cittadina. In giro non c'è un'anima, sono tutti o alle bancarelle, o alle giostre, o a schiacciare una pennica. Lupin fa il giro verso la parte posteriore di questi negozi, ferma il motorino e scendiamo. Mi fa cenno di seguirlo e a piedi torniamo verso la parte anteriore. Mi passa una sigaretta e se ne accende una. Si mette a smanettare con il cellulare, anche se non ha credito. "Facciamo finta di stare aspettando qualcuno" bisbiglia. A metà sigaretta fa finta di chiamare, finita la sigaretta mima un gesto di impazienza e va verso il citofono di un portone. Urla "Sono io!" a qualcuno dall'altra parte del citofono, pur non avendo premuto nessun bottone. Spinge il portone e questo si apre, non era chiuso a chiave. Mi dice di tornare sul retro ed aspettarlo lì, dopo di che entra e chiude il portone dietro di sè. Vado sul retro e dopo pochi minuti una delle porte posteriori si apre, è Lupin: "Prendi il motorino, portalo qui!" dice il più silenziosamente possibile. Parcheggio il motorino davanti alla porta semi aperta ed entro anch'io. Mi ci vogliono alcuni secondi per abituarmi all'oscurità, poi mi rendo conto di essere in un negozio alimentari. "Afferra tutti i cartoni di vino che riesci a prendere e filiamocela!" dice con un tono di voce che tradisce un certo livello di adrenalina. La sento anch'io l'adrenalina, non ho mai partecipato ad un furto di queste dimensioni. Riusciamo a comprimere otto cartoni di vino nel bauletto del motorino, Lupin sbatte la porta per farla chiudere dall'esterno, e sgommiamo via di corsa cercando di dare il meno nell'occhio possibile. "Come cazzo hai fatto?" gli chiedo, "Quel portone non si chiude e dentro c'è una porticina che dà nel negozio di alimentari, ho una copia della chiave.” Questo era Lupin, tirava fuori le storie più incredibili e ti lasciava di stucco a domandarti come diamine faceva ad avere le mani in queste cose. Ci fermiamo poco più avanti, Lupin apre il bauletto e "stappa" un cartone "Ci dobbiamo sballare forte oggi, Sacchè! Fai una canna!" È su di giri, e lo sono anch'io, è stata un'emozione forte ed ora ho davvero voglia di ubriacarmi. Mentre fumiamo mi dice: "Non abbiamo ancora finito, devo andare a vedere un amico che mi deve dare una cosa." So benissimo cos'è quella cosa: cocaina.