Dallo zio Jackie Onnigrafo Magazine

Dallo zio Jackie


Ben si alzò di scatto. Il singhiozzo cominciò. Il sudore gli aveva schiacciato tutti i capelli sulla fronte, mentre il lenzuolo si era completamente staccato dal letto. Aveva avuto l’ennesimo incubo.

Dalla finestra entrava la prima luce del giorno. Ben controllò subito l’ora. Aveva ancora diversi minuti per riposare, ma non poteva riuscirci. Meglio sistemare il letto, pensò.

  Nella camera accanto Laura aprì gli occhi. Le parve di sentire suo figlio sveglio, sebbene in casa regnasse il silenzio più assoluto. Le auto della superstrada si udivano in lontananza come al solito, e la sveglia indicava le sei del mattino. Trascorse alcuni minuti distesa a letto, cercando di ascoltare nel silenzio i movimenti di suo figlio. Ben, oltre il muro, stava facendo lo stesso.

  Le colazioni abbondanti di sua madre non gli erano mai piaciute. Le considerava il primo dei diversi obblighi che gli venivano imposti da quando suo padre non c’era più. 

  «Finisci la pancetta, Ben!» Quante volte se lo era sentito ripetere. E successe più o meno lo stesso anche quella stessa mattina, sebbene sua madre sembrasse più agitata del solito.

  «Come devo dirtelo che siamo in ritardo?» disse Laura, correndo su e giù per la casa. «Dobbiamo essere lì tra un’ora e devi ancora finire le uova!»

«Non mi sento bene, mamma.»

«E quando mai ti senti bene tu, eh?» rispose Laura.

  Ben aveva lo stesso colorito pallido di quando si era bruscamente svegliato. Cercava di distogliere lo sguardo dal piatto, ma poi ripensava all’incubo. 

«Ti vuoi sbrigare, per Dio! Dobbiamo metterci in macchina, abbiamo cinquanta miglia da fare!»

  Ben si alzò e corse verso il bagno. Ci risiamo, pensò Laura. Gettò via con rabbia gli avanzi di cibo, imprecando. Sistemò il più in fretta possibile la cucina. Ad un certo punto, il telefono squillò.

  «Mai avere paura! Mai avere pau…» cercava di ripetere Ben, inginocchiato sul pavimento del bagno. Un conato lo colse all’improvviso, ma non riusciva proprio a vomitare.

  «È sempre la solita storia, Lisa!» urlava nel frattempo sua madre al telefono. Prese le chiavi della macchina e le mise in borsa, dando un ultimo sguardo alla casa. «Partiamo ora. Ti richiamo dopo.»

Ben respirò a pieni polmoni la prima boccata d’aria appena uscito di casa.

  Per arrivare a Luverne avrebbero impiegato meno di un’ora. Un tempo che Ben avrebbe sperato non finisse mai. Sua madre non stava ferma un attimo, nemmeno al volante. Si toccava i capelli, guardava l’ora, lo specchietto retrovisore e il rimmel sulle ciglia. Controllava anche suo figlio, con la coda dell’occhio, mentre rimaneva immobile sul sedile.

  Sin dalla più tenera età Ben aveva amato osservare fuori dal finestrino. Alla sua immaginazione era sempre bastato ben poco per allontanarlo dalla realtà, anche dalla strada alberata che li avrebbe condotti laddove non avrebbe mai voluto mettere piede.

  Dove sei, si chiedeva. Non poteva fare a meno di pensare a suo padre, e questo faceva ancora più male dell’incubo. Così, via a saltare dalle cime degli alberi della strada, e poi sui lampioni, e poi magari sul tetto di qualche macchina, per raggiungere con l’ennesimo balzo i cavi dell’illuminazione.

  Saltava col pensiero, saltava per essere libero. Sempre meglio di quella squallida monovolume vecchia anche per un bimbo poco interessato alle automobili come lui.

  «Lisa? Ehi, piccola, noi siamo per strada. Puoi sentirmi?»

«Sì», rispose sua sorella. «C’è Jackie che cerca non so cosa, dammi un minuto!»

Diavolo di un Jackie, pensò Laura. Era uscito da una settimana. Non era cambiato, a quanto pareva.

«Sono al solito posto!» urlava Lisa dall’altro capo del telefono, riferendosi a chissà cosa.

«Lisa, se vuoi ti richiamo», le disse.

«Scusami, il solito imbecille!» rispose lei.

«Arriviamo tra mezz’ora.»

«Fantastico!» esclamò Lisa. «E Ben? Sta ancora male?»

«Ma che ne so io!» disse sua sorella. «Se ne sta con la testa sul finestrino, come al solito.»

  E saltava più in alto che mai. Aveva un’incredibile voglia di toccare il cielo. Ma la nausea lo riportava alla realtà. Luverne era ormai alle porte.

«Ci siamo, Ben. Come ti senti?»

«Come prima, mamma.»

«Hai bisogno di aria fresca. Staremo bene, vedrai.» 

  Lo diceva ogni volta che arrivavano da qualche parte. Ma Ben non ne voleva proprio sapere di quel posto. A breve, invece, li avrebbe visti.

«Eccoli!» urlò, dall’altra parte della strada, zia Lisa. Ben cercava di non guardare. C’era solo lei davanti alla porta di casa, che era rimasta aperta per accoglierli.

«Fatto un bel viaggio? Ehi, piccolo! Non dai un bel bacio a tua zia?»

  Ben odiava i convenevoli. Ma più di tutto non sopportava fingere di stare bene. Lo stomaco gli faceva male. Aspettava solo il momento, e non sapeva come avrebbe reagito. Le gambe gli cominciarono a tremare.

  «Dio come è cresciuto! Ogni volta che lo vedo è sempre una novità. Ma forza, entrate!»

La casa era sempre la stessa. Ben aveva ricominciato a sudare. Fu accompagnato da sua zia alla solita stanza, la stessa alla quale ripensava da ore.

«E quando torna?» chiese Laura.

«Spero il più tardi possibile!» rispose Lisa. «E con uno straccio di proposta seria. Beviamoci qualcosa, Laura. Ti racconto di questi giorni, mettiti comoda.»

  Benjamin tirò fuori il suo libro. Non se ne separava mai. Lasciò la maggior parte dei vestiti dentro il bagaglio, dopo che sua zia gli aveva detto di sistemarsi con tranquillità. Accarezzò la copertina del libro con tenerezza. Davanti a lui il letto rigido. Non ci pensare, si disse più volte.

  «Dici sul serio?» chiese Lisa. «Non legge più nessuno oggi giorno. Non so se sia un bene o un male, Laura. E lo vedo molto magro.»

«Non mangia niente.»

«Tesoro… È comprensibile, dopo quello che ha passato.»

«Io sono ingrassata.»

«Scusami», disse allora Lisa. «Avevo promesso di non parlarne.»

«E come si fa, Lisa. Gli manca terribilmente. E io… io non so cosa fare…»

  Con la voce tremante e lo sguardo cupo, Laura mescolava nervosamente lo zucchero nella tazza di caffè che sua sorella le aveva gentilmente offerto. Lisa le teneva la mano.

  Da fuori si udì il rumore dell’auto posteggiare davanti casa. «Ci siamo!» disse Lisa. Vide dalla finestra della cucina scendere suo marito. Laura accennò un sorriso. 

  «Guarda un po’ chi si è degnato di passare! Vieni qui, bellezza!»

«Ti avanza ancora di avere quel tono con me, Jack?» disse Laura.

«Che ho detto?»

«Smettila di fare lo stupido!» lo rimproverò sua moglie. «Ha ragione. Non ti vede da mesi, non te lo dimenticare. Hai trovato qualcosa?»

«È dura lì fuori, amore, ma ci sono annunci interessanti. Sono stato in gabbia per poco, non dovrebbero farsi problemi. Ho lavorato una vita io!» disse lui quasi orgogliosamente.

«Sei patetico!» rispose di tutto punto sua moglie.

  Da quando aveva sentito il rumore della porta richiudersi, Ben aveva ricominciato a tremare. Non riuscendo a stare in piedi, si era seduto sul letto. 

  «Diamine, dov’è il mio nipotino Benny? Lo hai nascosto in macchina, Laura?»

«Non chiamarlo così, Jackie! Sai che peggiori le cose!»

«Già, scusami» disse lui.

«Ben! Amore? Vieni qui in cucina, c’è lo zio!»

  Il sangue gli si gelò. Ben stringeva con forza il suo libro dalle pagine ingiallite, sapendo bene come nulla avrebbe potuto farlo sentire meglio. Il momento era arrivato. Coraggio, sei forte Ben.

  «Santo cielo! Ma ti danno da mangiare? Sei ossuto, figliolo!»

«La vuoi piantare, dannazione!» esclamò sua moglie Lisa. «È un ragazzino. E sta bene come sta. Alla zia piaci tanto, Ben.»

  Ci fu il consueto sguardo iniziale. Durò pochi istanti. Lo zio lo squadrò da capo a piedi, come faceva ogni volta che lo rivedeva. Ben vide, anche senza vederlo, dove si soffermarono gli occhi di ghiaccio di suo zio Jackie.

  «Già, proprio un bel birbone!» gli disse. E subito dopo si avvicinò al ragazzo. Riusciva a percepire la sua paura. Fece trascorrere alcuni istanti, prima di dargli un buffetto che sembrò il gesto più affettuoso, in quel momento. Non lo era, ovviamente, per Ben. Ebbe un accenno a ritrarsi, ma bisognava salvare le apparenze. 

«È l’ora di una birra. Chi beve con me?»

  La mattinata trascorse tutto sommato come Ben sperava, velocemente. Lo zio Jackie aveva bevuto sin dal suo rientro a casa. E non se ne era andato in cerca di un lavoro. Ben cercava di evitarlo, stando incollato a sua madre. Fu addirittura piacevole, a tratti, ascoltare lei e la zia parlare.

  Poco prima di pranzo Jackie uscì ancora, dicendo di avere delle questioni da sbrigare. Ciò andò a vantaggio del piccolo Ben. Pranzò con sua madre e sua zia, e subito dopo uscirono tutti insieme per un breve giro in città. Furono ore serene, sebbene Luverne non attirasse particolarmente l’immaginazione di un bambino che aveva da poco perso il padre.

  La sera Jackie tornò a casa ubriaco. Non era molesto, ma ubriaco lo era certamente. Rimproverato da sua moglie più volte, fece finta di non sentire e cercò di giustificarsi per i suoi presunti impegni. Continuava ad aprire lattine di birra. Lisa sbuffava. Sua sorella decise di trascorrere del tempo con suo figlio, in camera sua.

  Mentre la televisione in soggiorno emanava bruschi suoni di sirene e colpi di pistola, con lo zio Jackie ubriaco sprofondato nel divano, Ben giocava a carte con sua madre.

  «Ci divertiremo domani, Ben. Vedrai che andrà tutto bene.»

«Resta con me stanotte, mamma.»

«Amore!» disse lei, quasi seccata. «Te l’ho detto mille volte che ormai sei grande. Io dormo nella stanza accanto, lo sai bene. È come se fossi qui», gli disse accarezzandolo.

  La sofferenza cominciò dal momento in cui chiuse la porta. Era la prima sera. Non era mai successo la prima sera e, tutto sommato, era accaduto una volta sola di notte. Ma come essere sicuri, pensò il bambino. 

  Dormì pochissimo. Si svegliò in continuazione, per poi riprendere sonno. Immaginò di essere un delfino, per addormentare metà del suo corpo, lasciando desta l’altra metà. Doveva dormire con un occhio aperto, ma non era possibile.

  «Ben! Alzati da quel letto!» fu il richiamo decisivo. A nulla erano servite le parole precedenti. Suo figlio faticava ancora ad alzarsi. Entrò in cucina con gli occhi arrossati. Sua madre lo guardò solo un attimo, per poi tornare a occuparsi della colazione.

  Anche la seconda mattina Jack uscì. Ben, sua madre e sua zia andarono a fare le spese. Il centro commerciale era un luogo che il piccolo detestava. Lisa e Laura invece ne erano entusiaste. I negozi non erano cambiati, ma nemmeno le loro abitudini.

  Ben si chiedeva cosa sarebbe successo dopo. Credette di salvarsi, per un attimo. Ma il pomeriggio Lisa e Laura decisero di uscire di nuovo, promettendogli di rientrare presto. «A breve lo zio rientra, non ti preoccupare amore!» disse sua zia.

  Jack varcò la soglia poco prima che uscissero. Ben tentò allora di uscire con loro, ma lo sguardo di sua madre lo impietrì. Sarebbe stato con lo zio, e non sapeva per quanto tempo. 

  Subito se ne andò sulla veranda, come di consuetudine. Quell’ambiente gli dava il minimo di sicurezza necessario per poter quanto meno sperare che suo zio rinunciasse.

  All’inizio sembrò effettivamente che fosse così. Poi Jackie aprì la porta, e una lattina di birra subito dopo. «Benny!» fu tutto ciò che disse.

  Benjamin rimase impietrito. Cercava di portare lo sguardo il più lontano possibile, oltre il giardino. Mani e gambe tremavano, ma cercava di non farlo vedere.

«Caro il mio Benny!» disse ancora Jackie. «Non lo fai un sorriso al tuo zietto?» Tra un sorso di birra e l’altro, continuava a guardare il bambino in ogni punto del suo corpo. 

  «Non stai male, Benny! Mi piaci così magro. Non badare a quelle due. E non badare mai a quello che dicono le donne, in generale. Che ce l’hai la ragazza, Benny?»

  Benjamin continuava a rimanere impassibile. Tentava di farlo. Ad ogni domanda la tensione lo divorava, poiché si aspettava il peggio da quella successiva.

«Niente donna, eh? È un bene, credimi!» disse suo zio sorridendo. «Le donne ti consumano, non fidarti mai di loro. Della tua famiglia ti devi fidare, Benny.»

  Detto questo, gli si avvicinò ancora di più. Chiese di potersi sedere sulla panca insieme a lui. Ben non poteva rifiutare. Lo guardava incessantemente, ma ancora non si era deciso.

  «So che vuol dire. Anch’io ho perso mio padre da piccolo. Te l’ho già detto tante volte, ricordi? Lui non è mai stato tenero con me. Ricordi anche questo, no?» Mentre Ben cominciava a sudare, tentò in tutti i modi di pregare che la macchina arrivasse.

  «Non mi manca per niente. E non dovrebbe mancare neanche a te. Supera il momento, Benny. Fai vedere che sei un ometto. Proprio come piace allo zio…»

  In un attimo si chiese se Dio lo avesse ascoltato. Sembrò proprio così. Ci credeva ancora in Dio, il piccolo Benjamin. Nonostante suo padre, nonostante suo zio. Aveva le sembianze della monovolume che si affacciava alla veranda.

  Laura, dal sedile del passeggero, aveva notato qualcosa. Non le piacque l’atteggiamento di Jackie. Avvertì qualcosa, ma subito sua sorella la distolse da strani pensieri con i soliti commenti inconcludenti. Scesero poi dalla macchina, con le spese in mano.

  «Eccoci qua! Fatto presto, no?»

«Un lampo!» disse Jackie, storcendo la bocca che sapeva da birra.

«Che facevi qui fuori, amore?»

  Ben si avventò su sua madre. La abbracciò. Laura ebbe ancora da pensare per quel gesto. Tutto quello che Jackie fece, invece, mentre Laura lo guardava con espressione preoccupata, fu quello di alzare la birra e dire: «Alla salute!»

  La notte Ben continuò a pregare. Aveva funzionato il pomeriggio, poteva funzionare di nuovo. Stringeva il libro tra le mani, e ripensava a suo padre. Dio non aveva fatto nulla per lui, o almeno così aveva detto sua madre. Ma lui voleva crederci lo stesso, e così la notte trascorse. 

  Dormì senza fare incubi. Il mattino il suo libro gli stava ancora accanto. Ben sorrise, e si alzò senza farsi richiamare. Laura lo aspettava, sorridente. Si sedette al solito posto, con gli occhi riposati. Era bello vederlo così.

  «Come ci sentiamo oggi?» gli chiese prontamente sua zia Lisa.

«Bene», si limitò a rispondere lui.

«Io e la mamma pensavamo di uscire per un po’ stamattina, tu puoi riposarti qui se vuoi. Per questo pomeriggio abbiamo grandi progetti, ti conviene essere in forma.»

«In realtà», la interruppe Laura, «pensavo di passare del tempo con lui. Sai, ora che sta meglio….»

«Capisco, ma ho bisogno di te Laura. Sai, la sorpresa…»

«Sul serio Lisa, possiamo rimandare.»

«Ma Ben si divertirà! È da giorni che ne parliamo. Su, sono sicura che anche a lui va bene così, non è vero? Tua madre ed io ci assenteremo solo per un po'.»

  Laura avrebbe voluto seguire il suo istinto. Ripensava ancora alla veranda, a Jackie ubriaco che parlava con suo figlio, e davvero non se la sentiva. Poi pensava che, in fondo, si trattava di sua sorella. Voleva il bene del piccolo tanto quanto lei. Forse le avrebbe fatto davvero bene quella gita fuori porta, non aveva senso rimandare.

  Ben rimase deluso. Pensava che sua madre avesse capito. Era stato quello il motivo del suo benessere improvviso, dei suoi occhi riposati. Non appena le lasciò la mano, vedendola andare via, si ritrovò solo con gli stessi demoni di sempre. 

  In macchina Laura avvertiva una strana sensazione. Jackie era fuori, e solitamente rientrava per metà mattina. Non era stata in grado di far capire a sua sorella come non si fidasse più di lui. In cuor suo non ne conosceva il motivo, e non aveva la forza di parlarne con Lisa. 

  Non appena voltarono l’angolo della strada, lui comparve. Avanzò deciso verso casa, proprio nel momento in cui Ben si era ritrovato da solo. Aveva aspettato quel momento, e per lui non c’era tempo da perdere.

«Benny! Benny!» urlò appena entrato. «Ci sono qui io, piccolo!»

  Benjamin, in un angolo di camera sua, si sentì paralizzato dalla paura. Cercò di reagire, cercando ancora di restare aggrappato alla speranza che lo aveva accompagnato dal suo risveglio. Sapeva che se lo avesse trovato in camera sarebbe stata la fine. Aprì quindi la finestra, ed uscì verso il giardino. La richiuse dietro di sé, cercando di non far rumore.

  La voce di suo zio non si sentiva più. Fece pochi passi con lo sguardo rivolto dietro di sé, cercando di capire dove si trovasse. Ma fu poco prima di voltare l’angolo che dava all’ingresso esterno della veranda, che Jackie gli si presentò davanti. Lo stava aspettando.

  Il bambino non riusciva a muoversi. Suo zio lo guardava con un sorriso beffardo. Con uno sguardo gli fece capire di essere stato più furbo di lui.

  «Benny, Benny, Benny! Non si fa così con lo zio Jackie. Che male ti ho fatto, piccolo?»

Ben non rispose. Non sentiva più le gambe, e sudava freddo. «Non capisco questo tuo atteggiamento, Benny. Non ti secca che ti chiami Benny, vero?»

  Intanto, Laura continuava a guardare l’ora. «Che ti prende?» le chiese sua sorella. 

«È per Ben. Credo avrei fatto meglio a portarlo con noi.»

«Ti ho già detto che starà benissimo. Non ti preoccupare. Sennò che sorpresa sarebbe? È una cosa veloce, devi solo aiutarmi a scegliere quello giusto. Faremo in fretta, promesso!»

  «Tua madre mi odia per questo, lo sai?» chiese nel frattempo lo zio a suo nipote. «È perché anche tuo padre ti chiamava Benny. Ma tu te lo ricordi cosa ti ho detto ieri, non è vero? Sarai un uomo, Benny, quando te lo dimenticherai. E io ti posso aiutare. Vedrai Ben, un giorno mi ringrazierai per questo. Devi uscire dal guscio! È ora di diventare grande.»

  Detto questo, lo prese in braccio. Gli accarezzò i capelli. Non si sentiva alcun rumore se non il cinguettio dei passeri.

  «Andiamocene dentro, Benny. Mettiamoci comodi.» Detto questo, portò il bambino in braccio sino in camera sua, fermandosi per un attimo a raccogliere una lattina di birra che aveva lasciato sopra il tavolo della cucina.

  «Sei proprio un ometto, Benny. Ti ho già detto che mi piaci così magro? Togli questa maglietta. Fa un caldo infernale, piccolo. Guarda, lo faccio anch’io!»

  Stava accadendo, ancora una volta. In quegli istanti iniziali tornavano alla memoria tutti i particolari delle volte precedenti. Si riviveva puntualmente lo stesso dolore, la stessa agonia. Perché doveva accadere? 

  Ebbe i soliti conati, mentre lo zio, ormai a torso nudo, si era legato i lunghi capelli grigi a coda di cavallo. Con una mano prese la sua maglietta e gliela sfilò con forza, quasi a volerla strappare. Ben stava per svenire dalla paura. Incapace di urlare, incapace di fare qualsiasi cosa per il timore delle conseguenze, restava completamente passivo.

  «Che diavolo fai, Laura? Devo pagare, dannazione!»

Sentiva che era l’ora di tornare. Lisa gettò sul bancone i contanti necessari, e non ebbe nemmeno il tempo di caricare la merce in macchina, che sua sorella aveva già acceso il motore. Salì al volo, lasciando sui sedili posteriori tutto.

  «Mai avere paura! Mai avere…»

«Che ti prende?» lo interruppe suo zio. «Cominci a parlare proprio ora? Sai che non mi piace quando fai così! Devi diventare un uomo, per Dio!»

  Già. Dov’era Dio in quel momento, si chiese il piccolo. Solo pochi istanti passarono, prima che il suo acutissimo udito sentisse il necessario per reagire. Era il rumore delle ruote sulla strada che sterzavano ad altissima velocità, proprio come mamma faceva quando erano in ritardo per la scuola la mattina.

  «Lasciami!» urlò il piccolo Ben. Riuscì a divincolarsi, ma Jackie lo afferrò. Sentì anche lui l’inconsueto rumore di una macchina troppo veloce per la strada in cui si trovavano. Si affacciò alla finestra, tenendo stretto a sé il bambino.

  «Maledizione!» urlò subito dopo. Ben si divincolò di nuovo, e riuscì ad uscire dalla stanza. Era a torso nudo, mentre Jackie cercava di rimettersi la maglietta sporca, e di sistemare la cintura. 

«Ben! Ben!» chiamò sua madre. 

«Mamma!» rispose lui, con la gioia dipinta sul volto. Aprì la porta per farla entrare. Appariva visibilmente impaurito.

«Ben, amore! Perché sei conciato così? Chi ti ha fatto questi segni?»

  Urlò in preda all’isteria per tutta casa, cercandolo. Di lui non vi era più traccia. Sua sorella varcò la soglia senza aver visto nulla, ma la sua espressione diceva tutto.

«Mio Dio, Lisa! Tu sapevi! Tu lo sapevi!»

  Lisa mentì, dicendo di non sapere di cosa stesse parlando. Le fece presente come il suo fosse un delirio, ma per Laura nessun momento fu migliore di quello, dato che aveva finalmente capito che cosa ci fosse dietro l’angoscia costante di suo figlio.

  Fecero i bagagli in un attimo. Laura arrivò quasi al punto di aggredire sua sorella, che riparò in camera sua. Si sedette sul letto anche lei, portandosi le mani al volto.

  La strada del ritorno assunse un’atmosfera surreale. Laura piangeva a dirotto, a tratti fingendo di trattenere le lacrime, come se suo figlio non la vedesse. Lui, Ben, si sentiva finalmente in pace. Guardava fuori dal finestrino, immobile come sempre, ma con tanta forza dentro di sé.

  «Ti voglio bene, mamma!»

«Amore… la mamma ti ama! E non ti lascerà più solo!» singhiozzò Laura, che faticava ormai a tenere gli occhi aperti. Si fermò al primo semaforo, cercando di ricomporsi.

  Ben aveva nel frattempo ricominciato a saltare da un traliccio all’altro. Sul lato della strada, per un attimo, gli sembrò di rivederlo. Lo salutava con la mano, e pareva orgoglioso di lui.