L'incorreggibile Lupin - capitolo 2 - Franco Onnigrafo Magazine

L'incorreggibile Lupin - capitolo 2 - Franco

Ci disponiamo in circolo e facciamo girare tre canne. Il sole picchia forte attraverso i rami dei pini, la polvere sale dalla terra battuta. Anfibi con la suola spessa, jeans a zampa, magliette attillate, capelli lunghi o a spina, orecchini e piercing. Tutti uguali nella nostra provincialità. Sbuccino ci fa sapere che deve portare Marcostrano ad una parte , e chiede dove ci vediamo. Il momento sembra propizio per andare a passare qualche ora in saletta a giocare a carambola e biliardino. Sbuccino ne è entusiasta: «Allora faccio spesa e vi raggiungo lì» annuncia.

La spesa di Sbuccino consisteva in birra, patatine, biscotti ed altre robacce, che costui comprava dall'unico negozio alimentari del quartiere senza badare a spese. 40, 50, 60 mila lire, non aveva importanza, Sbuccino offriva sempre, ci teneva ad avere quella fama. I soldi venivano dal negozio di sali e tabacchi di proprietà di suo nonno, impresa familiare che dava lavoro a tutti i membri della famiglia. Il negozio aveva un bar, una slot machine e vendeva biglietti della lotteria e gratta e vinci, da cui derivava gran parte dei proventi. Il nostro amico ci raccontava che la gente spendeva l'ira di dio in Lotto e gratta e vinci, e che suo nonno era troppo rincoglionito per tenerne il conto. Rubava dalle 50 alle 100 mila lire quotidianamente, e finora nessuno se n'era lamentato.

Quei soldi venivano poi spesi in alcol, cibarie ed hashish, messi poi a disposizione della comunità, con la popolarità di Sbuccino che s'impennava. Peccato che tutti ci rendevamo conto che lo faceva per una cronica mancanza di personalità ed una profonda insicurezza. Non era particolarmente intelligente e tutti tendevano ad approfittarsi di lui. Una volta diede 80 mila lire a Zago per un movimento , ma Zago, al suo ritorno, gli disse che aveva trovato un posto di blocco lungo la strada e aveva dovuto buttare via il fumo. Sbuccino non vide né hashish né soldi in quell'occasione.

Aveva scoperto alcol e fumo recentemente, e con loro, l'ebbrezza della popolarità fra i ragazzi più grandi, quelli delinquenti , quelli fighi. Quel ragazzo timido che andava benino a scuola e aveva la testa sulle spalle, nel giro di un anno si era trasformato, si era arrabbiato, o divagliato , come si dice a Matera. Era stato bocciato quell'anno e avrebbe dovuto ripetere il terzo anno all'industriale, con somma preoccupazione di suo padre, che ora cercava di stargli addosso il più possibile. Alcol e fumo erano anche entrati nella mia vita, ma sono sempre riuscito a mantenere un sano equilibrio fra studio e droghe.

I miei amici pensavano stessi perdendo il mio tempo sui libri, lo sanno tutti che molti laureati sono disoccupati al giorno d'oggi. A me studiare non dispiaceva d'altro canto, e cercavo di tenere la mia propensione il più nascosta possibile con loro, non volevo che pensassero che fossi un secchione. Anche perché secchione non lo ero affatto, avrebbero dovuto vedere i miei compagni, e soprattutto compagne, al liceo.

Saliamo in sella ai motorini e partiamo alla volta della sala giochi di Franco, una bettola senza finestre e con luci al neon, con due tavoli da biliardo e quattro calci balilla, sempre piena di reietti di ogni età, perennemente mezzi ubriachi, che riempiono l'ambiente di fumo e tanfo di sigaretta. In effetti ti chiederesti com'è la vita di un uomo adulto che a mezzogiorno si trova in una squallida e puzzolente sala giochi a puntare soldi su una partita di biliardino. I video poker erano illegali a quei tempi, ma ciò non deterreva l'indole da scommettitore dei molti frequentatori della saletta, di conseguenza i soldi venivano puntati su partite di carambola e biliardino.

Salgo sullo Zip nero di Babbeo e ci dirigiamo verso la nostra meta, con la lieve leggerezza nella testa data dall'hashish. Io e Babbeo passavamo molto tempo insieme, eravamo un micro-gruppo nel gruppo, come se ne formano sempre e continuamente mutano.

Andava anche lui allo scientifico, aveva appena finito di frequentare il primo anno, e non lo aveva superato. Aveva già deciso di cambiare istituto il prossimo anno, qualcosa più alla sua portata. Un po' mi dispiaceva che il mio amico cambiasse scuola, un po' ne ero sollevato perché troppe volte mi aveva convinto a marinare la scuola, a fare filone, con lui. Per il resto Babbeo mi piaceva, ascoltavamo tantissima musica insieme e ci scambiavamo i CD: CCCP, Sex Pistols, Ramones, Punkreas, Porno Riviste, Tre Allegri Ragazzi Morti. Non c'è musica più adatta ai quindicenni.

Andavamo anche insieme alle feste dei nostri compagni al liceo, era un bel ragazzo che attirava ragazze quasi suo malgrado, e data la fauna solitamente presente a questi party le riserve di alcol erano nostra esclusiva. Di solito formavamo anche una coppia sufficientemente affiatata nel gioco del biliardino, lui in porta e io in attacco. Con nessun altro del quartiere mi trovavo così bene. La saletta era quasi vuota, la frescura che c'era al suo interno dava un deciso sollievo dall'afa della torrida estate materana. L'immancabile Avvocato stava giocando ad uno contro uno con portieri alzati contro Fia. Si diceva il morbo del gioco d'azzardo lo avesse preso ad un certo punto, ed aveva finito col perdere anche lo studio d'avvocato ereditato dal padre.

Nessuno sapeva cosa faceva oggi, a parte scommettere contro Fia nella saletta di Franco. Fia aveva l'anemia mediterranea, si diceva che sarebbe morto presto, ma intanto non dava segni di cedimento. Il suo soprannome gli deriva dall'ossessione per la figa, che non riesce a pronunciare correttamente a causa della malattia.

Entriamo tutti insieme e cominciamo a fare le feste a Franco, un nonno per noi, pieno di saggi consigli, racconti di epoche andate e gettoni gratis a tarda sera. I convenevoli vengono interrotti dalla risata stregonesca di Fia, che, vinta la partita, intima l'Avvocato di dargli la sua sacrosanta mille lire, in un tripudio di sghignazzamenti e prese in giro. A quel punto arriva anche Sbuccino con un paio di buste della spesa: cartoni di birra da 6, patatine e cioccolato; la situazione non potrebbe migliorare ulteriormente. «Poi non dite che non vi tratto come dei signori!» esclama. Ci dividiamo fra i tavoli della carambola e i biliardini, mentre l'Avvocato e Fia decidono su chi e quanto scommettere.

Una delle situazioni più affascinanti era quella di mettere insieme in squadra me, il più scarso giocatore nei paraggi, e Franco, una sorta di onnipotente del biliardino, in grado di seguire la palla con gli occhi a velocità disumane e fare le scintille quando tirava, per vedere ciò che ne usciva fuori. Abbiamo sempre vinto, non c'era maniera di battere Franco. Piccolo, una folta chioma di capelli argentati, occhi azzurri chiarissimi, modi gentili e voce pacata, strideva completamente con l'ambiente circostante ma allo stesso tempo vi si calava alla perfezione.

Nella sua storia di gioventù più famosa, Franco era in giro in autostop in Svizzera, quando una gentile signora lo raccolse. Questa signora lo invitò a casa sua per un pasto e magari una dormita, ed andò a finire che Franco ci passò una settimana in camera da letto di questa donna, ma la cosa più strana era che in casa c'era anche suo marito, al quale non dispiacevano affatto le attenzioni di questo giovane bell'italiano nei confronti della sua signora.

Passa così un'oretta, fra giochi, birre, sigarette e risate. Un'intensa partita a carambola era in corso fra Droghino e Sbuccino, due dei migliori giocatori del quartiere, l'Avvocato e Fia seguivano con attenzione l'evoluzioni delle palle colpite dalla stecca. Sbuccino era ad una svolta cruciale, aveva un tiro che gli avrebbe praticamente garantito la vittoria finale, ma se lo sbagliava avrebbe dato a Droghino la possibilità di punirlo mortalmente.

Sbuccino stava fissando la palla da almeno cinque minuti, con la stecca fra le mani e la sigaretta pendente dalle labbra, quando la porta della saletta si spalanca e una figura scura che non riusciamo inizialmente a distinguere in controluce si staglia sull'uscio. Poi notiamo tutti l'inequivocabile cappello: è il padre di Sbuccino. Quest'ultimo è visibilmente in preda al panico e non riesce a muoversi, tenta pateticamente e comicamente di sputare la sigaretta, che però gli si era incollata alle labbra. Suo padre gliela strappa via, lo prende per un braccio e lo trascina fuori.

Capiamo che non avremmo rivisto Sbuccino per almeno una settimana. Lupin sembra alquanto scosso dall'avvenimento, vuole andar via da quel posto, ha bisogno di calmarsi. Decidiamo di andare al locale che avevamo occupato abusivamente nei Sassi, i quartieri antichi della città.