Io sono leggenda Onnigrafo Magazine

Io sono leggenda

Io e mia sorella abbiamo visto la prima luce del giorno assieme. Siamo sempre state assieme e sempre lo saremo. Due, indivisibili. Ognuna con uno scopo.

Ricordo ancora quella prima luce, era tutto molto confuso. Ci volle molto tempo, che l’uomo in bianco dedicò a noi, per renderci degne del padrone a cui saremmo state vendute. L’uomo in bianco ha impiegato intere lune per prepararci, e non fu il solo a forgiarci. Poi, però, devo ammettere che facemmo un figurone. Io e la mia sorellina eravamo perfette, splendevamo vestite di madreperla.

L’uomo a cui fummo vendute aveva un’aria severa e solenne che dapprincipio mi preoccupò. Eppure, sapevo di andare bene, come sapevo che sarebbe andata più che bene anche mia sorella. Era più piccola di me, ma non per questo meno perfetta.

Mentre sorseggiavano il tè, i due uomini parlavano di noi come se non ci fossimo. Non mi piacque, ma poi, nel corso del tempo, capii. Mi abituai. E accettai.

Ricordo ancora come ci guardò dopo averci messo a nudo, esaminandoci da cima a fondo, girandoci e carezzandoci. Molti potrebbero pensare che sia stato umiliante, ma in realtà è stato… commovente. Ci toccava con risolutezza, ma dolcemente, con amore. Riverenza.

Washi la guardò per prima, spogliandola e rivestendola con cura, la pose sul suo grembo e da lì non si è più allontanata, fedele al suo compito di accompagnarlo sempre, ovunque, di non lasciarlo mai solo e di proteggerlo. Ricordo ancora come lei accarezzò l’obi che gli cingeva la vita, senza timore. Mi parve di cogliere un sorriso, ma anche oggi, a distanza di tanti anni, non saprei dire di chi fosse: se suo o del nostro signore.

Poi fu il mio turno e da quella prima volta non ebbi che una certezza: ero fatta per lui. Sarei stata l’estensione del suo braccio, avrei combattuto le sue battaglie, avrei bevuto per lui il sangue dei suoi nemici. Ma come ero ingenua, ancora!

Oh, sì, di sangue dei nemici ne bevvi molto sulla piana di Sekigahara, e anche bevvi il sangue di qualche amico. Ma imparai, soprattutto, la via del Bushido, seguii sempre, insieme con il mio signore, la ricerca del fiore perfetto e non fu una ricerca vana, quella, poiché anche a spenderci un’intera vita non sarebbe stata una vita spesa invano.

Perfezione.

Questa è l’arte suprema che il mio signore inseguiva e ricercava e che instillò anche in noi. Non perdemmo mai la sua fiducia, non mancammo mai la sua presa quando egli stendeva la mano verso di noi. Cantavamo allegre quando ci lavava e cantavamo lugubri canti di morte quando scendevamo in battaglia con lui.

Tutta una vita così, a inseguire la perfezione.

E oggi siamo qui, nel fango e nella pioggia, ad accompagnarlo nell’ultimo viaggio prima che la vecchiaia lo spenga definitivamente. Suo figlio ci guarda, mi guarda bramoso, si trattiene dallo strapparmi dalle mani del padre morente per non macchiare il proprio onore di fronte agli altri. So che sarò sua, ma non credo mi piacerà come mi è piaciuto appartenere a suo padre.

Vorrei andare incontro alla morte con lo stesso spirito di accoglimento che lui dimostra, ma non c’è morte per me, che non sia disonore. Di me non si racconterà di come morirò, ma di come sono vissuta, di come ho accompagnato i samurai sulla via del Bushido.

Perché io sono loro e loro mi incarnano.

Sono l’estensione del loro braccio, la perfezione che indossano.

Perché io sono la lama affilata della loro anima.

Io sono katana.

Io sono leggenda.