Cos’è il
cyberpunk? Questo articolo nasce partendo da questa domanda molto semplice: possiamo dire che è estetica, che è
sottocultura, che è sottogenere letterario; lo troviamo al cinema, nei videogiochi, nei libri e nelle serie
TV.
Prima di
iniziare, dobbiamo prendere in prestito la DeLorean e fare un viaggio nel tempo: torniamo negli anni ’80 e
guardiamo verso gli anni ‘70. Mi perdoneranno gli storici, farò un riassunto molto spinto del decennio per
evidenziare gli elementi che hanno contribuito a creare il terreno fertile per questo movimento.
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Anni ‘70. La gente va in giro con pantaloni a zampa d’elefante, camicie attillate, giacche in pelle e capelli cotonati: un bijoux di look, ma per fortuna non siamo qui per questo. Puntando la lente sugli USA, notiamo che lo slancio positivista della controcultura Hippy va scemando: il Summer of Love (1967) è un vago ricordo, il programma spaziale Apollo e la corsa allo spazio ormai fanno parte del passato (ca. 1972). Al contrario, lo scandalo Watergate (1973) e la fine della Guerra in Vietnam (1975), con tutte le sue conseguenze sociali e politiche, il tasso di criminalità che inizia a galoppare e la sottocultura delle droghe in continuo aumento, sono fattori molto più vividi. Sul piano mondiale, siamo ancora in piena Guerra Fredda: c’è la Crisi Petrolifera (1973) e quella energetica (1979). La tecnologia avanza con passi da gigante: si pensi all’Apple I e II (rispettivamente 1976 e 1977), Atari 2600 (1977), il Sony Walkman (1978) e la creazione dell’e-commerce (1979). Facendo una prefigurazione incredibile potremmo dire “high tech, low life” cioè “tecnologia alta, vita bassa” dove alta sta per sviluppata, e bassa si riferisce alla qualità. Questo è uno spaccato dello scenario politico e sociale, che invito chiaramente ad approfondire, come quello musicale: negli anni '70 spopola l’hard rock, il progressive rock, il punk rock e tutte le altre sfumature del rock fino ad arrivare al pop. Diversi dal rock, ma comunque molto sentiti, sono R&B e country.
Sul piano letterario vediamo un percorso parallelo: il filone più disinibito degli anni ‘60 lascia il posto a generi
letterari più composti. Non sono un letterato, per cui mi concentrerò sugli elementi necessari per la ricetta
cyberpunk: una manciata di Sci-Fi New Wave, un pizzico di Noir e due cucchiaini di Detective Fiction Hard-Boiled.
Mescolate bene e infornate per una decina di anni e avrete il vostro cyberpunk fatto in casa. Il termine è stato
inventato ben dopo le origini: infatti, fu solo Bruce Bethke a coniarlo, nel 1983, usandolo come titolo per un suo
racconto breve, e di lì a poco fu adottato come termine di riferimento per l’intero genere anche dai “big” come
Gibson e Sterling, il principale ideologo del movimento.
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Ora
che abbiamo definito lo sfondo storico-culturale possiamo analizzare e parlare delle pietre miliari del genere:
Blade
Runner
di R. Scott (1982) e Neuromancer
di W. Gibson (1984). Per alcune delle opere che affronteremo, racconterò la trama in una riga o poco più. Non è
follia, ammiro vivamente questi romanzi e film per cui credo meritino di essere approfonditi con i giusti tempi
e i giusti spazi, al di fuori di questo articolo. Prima di poter parlare di Scott e Gibson, occorre aprire una
bella parentesi sul precursore del genere e mi riferisco chiaramente a Philip K. Dick. Siamo nel 1961, Dick ha
appena finito di scrivere The
Man in the High Castle:
in questo romanzo l’autore si pone alcune domande sul concetto di empatia. Riflessioni che diventano argomento
cardine in Do
Androids Dream of Electric Sheep?
(1968), romanzo grazie al quale vengono gettate le basi del cyberpunk. Di cosa parla questo romanzo? Rick
Deckard, un cacciatore di taglie, viene incaricato di "ritirare" sei androidi del nuovo modello Nexus-6 che sono
recentemente fuggiti da Marte e ora sono sulla Terra. Perché parlare di Dick per introdurre Scott? Perché
Blade
Runner
pesca molto dal romanzo di Dick ma, per quanto la sinossi tra film e libro sia praticamente sovrapponibile, il
taglio è estremamente diverso: il film riflette molto sul concetto di umanità. Alla fine, cosa è umano e cosa
non lo è? È forse l’empatia uno degli elementi discriminanti?
A
mio personalissimo avviso, la grande importanza di Blade
Runner
non è da ricercare solo nella storia, decisamente più spigolosa rispetto al romanzo, ma anche e soprattutto
nell’estetica che da lì a poco sarebbe stata uno dei metri di paragone per il genere.
Mi spiego meglio: il film si apre con una scena molto iconica, che ricordo ancora come fosse ieri, un campo lunghissimo con le luci di una megalopoli che si estende fino all’orizzonte e sbuffi di fiamme. Ogni tanto vediamo questo panorama nel riflesso di un occhio, come se ci fosse qualcuno al di sopra di tutto questo: il primo minuto di film si conclude con uno zoom molto delicato su alcuni edifici piramidali gargantueschi. Con il proseguo della storia veniamo catapultati in vicoli freddi popolati dal ceto inferiore di questa mega città, illuminati dai neon bianchi delle insegne e dagli ologrammi delle pubblicità.
Piove.
Spesso.
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Per
rimanere in tema di estetica, occorre citare un altro film, altrettanto iconico: Tron
(1982).
Questa volta a
colpire non è la “città esterna”, ma il “cyberspazio”: Kevin Flynn, sviluppatore di videogiochi, viene
trasportato attraverso un laser dentro il mondo di un software e interagisce con i programmi nel suo tentativo
di fuga.
Realizzare il
cyberspazio è stato qualcosa di incredibile: sia dal punto di vista del concept che per quanto riguarda
l’effettiva realizzazione. Molto spesso, ancora oggi, quando ci troviamo a pensare a come potrebbe essere il
cyberspazio pensiamo a Tron o a qualche
opera che si è ispirata a questo film.
Come
Neuromancer.
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Due anni dopo
il film di Scott e quello di Lisberger (usciti a una settimana di distanza l’uno dall’altro) e dopo aver
lavorato su Johnny
Mnemonic (1982), altro
esempio proto-cyberpunk, William Gibson se ne esce con Neuromancer
(1984). È
quello che si potrebbe definire un parto difficile: Gibson riscrive la prima metà del libro circa una decina di
volte per paura di essere tacciato di plagio nei confronti di Blade
Runner. Il motivo è
tanto bello quanto semplice, col senno di poi: per quanto le due opere avessero origini diverse, il punto di
arrivo era molto simile, perché Scott e Gibson erano i rappresentanti di un genere che stava prendendo forma. Il
libro esce e in brevissimo tempo diventa una pietra miliare del genere, sia nel circuito underground che nel
circuito mainstream.
Neuromancer racconta la
storia di un hacker al quale viene negato l’accesso al cyberspazio in seguito ad un furto, ma conosce Molly, una
donna potenziata, che gli dà una seconda chance.
Potenziata? Sì,
perché avere lame retrattili nelle braccia non è cosa da tutti, nemmeno ai giorni nostri. Ironia della sorte,
Neuromancer vince il
premio Nebula, il premio
Hugo e il premio
Philip
K. Dick come miglior
romanzo in edizione economica (paperback).
Ora dobbiamo
tornare al presente.
Facciamo
un’ellisse temporale fino ai giorni nostri: vorrei citare alcune tra le numerosissime opere che potrebbero
essere considerate cyberpunk o che hanno diversi topoi del genere di cui parleremo poco sotto.
Dopo una
menzione d’onore per Westworld (Film, 1973)
tra i precursori del genere, possiamo proseguire con:
-
Akira (Manga, 1982)
-
Robocop (Film, 1987)
-
Max Headroom (Serie TV, 1987)
-
Cyberpunk (GdR, 1988)
-
Shadowrun (GdR - 1989)
-
Alita (Manga, 1990)
-
Ghost in the Shell (Manga, 1992)
-
Matrix (Film, 1999)
-
...
fino ad
arrivare a Blade Runner
2049 (Film, 2017),
Ghost
in the Shell (Film, 2017) e
Cyberpunk
2077 (Videogame,
2020).
Prima di
chiudere vorrei fare un altro elenco sparso, questa volta incentrato sui temi ricorrenti del genere e dei titoli
citati poco fa: da non vedere come una lista della spesa per catalogare un’opera come “cyberpunk” o “non
cyberpunk” ma più come una serie di spunti narrativi nel caso si voglia sperimentare il genere.
Nell’introduzione si parlava di “high tech, low life”, e ora è giunto il momento di spacchettare meglio questo
concetto.
“High tech” è
l’avanzamento tecnologico in senso lato: pannelli pubblicitari alti come palazzi; giganteschi ologrammi che
riempiono la città; macchine volanti o addirittura a guida autonoma; droidi, androidi, cyborg e umani con
protesi per migliorarne le potenzialità; un cyberspazio come nuovo selvaggio west, dove l’hacker col deck
migliore vince tutto (ma perde sé stesso); IA sempre più senzienti e simili agli umani a volte estremamente
spietate.
“Low life”,
perché questo spaccato di tecnologia non pare aiutare per nulla lo sviluppo umano che invece sembra soccombere
alla grande: agenzie e aziende senza la minima sensibilità ecologica o umana; i ricchi a capo delle mega
corporazioni hanno sempre più potere e talvolta persino più influenza degli Stati; gli ultimi sempre più ultimi,
relegati e ammassati nei quartieri bassi e ben lontani dagli attici di ultra-lusso; criminalità come unica via
di sopravvivenza; bio/eco-terrorismo come forma di ribellione; transumanesimo e perdita dell’identità; città al
pari di esseri senzienti, in grado di mangiarti, più o meno metaforicamente.
Il cyberpunk è
questo e molto altro perché qua abbiamo solo introdotto il genere, accennando qualche riferimento storico e
peculiare. Buona scoperta!