L'incorreggibile Lupin - capitolo 1 La pineta Onnigrafo Magazine

L'incorreggibile Lupin - capitolo 1 La pineta


Era l'estate del 2000 e avevo da poco compiuto 18 anni. Non ero ancora automunito e non volevo prendere subito la patente, sapevo che avrebbe cambiato le dinamiche all'interno del mio gruppetto di amici e persino all'interno del quartiere. La mia posizione nella gerarchia sociale che regolava la vita nel mio rione era alquanto scomoda: non ero abbastanza figo per frequentare, o trattare come si dice a Matera, il gruppo di quelli grandi, che avevano tutti dai 18 ai 21 anni. Balordi di periferia, con la terza media ed il posto fisso in fabbrica, incoscienti del fatto che il loro futuro era già scritto, ma in qualche modo consapevoli di ciò. Avevano tutti la ragazza, che cambiavano frequentemente; molti si potevano già permettere una macchina, che veniva immediatamente modificata; tutto il resto dei loro stipendi andava in droga ed alcool. Non avrei mai voluto essere come loro, ma invidiavo anche la loro apparente stabilità, il fatto di sapere già cosa fare della loro vita, e soprattutto le loro ragazze. Quindi frequentavo i ragazzi più piccoli, i criatori, quindicenni, sedicenni e diciassettenni con i quali mi trovavo molto più a mio agio, facevano molta meno paura e indiscutibilmente erano molto meglio delle loro controparti più anziane. Ci divertivamo insieme, bevevamo soprattutto, fumavamo un sacco di hashish terribile e marijuana peggiore, ci sedevamo l'uno accanto all'altro nelle fredde serate invernali materane, quando il vento soffia gelido ma devi comunque uscire e andare a vedere i tuoi amici e fumare un sacrosanto cannone dopo aver passato tutto il pomeriggio sui libri. Credevamo di essere amici per la vita, di poterci fidare l'uno dell'altro, pensavamo che saremmo invecchiati insieme.

Avevano tutti il motorino tranne me: i miei mi avevano promesso di pagarmi le lezioni di guida e lasciarmi la macchina il sabato sera se avessi rinunciato al motorino. Mi stava bene, non navigavamo nell'oro, e il quartiere in cui vivevamo ne era la prova. Sapevo che avere uno con la macchina in un gruppo cambia le cose, di parecchio: ci si può andare in giro in cinque e si può persino pensare di andare a Bari, o in discoteca. Per non parlare del fatto che avremmo potuto usare la mia autovettura per appartarci con le ragazze, se avessimo avuto ragazze. Questi erano i lati positivi. 

Il lato negativo consisteva nel fatto che la voce che io, Sacchetto, avevo una macchina si sarebbe immediatamente diffusa nel quartiere, e avrei dovuto dare passaggi in continuazione ai balordi peggiori, quelli che un lavoro non ce l'avevano e non lo volevano, piuttosto campavano di espedienti, piccoli furti e spaccio. Non era facile dire di no a questi tipi, ed erano anche una sorta di idoli per i miei giovani amici, gente che riesce a cavarsela anche senza dover lavorare, che ha sempre droga e donne, che vive mille avventure urbane. Quando qualcuno di questi ti chiede il cellulare, o il motorino, tu glielo dai, punto. Sarebbe stata la stessa cosa con la mia auto, anzi l’auto dei miei. Odiavo tutto ciò, perché io la macchina la volevo. Ad ogni modo, quell'estate volevo godermela: a differenza dei miei amici io andavo bene a scuola, ero l'unico che voleva andare all'universitá, stavo a poco a poco prendendo coscienza dei miei mezzi intellettuali, in un ambiente che i mezzi intellettuali li riempie di botte. Avevo appena concluso il quarto anno del liceo scientifico con molti 7 e 8 e pensavo di meritarmi un paio di mesi di baldoria. La patente poteva aspettare.

Avevamo appuntamento con Marcostrano alle 11 alla pinetina. Era la mattina del 2 luglio, il giorno della festa patronale, che si conclude con una folla imbizzarrita che prende d'assalto un carro di cartapesta, allo scopo di portare a casa il pezzo più pregiato, di solito un angelo o una madonna. Tutto ciò è condito da sette giorni di giostre e bancarelle, forestieri e turisti vari che affollano le vie, e soprattutto un po' di droga che finalmente circola nella nostra minuscola ed insignificante cittá. Avevamo grandi progetti per quel giorno, stavamo comprando una quantitá di fumo che non avevamo mai comprato prima, avevamo intenzione di goderci la festa fino all'ultimo. 

Arrivo verso le 11 e 5 nel boschetto di pini che molti chiamavano parco, ma del parco non aveva niente, non un sentiero, né delle panchine, né uno scivolo. Era solo un mucchietto di pini mediterranei lunghi e secchi, che però fungeva da riparo sufficiente se volevi fumartene una o dovevi fare un movimento, vale a dire un acquisto non proprio legale. Eravamo lì per fare un movimento con Marcostrano, uno dei balordi di cui sopra, avevamo tutti promesso di contribuire con una quota. Pippo era già , con la sua immancabile Merit fra le dita. Aveva trovato lavoro come fornaio, dopo aver finalmente convinto i suoi che la scuola non faceva per lui, e si poteva permettere qualche spesuccia. Ci salutiamo quando arrivano Droghino e Babbeo. Mancavano ora solo Sbuccino e Lupin. Droghino andava all'alberghiero, ma lavorava anche in un ristorante. Metteva 70 o 80 mila lire oggi, derivanti dai guadagni della sua attivitá di cameriere, chiaramente assunto in nero e sottopagato. Godeva di buona reputazione fra quelli più grandi, Droghino, sembrava uno che ci sapesse fare nella vita. Ci scrocchiamo sigarette a vicenda e parliamo un po' della finale dell'europeo incombente quella sera, ed in quel mentre sopraggiungono Marcostrano e Sbuccino sul Booster di quest'ultimo. Sbuccino passava parecchio tempo con Marcostrano ultimamente, era diventato il suo preferito. Sbuccino lo portava in giro con il motorino, gli faceva fare le chiamate col cellulare, lo finanziava nei suoi loschi affari. In cambio ne guadagnava in popolaritá, era ora la spalla di Marcostrano, o almeno lo sarebbe stato per qualche mese. Quest’ultimo si avvicina e ci chiede i soldi. Spero con tutto il cuore che non cominci a prendermi in giro come fa di solito, ma oggi sembra di buon umore. Mettiamo insieme il contante e prendiamo il pezzo, che ora dobbiamo dividere. Un paio di noi cominciano a rullare, l'atmosfera si sta rilassando quando Droghino conferma ancora una volta la sua reputazione di ragazzo scafato e dice: «Uagnuni, c'è una macchina sospetta». Un'Audi nera con i vetri affumicati sfreccia nella strada adiacente la pineta. Droghino continua: «È la seconda volta che passa.» Marcostrano ordina: «Nascondiamo il fumo, ora!» Tutti cominciano a sollevare pietre e a cercare buchi nei tronchi, io sono un po' indeciso sul da farsi, e nel trambusto compaiono zio Guida ed un giovane cadetto, sono agenti della Digos. Zio Guida saluta Marcostrano chiamandolo per nome di battesimo, gli chiede cosa stia facendo nel mezzo di una pineta con un mucchio di ragazzini. Il nostro pusher dice che sta solo decidendo cosa fare di bello in un giorno festivo con il suo gruppo di amichetti. Zio Guida gli intima di non fargli perdere tempo e di tirare fuori il fumo, altrimenti proseguirà con una perquisizione individuale. Io però, nella confusione generale precedente, non avevo fatto in tempo a nascondere il mio tocchetto, che ancora custodivo nelle tasche. Marcostrano fa lo gnorri, lui ha smesso con quella roba da parecchio, e lo invita a perquisire. Nel momento in cui Zio Guida si avvia deciso verso il nostro pusher, alle spalle dei due agenti a pochi metri di distanza compare Lupin, di cui ci eravamo tutti dimenticati. Lupin aveva preso del fumo per conto suo, 100 mila lire millantava. In una frazione di secondo, le nostre pupille si dilatano alla vista del nostro amico, non potevamo avvertirlo del pericolo, e Lupin, capendo immediatamente la situazione, si tuffa in un cespuglio alla sua destra. Zio Guida ed il cadetto si girano di scatto, insospettiti dal rumore e dal nostro sguardo, ma non vedono nessuno. Io approfitto del momento per buttare il fumo dietro di me, con un movimento fulmineo di cui non avrei mai pensato essere capace. Ci perquisiscono uno ad uno, e non trovano un bel niente di niente, con nostra somma soddisfazione. I due agenti della Digos sono costretti ad andarsene con le pive nel sacco. Scampato il pericolo, ci sentiamo euforici, ci diamo il cinque a vicenda e ci complimentiamo con Droghino, che ancora una volta aveva letto la situazione con largo anticipo. Lupin esce dal cespuglio in cui si era rintanato e si mette a rullare un cannone. Recupero il fumo con una facilitá inaspettata, ho il cuore che mi batte forte, non c'è niente che possa fermarmi oggi. 

Era ora di cominciare a bere e fumare.