Il gioco - terza parte Onnigrafo Magazine

Il gioco - terza parte

Francesco Lumine, Elisabetta de Michele, Filippo di Carlo


La telefonata

«Sei tu?» chiese Natascia, il cellulare incollato alla guancia.

«Arrivo in ritardo?» chiese Vero, all’altro capo del telefono.

«Mi aspettavo la tua chiamata.»

«So tutto.»

«Lo credi davvero?»

«Igor e Diego. Sono stati loro ad arruolarti, non è così?»

«Qualcuno ha fatto i compiti a casa…»

«Che cosa volete dimostrare?»

«Non si tratta di questo», disse Natascia. «Sei scossa per Peter, non è così?»

«Sono scossa perché avete mandato a puttane i nostri ideali!» esclamò Vero.

«Ideali?» chiese Natascia. «Di che ideali parli? Combatti una nazione che in realtà non capisci, e che ami. Non ci sono ideali nella tua libertà, solo tanta rabbia!»

«Non sai di che cazzo parli!»

«Lo vedi? È questa la rabbia di cui parlavo. Ma non ha senso, Veronica… Tutto quello che fate non ha senso. Vi sta tornando tutto contro. Lo Stato vincerà. O comunque la passerà liscia, come al solito. Mettere paura lo rafforza, sebbene tu non l’abbia ancora capito.»

Parlavano, ognuna delle due nel proprio angolo buio. Lo Stato, una task force improvvisata, e una banda di criminali vittima di tradimento. Tutti facevano parte dello stesso gioco, non molto diverso da quello che Radio Italia Libera aveva trasmesso nei tempi difficili della pandemia.

Le loro voci si scontravano, pur rispettandosi. Nessuna delle due sapeva che tutto stava per terminare. A pochi passi da Veronica Pardo, nascosta dall’occhio dell’Italia ancora per poco, le forze dell’ordine stavano per fare irruzione. Le stesse forze che conoscevano bene anche Natascia. E la conoscevano oltre il suo nome in codice. Sapevano tutto di lei, di Igor, di Diego. Sapevano tutto di Peter. Era solo questione di minuti. La breve stagione del dissenso stava per terminare. Nessun colpo pesante alla macchina dell’informazione, solo qualche ora di celebrità, per poi scomparire. Proprio mentre Vero arrivava a ricostruire la vicenda, individuando i colpevoli, la polizia era pronta a fare irruzione. Aspettavano solo la fine della telefonata. Il comandante Moretti aveva dato ordine di procedere. Le forze speciali erano pronte all’irruzione.

«Ti prenderanno, Vero. È finita.»

«È finita solo quando lo dico io.»

«Lo credi davvero?»

L’irruzione era pronta. Tre, due, uno…

Nessuno. Non trovarono nessuno.

Moretti rimase interdetto per qualche minuto; eppure era entrato in azione non appena Natascia gli aveva fatto i due squilli per avvisarlo della fine della telefonata. Non erano certamente potuti scappar via in quei pochi secondi, a meno che non ci fosse qualche passaggio segreto o sotterraneo.

Natascia era raggiante e tronfia: era certa che quella telefonata le sarebbe arrivata; se Peter non rispondeva ai suoi ultimi messaggi, infatti, non poteva esser certo per sua volontà, lo aveva proprio cotto a puntino, voleva quindi dire solo una cosa… Comunque la rivoluzionaria, così le piaceva chiamare Veronica, ce ne aveva messo di tempo per scoprire la tresca, o forse non aveva voluto aprire gli occhi così presto e svegliarsi dal suo sogno di innamorata. Lì nel covo della task force tutti quanti già pregustavano aria di trionfo. Tutti, eccetto uno… certo che era felice della riuscita della missione, ma qualcosa non lo lasciava tranquillo: un nome, il suo; era il prossimo della lista, per sua scelta. Voleva essere punito in modo da lasciare fuori i suoi compagni; la colpa se la sarebbe presa solo lui, tanto non gli rimaneva molto...il medico era stato chiaro, fin troppo. Igor credeva che questa sarebbe stata la giusta fine; non poteva certo sapere che Natascia si fosse spinta troppo in là, sia con le forze dell'ordine che con Peter Boero e Veronica Pardo; aveva sottovalutato una cosa quando aveva deciso di arruolare quella ragazza, tanto splendida quanto pericolosa: la sua megalomania. Troppa ambizione, troppa sicurezza in sé stessi, può esser fonte di guai. L’importanza personale è il nostro peggior nemico, e un boomerang, si sa, torna sempre indietro.

Nessun passaggio segreto o sotterraneo, nessun rivoluzionario nei paraggi… il capitano Moretti probabilmente si sarebbe pentito presto di aver perso del tempo prezioso, tempo che forse avrebbe evitato qualcosa di terribile...

Vero, mentre correva in testa ai suoi complici verso l'amata rivincita, ripensava a quanto accaduto poche ore prima; si rivedeva nei suoi scatti d'ira, che per una volta nella vita, eccezionalmente, avevano portato a qualcosa di buono: le microspie. I due computer di Peter, quelli che usavano Gioè e Roberto, quelli che lui portava sempre a casa la sera per tenere al sicuro i dati, le mosse e i dettagli tecnici delle loro operazioni pseudo-anarchiche, nell’infrangersi contro il muro avevano rivelato i dispositivi di tracciamento: i microchip, infatti, durante l'impatto erano schizzati fuori. Da lì a capire chi li avesse posizionati di nascosto là dentro ci volle davvero poco, e ancor meno a strappare di mano il cellulare al suo ex fidanzato. Quella persona la doveva pagare…

Peter era probabilmente il più scosso di tutti, mentre raccoglievano i pezzi frantumati dalla rabbia di Veronica; la storia dei microchip gli aveva aperto gli occhi. Si sentiva come un vecchio giocattolo usato. La sua sofferenza doveva servire a qualcosa, altrimenti tutto quello che stava passando non avrebbe avuto senso. Così, oltre al cellulare, consegnò anche altro nelle mani di Vero, probabilmente la sua unica e degna compagna di vita: due nomi, quelli che aveva sentito pronunciare più spesso, con riverenza, in brevi comunicazioni telefoniche da quella fiamma che ormai tutto aveva incenerito. E ora Peter correva, correva a più non posso, correva a cancellare i suoi errori. Come se bastasse un colpo di spugna…


Natascia si stava già adagiando sugli allori, vedeva i titoli in primo piano sui giornali e le notizie dell’ultima ora con i loro nomi, inneggiati a eroi, coloro che prima della polizia avevano disarmato un gruppo rivoluzionario ed evitato una strage. Avrebbero messo in discussione tutto il sistema poliziesco e militare italiano; loro più forti della polizia, dell’arma dei carabinieri e dei servizi segreti. Erano questi sogni megalomani ad aver impensierito Igor, quella che, per loro stessa volontà alla nascita, doveva essere una task force di supporto alle istituzioni, non poteva e non doveva sostituirsi a esse. Era sempre stato orgoglioso di averla arruolata, ma ora era conscio ormai che quello che pensava essere il suo miglior acquisto si stava tramutando nel veicolo della loro fine.

Il terreno le mancò sotto i piedi all’arrivo del primo messaggio del comandante Moretti: “Non c’è nessuno!”. Lo sguardo andò immediatamente ai suoi computer: impossibile, i rilevatori li localizzavano ancora tra quelle quattro mura.

Il secondo messaggio, sotto le spoglie di una foto, fu un pugno alla bocca dello stomaco: i microchip al centro di un tavolino con la dicitura “sorpresa”, le fecero capire che la rivoluzionaria non era poi tanto sprovveduta e, soprattutto, era più sveglia di quanto avesse immaginato.

Igor e Diego percepirono subito il suo disagio. Qualcosa era sfuggito ai loro piani e, soprattutto, a quelli di Natascia, che per la prima volta si ritrovò a non avere la situazione sotto controllo.

Il terzo messaggio le arrivò sul cellulare che usava con Peter e la fece sentire come nelle sabbie mobili: “Puffetta attenta a giocare con i tuoi puffi, potrai nasconderti in qualsiasi fungo della città tu voglia, io non sono Gargamella”.

Il messaggio celava un significato più profondo di quelle giocose parole: Peter l’aveva abbandonata. Quel “puffetta”, il nomignolo che le aveva attribuito Peter in contrapposizione a quella che era la sua figura statuaria, se utilizzato da Veronica, significava solo che aveva raccontato ogni cosa e che ora era tornato dalla sua alter ego.

Il suo sguardo era ancora più scuro, non aveva più nulla sotto controllo e rimaneva una sola cosa da fare, cambiare aria e bosco, dove l’ira di Vero non potesse scovarli. In un batter d’occhio aveva visto i titoli di giornale sparire sostituiti dalle classiche notizie sportive e nessun alloro a cingerle il capo.

Vero, Peter e il resto del U.P.L.I. avevano messo la distanza sufficiente dall’esterno del loro covo e si gustavano da lontano il loro sgomento, ed era bastato un semplice cenno d’intesa per riprendere la corsa e far partire la seconda parte del piano; ora non si sarebbero fermati davanti a nulla ed erano pronti a calare il colpo di grazia.


«Pronti per l’irruzione», disse Vero.

La banda, al completo, era pronta. Nessuno, all’interno, aveva compreso il pericolo a cui stavano per andare incontro. Igor udì dei rumori. Natascia stava ancora fissando lo schermo del computer, le mani sui capelli. Erano in otto, in quella stanza.

«Abbiamo compagnia», disse quindi Igor.

Gli occhi di Natascia non ci potevano credere. Li avevano trovati. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare dove fosse l’arma più vicina. La porta si spalancò, i primi colpi d’arma da fuoco centrarono il bersaglio. Igor cominciò a urlare, cercando di coordinare, per quanto possibile, la difesa.

Spari, colpi dappertutto. Uno a uno, vide i suoi compagni cadere. Ci volle qualche secondo per capire quanti. Sicuramente quattro, forse di più. Igor si riparò sotto una scrivania, con la pistola pronta: doveva capire quanti fossero ancora vivi.

«Natascia!» urlò una prima volta. «Natascia! Mi senti?»

Si alzò di scatto. Due colpi di pistola ben assestati. Vide un corpo cadere. Fu sfiorato da diverse pallottole. Solo per puro caso non risultò ferito. Non si era accorto di un altro uomo poco distante da lui, che cercò di colpire, senza riuscirci.

«Natascia!» urlò ancora. «Mi senti?»

«Sono qui!» urlò la voce della sua collega. Era ancora viva. Igor si assicurò che stesse bene e, soprattutto, che fosse armata. L’U.P.L.I. era in casa loro. Li avevano trovati. Natascia cercò di mettersi in contatto col capitano Moretti, ancora sorpreso dall’intervento a vuoto delle forze dell’ordine nel vecchio covo dei terroristi.

«Capitano! Capitano, siamo sotto attacco!»

Scambiarono giusto qualche battuta. Il rumore degli spari era incessante. Nascosta sotto una scrivania, proprio come Igor, poco più in là, Natascia cercava in tutti i modi di resistere. Il capitano Moretti si rese conto della situazione. Il covo della task force era stato scoperto: ecco spiegato il motivo dell’insuccesso dell’irruzione precedente. Ci si preparava a mandare rinforzi, sperando che i terroristi non fuggissero in tempo.

«Siamo alla resa dei conti, Natascia!» urlò una voce femminile.

Natascia non rispose. Cercò di capire quanti fossero. Si rese conto che, oltre a Veronica, erano presenti Peter e almeno altri due terroristi, nella stanza. Vide corpi a terra. Non sapeva distinguere chi fosse con lei, e chi fosse il nemico. Vero aveva preparato l’irruzione con più uomini del previsto, gente che nessuno aveva mai scoperto facesse parte dell’U.P.L.I.

«Dove sei?» urlava a squarciagola Veronica. Voleva avere Natascia, il suo nemico. faccia a faccia. Voleva essere lei a colpirla, a ucciderla, una volta per tutte. Si rese conto di come la preparazione di Igor e compagnia fosse di livello altissimo. Con poche armi a disposizione erano riusciti a difendersi, a limitare i danni, e ora lo scontro continuava, come una battaglia. Nessuno si scopriva, il fumo, dalle canne dei fucili, andava a occupare tutta la superficie della sala.

All’improvviso, una mano lanciò un oggetto verso di loro. Un urlo. Vide Igor e Natascia alzarsi dal loro piccolo rifugio, e scappare nella direzione opposta alla loro. Era una granata. Vero si mise in salvo, i suoi compagni, purtroppo per lei, no.

Non fece in tempo a parlare con Peter per l’ultima volta. Vide il suo corpo saltare in aria, e con lui anche Roberto e Gioè. Era rimasta sola.

«Maledetti!» urlò, correndo verso i suoi nemici, noncurante di essere totalmente scoperta. Sparava senza mirare, in tutte le direzioni. Vide una sagoma alzarsi nuovamente da terra. Riuscì a colpirla. Sentì un proiettile sfiorarle il braccio sinistro. Un graffio, solo un graffio, si disse, continuando a sparare senza criterio, comandata solo dall’istinto e dalla rabbia.

Natascia, nel frattempo, vide Igor cadere. Era stato colpito. Lo vedeva, incapace di parlare. Rivolgeva gli occhi morenti verso di lei, sputava sangue. È finita Natascia, diceva una voce dentro di lei. Ma lo sguardo di Igor sembrava dire ben altro. Lotta, Natascia. Fino in fondo. Addio.

Un grido. Un grido assordante che lì dentro, ormai, poteva sentire solo Veronica. Nessun altro sopravvissuto, a quanto sembrava. Era la resa dei conti. Veronica non aveva smesso di sparare, quasi a voler sfidare con lo sguardo la sua nemica, pronta ad alzarsi per affrontarla. Voleva guardarla negli occhi per un’ultima volta, prima di ucciderla.

«Sono qui!» urlò Natascia. «Vieni a prendermi!»

Con piacere, si disse Vero. Corse verso di lei, ricominciò a sparare, procedendo lentamente. La scrivania saltò per aria. Dietro, però, non c’era nessuno. Sentì una voce. C’era un telefono, proprio lì, dove Natascia si era riparata durante l’assalto.

«Natascia? Sei ancora in linea?»

Il capitano Moretti, pensò Vero. Natascia doveva aver chiamato i rinforzi. Vero ne ebbe la conferma quando vide un passaggio aperto a pochi passi di distanza.

«Maledetta!» urlò, rendendosi conto della fuga del nemico proprio sotto i suoi occhi. Era scappata in tempo da un passaggio che nessuno, né lei, né i suoi compagni morti, avevano scoperto. Per quanto avessero studiato il luogo, questo particolare era sfuggito.

«Arrivederci, capitano», disse Veronica, prima di porre fine al collegamento. Stavano arrivando, non c’era più tempo per cercare Natascia. Nessuno era rimasto vivo, se non loro due. Non ebbe il tempo di rendersene conto. Occorreva scappare, prima che arrivassero i rinforzi. Mise in atto il piano di fuga.

«Dove sono gli altri?» le chiesero, appena uscita.

«Parti, cazzo! Parti!» fu la risposta, urlata tra lacrime amare e un fumo nero che, uscendo dalle finestre dello stabile, si stava impadronendo dell’aria. Si potevano sentire le sirene, in lontananza.