Il gioco - seconda parte Onnigrafo Magazine

Il gioco - seconda parte

Francesco Lumine, Elisabetta de Michele, Filippo di Carlo


Non può essere Vero

«Non è lei», disse Clara, la mano destra a coprire gli occhi. «Non può essere lei!»

«Abbiamo motivo di credere che sia lei, signora», disse la voce del comandante Moretti all’altro capo del telefono.

«Non può essere la mia Vero!» esclamò ancora sua madre, piangendo. «Si era messa nei guai anni fa, questo sì, ma non sarebbe capace di qualcosa di simile!»

Il comandante e il secondo carabiniere si guardarono negli occhi. Le indagini avevano portato a poche risposte. Non erano gli anni di piombo, non più ormai. Di partiti armati, neanche l’ombra. Gente repressa, famiglie stanche, imprenditori allo stremo, questo certamente. Ma nessuno era realmente capace di fare del male, di immergersi nel terrorismo, quello vero, o meglio, quello di Veronica Pardo, del gruppo U.P.L.I., di cui tutti avrebbero preferito fare a meno.

«Quando è stata l’ultima volta che l’ha sentita per telefono?» chiese il secondo carabiniere.

«L’ho già detto al comandante», rispose la vedova Pardo, «è stato settimane fa. Mi disse che andava tutto bene, che era contenta, nonostante tutto. Il lavoro appena trovato l’aveva salvata. Prima del lockdown, intendo, prima di tutto… questo… questo che è successo…»

Alla televisione si vociferava delle nuove BR. Il comandante Moretti credeva nel coinvolgimento dell’U.P.L.I., appunto. Altri credevano si trattasse dei soliti neofascisti. Andavano sempre di moda, in occasioni del genere. La realtà era che le indagini procedevano senza una evidente pista da seguire, e questo aveva creato del malumore.

Moretti, dopo essersi congedato dalla gentile vedova Pardo, riprese a telefonare. Sentì i superiori, cercò di capire come muoversi. Roma era stata qualche ora sotto scacco di alcuni terroristi, ma la polizia non aveva trovato nessun ordigno, nessuna bomba e ora stava organizzando la reazione. Alle radio stavano preparando le nuove trasmissioni. Autorità, dall’alto, imponevano discorsi intrisi di patriottismo. Ai telegiornali si parlava d’altro, era stato solo un falso allarme, magari una bravata? Se anche fosse stato qualcosa di grosso, se ci fosse stata davvero l’intenzione di far saltare per aria mezza città, la gente andava tenuta buona, era già abbastanza sotto pressione, sotto stress. E infatti la gente parlava, ogni brigata aveva un piccolo punto di raccolta, di quelli non autorizzati, fatti di mascherine e di polizia che finge di non vedere chi ha bisogno di socialità, e la gente parlava, parlava di cose grandi, dello stato sotto assedio, la democrazia in pericolo, di dieci, no cento, o forse mille bombe trovate, ma non esplose. Ma di bombe vere nemmeno l’ombra.

Tutta politica, il solito bla bla bla, pensavano, nel loro nascondiglio, gli autori. Vero stava ancora pensando a cosa fosse andato storto. E il fatto che nessuno capisse lo scopo della loro organizzazione la infastidiva. Fanculo i giornali, fanculo il potere, si ripeteva in continuazione.

Non poteva sapere che qualcuno stava già arrivando da loro. Roberto e Gioè continuavano a sudare, bere caffè e scambiarsi occhiate interrogative. Nessuna idea su cosa fosse realmente successo.

Poco dopo, una voce destò Vero dai suoi pensieri. Non poteva essere. Le trasmissioni avevano ripreso la loro martellante propaganda, eludendo il vero motivo dell’attacco, ossia il potere mediatico, velato dalle solite inascoltabili fanfare patriottiche.

«È in linea, signora?»

«Sì», rispose sua madre. Era una radio privata. La registrazione dell’intervista sarebbe andata in onda su tutti i notiziari. C’era già un nome per le autorità, a quanto pareva.

«Quindi lei esclude che possa essere stata sua figlia?»

Lo escluse, naturalmente. Vero sentì una fitta al cuore. Intuì anche quali sarebbero state le prossime domande alla signora Pardo. Cosa vuole dire a sua figlia in ascolto, o qualcosa del genere. Dove stavano andando? A cosa li stava portando tutto questo? Peter guardava Vero e ammirava il suo viso dai lineamenti così perfetti e sensuali, nonostante fosse così teso e quello non fosse il momento più adatto. L’aria era davvero densa dentro quel nascondiglio. I Pulitori, così piaceva loro definirsi, si sentivano ora come topi braccati, senza nemmeno esser riusciti ad assaggiare un pezzo di formaggio: soltanto il buco era rimasto.

Anche Ita stava seguendo la trasmissione: allora quella era la madre della ragazza che aveva annunciato gli attentati, come si chiamava? Vero. Le sue parole le rimbombavano ancora nella testa: “vi pentirete di tutto il male che state seminando”... no, non era affatto così! Possibile che venisse così tanto travisato il loro intento? Quello che cercavano di seminare erano sorrisi e un sano patriottismo. Quello che Vero e la sua banda di criminali stavano invece seminando, a parer suo, erano panico e dolore, mentre per loro rappresentava giustizia. È proprio vero ciò che qualcuno disse: "così è se vi pare"... perché non farne una domanda per il quizzone?! A Ita tornò un accenno di sorriso, ma soltanto per un breve istante.



Igor era pronto ad agguantare la sua preda, come un felino affamato, quand’ecco lo squillo improvviso di un cellulare; Igor, mentre la guardia parlava concitato al telefono, arrestò il suo passo da carnefice: «Tenente… cosa?! Esco immediatamente. Ma che senso ha mettere un ordigno qua fuori?» disse iniziando a correre a più non posso verso l’uscita di quel tunnel buio, quasi fosse una gara di velocità contro la morte stessa.

Igor aspettò che anche l'eco dell’ultimo passo della guardia sparisse, poi finalmente riprese fiato e iniziò a ridere, di gusto, in silenzio; qualcuno dei suoi, di certo, era intervenuto a salvarlo da quella situazione. Ottima trovata quella di telefonare anonimamente per denunciare la presenza di una bomba proprio lì, magari lasciando all’imbocco del lungo sentiero di ghiaia che porta al tunnel uno zaino sospetto. Questo significava soltanto una cosa: il suo uomo era arrivato, probabilmente sarebbe entrato da un momento all’altro.

Eccolo che arriva, Diego, il suo uomo; aveva un passo incalzante e felpato; del resto era un ex ufficiale militare anche lui. Igor e Diego iniziarono subito a spostare l'attrezzatura, bisbigliando; l'uno raccontava di come avesse sostituito le sette bombe, quelle che stavano spostando, ovviamente neutralizzate, con degli ordigni giocattolo. Chissà la faccia della polizia quando se ne sarebbe accorta, ma soprattutto la faccia dei ragazzi della U.P.L.I., arrestati e puniti per aver giocato alla guerra. La cosa più buffa poi, per lui, erano gli acronimi coincidenti: Unione Pulizia e Liberazione dall'Ipocrisia e Unione Polizia Locale Italiana. Quella banda di ragazzacci ribelli lo aveva scelto apposta; un nome peggiore non avrebbero potuto trovarlo! Però doveva ammettere che erano stati in gamba: se non fossero intervenuti loro, ci sarebbero state molte esplosioni nella capitale. Diego invece raccontava di come il piano per incastrare i Pulitori fosse riuscito. Era stato facile mettere Natascia in mezzo alla love story tra Peter e Vero, i due boss, e farla scoppiare, così come era stato facile rendere rivali in bravura Roberto e Gioè, e rintracciare e decodificare poi le loro operazioni con il nuovissimo dispositivo rilevatore inserito da lei di nascosto nei computer. Non c'è niente di più facile, per disintegrare un elemento, del disgregarlo a poco a poco, mettendo un pezzo contro l’altro. Mentre Diego parlava erano ormai usciti dal tunnel, ex nascondiglio per le armi dell’area militare, con cautela, e stavano camminando ora verso il boschetto laterale in modo da uscire dalla zona adombrata dagli alberi. Igor era felice di sapere che il primo nome della lista stesse per essere depennato e passò al collega il file con su il nuovo nome. Sì, ora nessuno li avrebbe più fermati. Veronica Pardo stava per essere una questione chiusa. A chi sarebbe toccato ora? La vera pulizia era iniziata. Nessuno poteva alzare la testa; nessuno poteva giocare alla guerra; nessuno doveva uscire dal giro di spaccio di ipocrisia, dalla dipendenza dai media e dal potere. Non lo si voleva. Non era concesso. Non era concedibile.



Igor e Diego

Igor e Diego si erano conosciuti in servizio nelle forze speciali; durante l’ennesima incursione, metà della loro squadra era andata persa a causa della burocrazia che aveva gestito male delle missioni e in seguito allo scaricabarile per la competenza delle decisioni, nessuno era stato ritenuto responsabile.

Al rientro, seppelliti i loro fratelli in armi, decisero di congedarsi e formare insieme una task force indipendente dallo stato: avrebbero continuato a difendere la nazione, ma a modo loro.

Non era stato difficile arruolare altri soldati, molti erano stanchi del sistema: alcuni avevano rischiato la propria vita per assicurare alla giustizia ogni sorta di ricercato, per poi ritrovarlo a piede libero a causa di cavilli burocratici o legislativi e, insieme a loro, avevano detto basta.

In poco tempo avevano instaurato un’organizzazione così perfetta da fare invidia alle stesse forze dell’ordine. Le loro pensioni erano più che sufficienti per sopravvivere con tranquillità e avrebbero usato i proventi dei sequestri clandestini per autofinanziarsi.

Tra le prime a entrare a farne parte ci fu Natascia: capigliatura rosso fuoco e occhi color ghiaccio. Impossibile da scordare ma ancor più da notare tra la folla quando si mimetizzava.

Aveva sentito Veronica e Peter parlare per caso in un bar, entrambi un po’ brilli non avevano notato quella figura alle loro spalle; da quel giorno aveva cominciato a seguirli cambiando sempre fisionomia e riportando tutto ai fondatori, Igor e Diego. Abbordare Peter fu più facile del previsto: un vestitino nero aderente con le scollature e i tagli al punto giusto le avevano spianato la strada. Peter non fu in grado di resisterle e un’ora dopo giaceva nel suo letto addormentato da una dose di sonnifero che al risveglio non gli avrebbe fatto ricordare nulla della serata. Natascia in breve tempo aveva aperto i suoi portatili e il cellulare inserendo delle microspie e dei rilevatori di posizione: avrebbe giocato con lui come il gatto con il topo. Lo avrebbe seguito, graffiato e poi sarebbe sparita nuovamente, conscia che quei leggeri segni non sarebbero passati inosservati alla sua compagna; avrebbero iniziato da lì, dalla rottura della coppia principale. Veronica Pardo li aveva notati fin da subito, ma non era mai riuscita a coglierlo in flagrante e l’unica volta che era riuscita a vederla, Natascia le era guizzata tra le mani come un’anguilla: era bastato un passante per farla sparire dalla sua vista, senza rendersi conto che era già alle sue spalle e le posizioni si erano invertite. Furiosa era corsa al loro nascondiglio e con lei aveva portato anche la sua rivale; quel giorno sancì la chiusura del loro rapporto, ma il sentimento che provava tardò ad abbandonarla. Quando Peter raggiunse Vero, come risposta al suo abbraccio, ricevette due graffi sul collo con l’invito di aggiungerli a quelli della sua amante. Vero era intelligente, le era bastato poco a scoprire il tradimento di Peter. Ma non era stata sveglia a sufficienza per comprendere che non era stata tradita solo lei, ma anche lui.

Ora tutto il gruppo era in quel nascondiglio con le facce tese, nessuno sapeva dare risposte; tutti erano sospettosi e sospettati.

Vero aveva perso la cognizione di ogni cosa; la rabbia, la delusione e infine la voce della madre alla radio, le fecero desiderare di non esser lì. Aveva già ucciso in passato, ma in quel momento sentì di aver mietuto la vittima peggiore: la fiducia di sua madre. Non era il momento di piangersi addosso, doveva individuare il traditore e c’era una sola persona su cui avrebbe messo la mano sul fuoco: lei.

La rabbia prese il sopravvento, tutto ciò che le capitò tra le mani volò a metri da lei infrangendosi sui muri grezzi del nascondiglio: lampade, sedie e i computer di Peter.