Esperienze, Parte Seconda Onnigrafo Magazine

Esperienze, Parte Seconda

[da le "Storie dei Regni Unificati"]

Stava finendo ormai l'inverno del 319 quando ci muovemmo verso i confini. La legione Aquila IX aspettava i comandi fuori da Demgod, ultima città vera e propria, la più vicina a quelli che prima erano i confini est dei Regni Unificati. In realtà, anche oggi non è un paese di grosse dimensioni; tuttavia, resta il centro nevralgico di quello che è considerato il 'granaio dei Regni Unificati', quindi un punto di snodo fondamentale.

L'imperatore aveva spedito altre due legioni, la neonata Fuoco I e la Verità IV. La prima era nata dopo lo scioglimento di altre tre legioni, distrutte dopo l'ultima Guerra del Nord. Erano rimasti davvero poche centinaia di individui per esercito e, prima che la nuova campagna cominciasse, le alte sfere pensarono di accorparle e di farne nascere una nuova. La seconda, la legione Verità IV, al contrario, era ben collaudata: dall'ultima Guerra sopra citata ne erano usciti a testa alta e pluridecorati. Erano passati ormai ottant'anni da quei combattimenti e le perdite erano state rimpiazzate.

Non ho avuto grossi rapporti con le alte sfere delle altre legioni, se non a quelle cinque o sei riunioni generali tenutesi prima di entrare nella guerra vera e propria. In compenso, ho potuto redigere, per conto del comandante Probo, parecchie missive di comando e leggerne altrettante in risposta.

La geografia ci aiutava, perché da Demgod, dopo una serie di dolci colline, la strada si faceva larga e pianeggiante. Il terreno era pressoché boscoso e lacustre là dove non era stato bonificato per creare campi coltivabili; vicino a questi laghi nascevano gli ultimi piccoli villaggi di frontiera. Le popolazioni ci accolsero con sollievo e ci aiutarono come meglio poterono, anche se i tre tribuni avevano sempre detto ai capi villaggio che non avevamo bisogno di niente, se non di un posto per montare gli accampamenti provvisori per la notte. Tra queste piccole comunità era serpeggiata velocemente la paura dovuta ad un nuovo conquistatore, e la presenza dell'esercito imperiale rasserenava i cuori degli abitanti.

Per la prima volta in vita mia potei vedere anche Monte Ghiacciolago, o come lo chiamavano i Cavernicoli, “Zâram Nâra”; ci passammo vicino quindi non lo potei visitare, ma quella sommità ora distrutta era davvero un panorama spaventoso da ammirare. Ricordo vagamente la leggenda che vi aleggiava: una volta era una fiorente città dei Clan delle Montagne, specializzati in particolare nel fabbricare armi e armature, dato che il loro monte era un vulcano sopito e i nani avevano imparato a utilizzare il calore del magma per i loro scopi. Poi un nano, di cui ora non rammento il nome, scavò troppo in profondità e fece risvegliare il monte, che lo distrusse con centinaia di cavernicoli dentro. Quel dì cominciò il così detto Grande Esodo dei Nani, un fatto avvenuto ormai quattrocentocinquanta anni prima.

Cominciavano a volare le prime rondini e sbocciavano le primule quando, dopo quattro settimane di marcia, arrivammo in vista di Vìetil, uno dei grandi villaggi di cui non si avevano più notizie, a poche miglia dai confini.

Gli Scrutatori, e cioè le unità che fungevano da occhi per le legioni, avevano raccontato di un villaggio distrutto subito sotto le mura e intatto verso il centro, senza cadaveri. Non avevano trovato battaglia o invasori e i focolai delle case erano freddi da parecchio, quindi si deduceva che lo scontro fosse avvenuto almeno prima dell'inizio della marcia.

Le messi erano integre e i campi erano seminati per il raccolto primaverile, anzi, l'avena e il grano presentavano i primi ciuffi verdi e i campi erano preda degli uccelli. Anche il bestiame era stato lasciato a se stesso; molte vacche da latte erano morte di dolore perché nessuno le aveva munte da tempo ed erano state lasciate ad imputridire in mezzo agli altri capi.

«Semplicemente sconcertante», disse Probo quando arrivò sul posto e poté vedere la situazione con i propri occhi. Io ero vicino a lui. «Tra le macerie si sono infine trovati i corpi della guardia cittadina; una trentina di individui male armati. Ma sono gli unici ad essere periti? Che fine hanno fatto gli altri abitanti del villaggio?»

Rilievi magici da parte di Mano Nera e del suo secondo, Miglio de Telio, un ragazzotto di età indefinibile, come tutti i maghi, ma sempre pronto al sorriso e a spiegare quello che stava facendo con entusiasmo, un classico degli affiliati all'Accademia della Magia di Mordgard; dicevo, questi rilievi erano stranamente oscurati, come se qualcuno avesse usato la magia... per nascondere la magia. Era evidente, per i nostri maghi, che c'era un residuo di una qualche stregoneria, ma nessuno dei tanti maghi delle tre legioni riuscivano a identificarne la natura. Mano Nera era sempre più determinato ad andare a fondo di questa storia, giacché neanche lui poteva immaginarsi una cosa del genere: poteva rendere invisibile se stesso, certamente, ma non lasciare alcuna traccia e, anzi, nasconde indizi a maghi potenti come lui? «Eresia!»

Ci sistemammo per la notte sotto a quelle mura ormai demolite.

L'indomani riprendemmo la marcia di buon'ora, ansiosi di scoprire cosa stesse succedendo a quelle terre. Ma più andavamo avanti con la marcia, più l'orrore aumentava, insieme alle domande senza risposta. Incontrammo, infatti, in quattro giorni, quattro diversi villaggi completamente disabitati. L'ultimo, quello del quarto giorno, era stato lasciato intonso: non c'erano né mura né palafitte da demolire e non c'era nemmeno una guardia cittadina, tanto che non vi era più anima viva, solo qualche cane da pastore che girava attorno al proprio gregge con aria guardinga e spaventata.

Superammo i confini un giorno uggioso; tirava un vento fastidioso da est, e proprio questo portò quell'odore rancido e stantio. Il pomeriggio rientrarono gli Scrutatori, che riferirono di quello che sembrava un campo di concentramento. Le unità degli Scrutatori, oltre ad essere tutti individui dalla vista che rasenta quella di un rapace, sono solitamente addestrati alle basi della magia, soprattutto per anticipare trappole di natura magica o per riuscire a contare maghi e stregoni dello schieramento nemico. Il campo in questione era completamente oscurato ai loro occhi.

Quando infine arrivammo in vista della costruzione, potemmo vedere che era di dimensioni notevoli: doveva ospitare almeno qualche migliaio di persone quando completamente pieno. Secondo i riscontri degli Scrutatori, il campo di concentramento si sviluppava da nord a sud per almeno quattro miglia di lunghezza e due e mezzo di larghezza, anche tre là dove si allargava improvvisamente, forse per accogliere altri stabilimenti.

Sapevamo per certo che i possedimenti a ovest di Byest, quindi dove ci trovavamo noi, non solo erano campi coltivabili, ma in profondità era anche possibile trovare giacimenti auriferi e ferrosi, quindi immaginammo che da qualche parte, là dentro, vi fossero delle cave per l'estrazione di questi minerali. La teoria più accreditata al momento era che i byestiani avessero cominciato una campagna di reclutamento forzato ai danni degli abitanti dei confini con i Regni Unificati per lavorare nelle loro cave, in questi campi di concentramento.

Quanto ci sbagliavamo.

Provammo a parlamentare, presentandoci al di là della portata di un arco composito di fronte a quello che pensavamo fosse il portone principale d'ingresso, con le insegne delle tre legioni bene in vista e gli stendardi a mezz'asta. Eravamo noi storici, uno per legione, i tre tribuni e i sei capitani, accompagnati da due portabandiera per esercito. Rimanemmo in quella radura per due clessidre senza ricevere nessun comitato.

Tornati all'accampamento, i tribuni decisero subito di inviare un Infiltratore, sarebbe a dire le unità spia. Anche questi individui, oltre a essere dotati di un'agilità sopra il comune, sono addestrati alle basi della magia, forse un po' più avanzate rispetto a quelli degli Scrutatori. Nonostante questo, non tornò mai indietro.

Dovemmo prepararci quindi a un assalto e ad assediarli.

Si decise per un approccio diretto e preparammo il campo proprio di fronte al cancello d'entrata; la prateria era vasta, anche se i vari cespugli non lasciavano possibilità di carica alla cavalleria; il grosso del lavoro l'avrebbe dovuto fare la fanteria pesante e le macchine d'assedio.

Ci vollero almeno tre clessidre per sistemare tutto l'esercito. Come detto, noi della Aquila IX ci sistemammo di fronte all'entrata principale; a un miglio e mezzo a destra, ovvero a sud, vi erano la Fuoco I e, ad altrettanta distanza, a sinistra, ovvero a nord, la Verità IV. Alle rispettive estremità le altre due legioni avevano posto la cavalleria per coprire un'eventuale sortita degli assediati, o per incalzarli nel caso in cui si fossero dati a una fuga precipitosa. Le nostre squadriglie a cavallo, invece, rimasero dietro, come copertura. Sarebbero entrate solo quando tutto il resto dell'esercito avesse varcato le mura del campo, o per coprire un'eventuale ritirata.

I maghi di tutte e tre le legioni fremevano di interesse. Solitamente, i Regni Unificati usavano la magia per contrastare, e quindi annullare, i fattucchieri avversari. Ne risultava sempre una lotta pari a livello magico, in cui solo la forza bruta di uno degli eserciti avrebbe prevalso. Questa volta non si conoscevano le potenzialità del nemico, e quindi per molti maghi era un'opportunità di sperimentare le proprie capacità.

Avreste dovuto vedere gli occhi di questi stregoni. Ci sono alcuni guerrieri che vanno in stasi prima della battaglia, assaporando il momento in cui la propria arma entra nel corpo inerme dell'avversario. In realtà, non ve ne sono tanti di questo tipo. La maggior parte dell'esercito è costituito da persone preoccupate della propria incolumità e del fatto che non potranno rivedere i propri cari, qualora lo scontro volga al peggio.

Questo non vale per i maghi. Loro vogliono dar sfogo al loro potenziale distruttivo. E quella volta non fu diverso.

I maghi, come ho precedentemente detto, dovevano anticipare la magia avversaria, quindi avevano bisogno di un'ottima veduta del campo di battaglia. Questa volta la faccenda era diversa, perché da qualsiasi altura intorno al campo di concentramento, che chiamammo Campo I per questioni pratiche, l'interno era celato, come se fosse stato apposto un velo opaco a protezione di occhi indiscreti. Inoltre, neanche con scandagli magici era possibile scoprirne le attività. Quindi, i nostri esperti magici erano a un bivio: o giocare totalmente in attacco, ponendosi in prima linea con la fanteria pesante e gli incursori, o rimanere in alto e dare supporto all'esercito in difesa.

Mano Nera aveva una visione differente.

Nell'ultima riunione delle alte sfere dell'esercito, prese parola lui, il nostro Primo Mago, chiedendo ai suoi colleghi di porsi in difesa di tutto l'esercito con i propri secondi: «Solo io arrischierò la mia stessa vita in prima linea, aiutando gli Incursori laddove possibile e contrastando i nemici come meglio potrò»

Dopo una rapida discussione dei tribuni e dei capitani, vennero sentiti gli altri primi maghi. In totale l'esercito aveva quindici maghi, senza contare i mezzi stregoni e i maghi che non hanno portato a termine gli studi, che ora stavano in mezzo all'esercito: un Primo mago e il proprio secondo, un Secondo mago e il proprio secondo, e tre maghi Cerusici per legione. Questi ultimi non prendevano mai parte alle discussioni, perché dovevano sovrintendere ai propri ospedali da campo; sembra strano, ma anche solo durante la marcia diversi soldati si ammalano delle più disparate malattie dovute agli spostamenti, al diverso cibo a disposizione o all'acqua che si beve.

I secondi dei maghi possono prendere parte alle discussioni, ma senza prendere la parola.

Quindi, la decisione doveva restringersi ai sei maghi dell'esercito.

Mano Nera aveva un modo di porsi molto garbato, ma autoritario. La sua potenza si sentiva già al solo contatto d'occhi, e per chi non era avvezzo al suo modo di fare, la sua aurea incuteva una certa paura. D'altro canto, c'era un motivo se gli altri erano diventati Primi e Secondi maghi.

Per la Verità IV vi erano Fabius Secondo, di Mordgard e Demian Dot, di Lionan, ambedue reduci di almeno due guerre, come Mano Nera; erano dei luminari presso la Corporazione e Accademia dei Maghi dei Regni Unificati. Per la Fuoco I avevamo Thuatal, un elfo arruolato nell'esercito regio da ormai due secoli, ma che solo con la formazione di questa nuova legione aveva avuto modo (e voglia) di entrare negli alti ranghi; e Bret de Bret, di Bretville, una piccola cittadina nei possedimenti ovest dei Regni Unificati.

La discussione durò in tutto un sesto di clessidra, ma fu uno scontro tra menti superiori. Bret de Bret era indolente, a lui stava bene tutto: «Se vuole divertirsi con le vite degli invasori, che faccia pure», era la sua linea, tanto che non parlò più per il resto della sessione. Grandi opposizioni arrivarono dall'elfo e dall'altro mago della Aquila IX, Yeden di Fostdelmot, un Nord dagli occhi di ghiaccio e i capelli lunghi e castani sempre tenuti sciolti. Mentre quest'ultimo asseriva che in situazioni del genere, dove non si avevano notizie certe degli avversari, bisognava agire cautamente e in difesa, l'elfo non si fidava della magia di Mano Nera: «Tu sei un uomo malvagio», gli disse guardandolo negli occhi. Beh, in realtà il primo mago di Aquila IX era girato di tre quarti, le braccia conserte, e non aveva guardato in faccia nessuno dei suoi colleghi mentre esponevano i propri dubbi; Thuatal continuò: «E così malvagia è la tua magia, Mano Nera. Non ho idea di cosa tu abbia in mente, ma sappi che ti terrò d'occhio».

Gli altri maghi, dopo poche perplessità, diedero il loro consenso alla strategia. Al momento della votazione, infine, ci furono due contrari e quattro favorevoli.

Naturalmente io non presi parte allo scontro, ma insieme agli altri storici ci mettemmo in una collina leggermente più elevata prima dell'inizio. Accanto a noi c'erano i cavalli, nel caso fossimo dovuti fuggire o, al contrario, fossimo dovuti entrare velocemente all'interno delle mura per svolgere il nostro lavoro. Io naturalmente ero già sopra al mio destriero, non per paura, ma perché mi serviva una base d'appoggio per scrivere. Appuntai quindi velocemente le posizioni dei vari schieramenti con pochi schizzi di inchiostro su un piccolo foglio di pergamena che mi infilai nella bisaccia, e poi mi misi a guardare e a imprimermi nella memoria ogni singolo dettaglio dello scenario.

Durante tutta la marcia non avevo mancato di tenermi in allenamento: ero sì rimasta minuta, ma adesso ero parecchio più definita di quando lavoravo a Mordgard nel buio scantinato. I commilitoni mi avevano dato un'infarinata generale del combattimento corpo a corpo a mani nude e con la spada corta e pugnale. Questi due, infatti, mi aspettavano infoderati in una cintura sulla bisaccia del mio cavallo.

A poca distanza da noi, su un'altra collina aguzza, vi erano le alte sfere del nostro esercito, cioè i tre tribuni e i cinque dei sei capitani; uno di loro, Graziano Decimo Aureo, della Aquila IX, era con i suoi legionari. Con loro vi erano anche i messaggeri, sempre pronti a imprimersi nelle mente gli ordini dei capi militari e portarli nel più breve tempo possibile ai comandanti impegnati nello scontro venturo.

I Genieri, e cioè la squadra dedicata alle armi pesanti e di assedio, avevano finito di caricare i piccoli trabucchi con massi delle dimensioni di un cinghiale, alcuni anche immerse nella pece per renderli infiammabili. I più temerari li stavano anche armando con le Sorprese, ossia dei proiettili a effetto ritardato che si innescavano solo dopo l'atterraggio, esplodendo e spargendo al loro interno ferro, pietra, morte e distruzione. Erano ancora dei prototipi inventati da un Geniere di nome Serbatoio, un nano della Legione Aquila V, ormai in pensione. Queste Sorprese, anche se invenzione di un cavernicolo, facevano spesso cilecca. Nell'esercito, dovevano esserci circa una dozzina di trabucchi per legione.

Il fischio dei proiettili in volo sancì l'inizio dell'assedio.