Esperienze, Parte Tredicesima Onnigrafo Magazine

Esperienze, Parte Tredicesima

L'elfo abbassò il capo; le nervature nere sulla sua faccia impazzirono e sembrarono fuoriuscire in piccoli tentacoli dai suoi occhi. Intorno a lui ricominciarono a fluttuare volute di denso fumo che assomigliavano ai serpenti che avevamo visto prima e in un battito di ciglia si appiattirono al pavimento, schizzando verso i comignoli ai lati della stanza. Questi ultimi esplosero improvvisamente di fuoco nero, diffondendo nel luogo un calore insopportabile. Tutte le torce del colonnato in legno si accesero, di riflesso, delle stesse prorompenti fiamme. Dai caminetti, come se stessero attraversando un portale, cominciarono a uscire diversi archetipi di byestiani, pronti a dare battaglia; a questi dovemmo pensare noi, che pure non eravamo maestri di magia, così da dare tempo a Tuathal e a Mano Nera di sconfiggere il padrone di casa.

La lotta tra magie fu sicuramente epica e degna di essere raccontata dal miglior menestrello di tutti i Regni Unificati; purtroppo, o per fortuna, non potei assistervi con chiarezza, dato che ero piuttosto impegnata a mantenermi in vita e a difendere, quando potevo, chi mi guardava le spalle e i fianchi. I byestiani arrivavano di continuo dai loro portali sempre attivi e noi non potevamo avanzare a più di dieci passi dai caminetti, a causa della calura insostenibile che, al contrario, sembrava non avere effetto sui nostri avversari, forse protetti da qualche aura incantata lanciata proprio dal loro mago. Giusto quei pochi Genieri che erano con noi riuscirono a bloccare uno dei caminetti, facendolo esplodere, ma era un'azione pericolosa, e non potemmo fare lo stesso con le altri fornaci.

Non ho idea di quanto durò il tutto. So che a un certo punto, quando il sudore aveva totalmente impregnato i guanti di cuoio che portavo, tanto da non farmi più avere una presa salda sull'elsa della spada, e i muscoli delle braccia erano talmente indolenziti che ogni fendente veniva menato con il solo slancio della disperazione, tutti i nemici si fermarono di colpo e il volto, da feroce, divenne ebete, proprio come quello dei byestiani sopravvissuti all'attacco al Campo I.

Durante la lotta selvaggia, tutti potemmo vivere degli strani momenti di lucidità alternativa, come se la realtà che conoscevamo si stesse trasformando in qualcosa di ancor più tremendo e incomprensibile. In alcuni momenti era come se vedessi con più occhi che la stanza cambiava drasticamente dimensioni; lo stesso, però, non accadeva a noi che la abitavamo, rendendo la geometria impossibile. Era dura sopravvivere a tanto sconcerto e, allo stesso tempo, difendersi da zanne, lame, spuntoni, pugni e contrattaccare.

Quando infine tutto cessò, tra gli appartenenti alle tre legioni nella stanza, progressivamente aumentati con il procedere della lotta, c'era chi ancora tagliava gole e arti, preso dalla frenesia del guerriero, o chi semplicemente non riusciva a fidarsi dello stallo che si era venuto a creare. Mi concessi poche boccate d'aria a pieni polmoni prima di rinfoderare la spada e inoltrarmi in quella massa di corpi immobili. Anche i camini, ora, erano spenti. Pochi passi tra legionari feriti, morti e moribondi, e infine potei vedere il risultato della lotta tra l'elfo di Byest, Mano Nera e Tuathal. Il primo era attaccato al muro di pietra opposto all'entrata della sala. Era sorretto da un intrico di radici, edera spinata e liane. Da sotto questa mano arborea, potevo vedere sangue uscire copiosamente da quello che pensavo fosse un cadavere. Le uniche parti scoperte del corpo esanime erano la testa e il braccio destro: il volto era ancora contratto in una smorfia di odio, le labbra strette in un qualche incantesimo, così come la mano esposta.

Tuathal era appoggiato al colonnato, il viso rivolto a terra e un braccio ancora teso verso l'avversario, come a concentrarsi ancora nel mantenere la magia che lo teneva sigillato alla parete. Mano Nera, stoico, stava in piedi sopra ai resti del lungo tavolo a cui sedeva il signore del castello, entrambe le braccia protratte verso l'elfo nostro nemico, un flusso violaceo che partiva dalle sue mani e spariva a metà dal bersaglio.

Il nostro Primo Mago inveì a denti stretti e implorò chi gli stava vicino di andare a chiamare gli altri Grandi Maghi, così da poter sigillare corpo e mente dell'avversario, impedendogli di nuocere a chiunque. L'elfo era ancora vivo, ma questo stava devastando il corpo sia del nostro Mago che del Primo della Fuoco I; avevano bisogno del supporto di tutti i loro colleghi. Mantenere l'avversario in vita era una prerogativa assoluta, lo capivo bene anche da sola, sia dal punto di vista tattico, sia per liberare dalla prigionia alchemica tutti i byestiani tramutati in costrutti, ma anche per avere maggiori informazioni su questoMháistir di cui aveva parlato.

Gli aiuti non tardarono ad arrivare, primo fra tutti mastro Delon, il Mago Cerusico che avevo imparato a conoscere così bene. Questa volta era affiancato da un ragazzo, probabilmente uno degli assistenti, che portava un'enorme borsa che sistemò accanto al corpo svenuto del nostro avversario; quest'ultimo era stato adagiato sul pavimento, sempre guardato a vista dai Grandi Maghi che lo tenevano immobilizzato con la magia. Dalla valigia, Delon estrasse una serie di boccette chiuse con un tappo di sughero, che alla base del collo avevano delle etichette scritte in una grafia molto piccola; scelte quelle che servivano, prese un lungo ago, non più spesso di qualche capello, collegato a una lattina di vetro. Con la punta perforò i tappi delle soluzioni e, per mezzo del vuoto creato da uno stantuffo, aspirò i liquidi che contenevano, per poi iniettarli velocemente alla base del collo del nemico.

Pochi battiti di cuore, e i lineamenti di quest'ultimo persero volume e si rilassarono, come se si fosse addormentato. Ora che potevo vederne il volto, notavo che la mappatura nera era perennemente in movimento, come quella delle fiamme che aveva scatenato. Un movimento che si calmò fino quasi a scomparire dopo l'operazione del Cerusico. Così come scomparì la tremenda armatura che ricopriva il corpo esile, per quanto muscoloso, dell'elfo, lasciandolo di nuovo con il saio marrone scuro che aveva in precedenza.

Delon ci disse che l'effetto della soluzione che aveva inoculato nel corpo del nostro nemico non era mai stato provato sugli elfi, ma ne aveva utilizzato una quantità sufficiente a stendere un orso; in ogni caso, l'effetto poteva durare dalle poche ore a un giorno intero. Venne quindi fatta portare una lettiga e il corpo fu trasportato verso il centro di comando più vicino, sempre sorvegliato da almeno due maghi, un Grande Mago e uno da battaglia. L'eventuale risveglio forzato, disse Probo, sarebbe stato comunque preso in considerazione una volta svolti i dovuti accertamenti nella città.

A quell'affermazione, a molti si gelò il sangue nelle vene. Sapevamo che, una volta conquistata Kleyne, avremmo dovuto esplorarla palmo a palmo, come avevamo fatto in precedenza con i campi di concentramento, ed era proprio quella la fase dell'assedio che ci spaventava, ben più della lotta.

Erano già state date disposizioni perché i byestiani, ora incapaci di intendere, fossero portati nelle stanze più grandi del castello, senza che venisse loro fatto alcun male. Inoltre, vi erano già diverse squadre che stavano esplorando la città e la fortezza.

Per nostra fortuna, le segrete del castello non erano così tanto diverse dalle grotte del Campo I, solo parecchio più grandi. Sembravano svilupparsi non solo sotto la struttura della fortificazione, ma anche sotto il resto della città, collegando alcune case in superficie con dei budelli di terra coperti da muratura. Un'opera di ingegneria nanica, riconoscibile soprattutto dagli alti soffitti della galleria principale. La presenza dei Nani era piuttosto bislacca nel territorio di Byest, dato che non vi erano grandi montagne, ma solo pianure e qualche promontorio da cui si poteva scorgere la fonte dei fiumi che solcavano il panorama della regione. Kleyne, infatti, era costruita proprio su uno di questi bassipiani.

Il carcere che trovammo, la cui struttura era semplicemente imponente, denotava ancora la peculiarità delle opere naniche. Era diviso in diverse ali, in ognuna delle quali vi erano diversi settori con centinaia di celle di varie dimensioni. Il sadismo byestiano sembrava aver prediletto le celle più piccole, stipandovi dozzine di persone, sia umani che elfi, in pochi piedi di spazio senza luce né acqua corrente, nonostante nel resto del sotterraneo vi fosse un sistema fognario degno delle più grandi città dei Regni Unificati.

Vi erano alcuni angoli del sottosuolo avvolti dalla magia orrenda e blasfema che avevamo trovato nel Campo II e che dovemmo dapprima arginare, e poi distruggere. Lungo i muri correvano di nuovo quei disegni, seguiti da geroglifici incomprensibili; alcuni di questi erano anche presenti, in misura molto più elevata, sotto a certe lettighe, come fossero dei numeri o dei segni distintivi. Come in precedenza, la magia dei nostri Maghi e le torce accorsero in nostro aiuto perché, a differenza dei nostri commilitoni elfi o nani, noi umani non potevamo vedere al buio; questo, tuttavia, cominciava a farci pensare che, una volta avvenuta la trasmutazione, gli archetipi byestiani potessero quantomeno fronteggiare meglio la mancanza di luce.

Dalla superficie, intanto, ci giunse voce che, dei tre artefatti magici che dominavano le altezze dei masti sulle mura della città, l'unico rimasto in piedi persisteva ancora, difeso da una massa impenetrabile di byestiani. Questi si limitavano a mantenere la posizione, senza attaccare, ma difendendosi se erano loro ad essere attaccati. Probo, che era nel sottosuolo con me, insieme a poche centinaia di legionari, mandò un portaordini al centro di comando, con l'autorizzazione a fermare le operazioni di scandaglio della città e concentrarsi sulla lotta per l'ultima torre. Questo naturalmente non valeva per noi, dato che stavamo salvando quante più vite potevamo.

Arrivò l'alba, e ancora le segrete della città dovevano essere completamente scoperte, anche se ormai la maggior parte dei detenuti erano liberi. L'ultimo artefatto arcano era ancora al suo posto: il mastio più a nord era costruito in modo da potersi trincerare al suo interno, e l'accesso era uno solo. Frecce e magie di qualsivoglia entità sembravano non arrivare in cima alla torre, la quale pareva assorbirne l'energia. Avevo visto con i miei occhi Mano Nera tentare di lanciare una dellestelle nere prese in prestito dagli archetipi maghi del Campo I verso il manufatto in cima al mastio. La concentrazione per accumulare il potere arcano dentro di sé richiese più tempo che in precedenza, dato che il Grande Mago era ancora provato dalla lotta della notte prima. I tatuaggi magici brillavano debolmente quando, infine, l'incantesimo si concretizzò; questo non poteva essere mantenuto per molto, e infatti l'incantatore lo scagliò immediatamente. L'ammasso di potere arcano si muoveva lento ma inesorabile verso la sua destinazione; guizzi di fiamme nere partivano dal globo centrale, pronto a radere al suolo qualsiasi cosa avesse toccato.

Purtroppo, l'aspettativa si rivelò vana. La luce nero-violetta che il manufatto emanava aumentò d'intensità con l'avvicinarsi dellastella nera; il bagliore sembrò avvolgere tutto a circa una decina di piedi dall'impatto. Un paio di battiti di cuore, e tutto tornò alla normalità, con il mastio ancora al proprio posto e l'incantesimo del nostro Primo volatilizzato.

Mentre sulle mura accadeva questo, i Genieri lavoravano strenuamente per realizzare un'armatura contenitiva per il nostro prigioniero. Con loro lavorava anche Demian Dot, il Secondo della Fuoco I, esperto di incantamenti su oggetti, armi e armature. La base per la “armatura di forza”, come l'avevamo chiamata, era una corazza di un fante pesante, riadattata a colpi di maglio per stringerla sul corpo minuto dell'elfo. Ogni parte dell'armatura, in principio indipendente una dall'altra, era stata fusa, fino a farla diventare una dama di ferro, ma molto attillata e senza spuntoni all'interno. Per una maggiore precauzione, vennero messi anche dei guanti metallici irrigiditi con la magia, così che l'elfo non potesse muoverle, lanciando incantesimi nascosti.

Successivamente, Dot appose i glifi arcani sull'armatura e sui lucchetti che la chiudevano come un sarcofago, e vi venne adagiato dentro l'elfo ancora svenuto. Quando, ormai giunta l'ora del vespro, tutte le operazioni furono completate, la torre ancora troneggiava sul nostro esercito e il sottosuolo di Kleyne era stato battuto palmo a palmo; rimanevano da bonificare solo alcune costruzioni della città in superficie.

Naturalmente, dovevamo anche interrogare il prigioniero.

I capi esercito scelsero una costruzione larga e piatta a sud di Kleyne per l'evento; il prigioniero venne portato in mezzo alla stanza, in modo che tutti potessero vedere e sentire quel che aveva da dire, l'armatura sorretta da un piedistallo per lato in modo che fosse in verticale. Era un interrogatorio piuttosto affollato, dato che presenziarono non solo i Tribuni e i Capitani, ma anche i Grandi Maghi e due Cerusici con i rispettivi assistenti, pronti a intervenire come aveva fatto Mastro Delon al castello. Naturalmente eravamo presenti anche noi storici, gli unici seduti con carta, penna e calamaio, pronti a mettere a verbale qualsiasi cosa fosse uscita dalla bocca del prigioniero.

Quando i lineamenti dell'elfo cominciarono a dar segno di ripresa, anche la mappatura oscura delle vene ricominciò a muoversi, come una fiamma in tumulto; insieme a questa, anche i glifi apposti sull'armatura di forza si illuminarono di un debole chiarore arcano.

“Quante precauzioni per sentire ciò che nessuno di voi vuole davvero ascoltare” esordì egli, quando ancora non aveva neanche riaperto gli occhi.

C'era qualcosa di viscerale nella sua voce, lo ricordo come se la stessi ascoltando adesso; qualcosa che spingeva la mia anima a vibrare e il mio cuore ad accelerare i battiti. E stava a noi definire quella sensazione come positiva o negativa. La sua voce, il suo essere, il suo portamento erano quelli di un leader, lo si capiva, nonostante si trovasse in una situazione tutt'altro che favorevole.

“Dicci solo quello che vogliamo sapere,tréigtheoir” gli rispose Thuatal, “e avremo pietà per te”.

Le fiamme del volto crebbero di intensità e gli occhi si aprirono in una sguardo bianco sclerotico e folle. Sbottò, in tono via via crescente, “Siamonoi che concederemo pietà alle vostre povere menti. Siamonoi che freneremo la vostra abiezione. E semprenoieviteremo chevoi, con le vostre dispute infantili, roviniate ciò che noi stiamo costruendo!”

Quando finì di sbraitare l'ultima parola, i segni magici su tutta l'armatura di contenimento iniziarono a illuminarsi e a ronzare come centinaia di alveari impazziti, facendo urlare il malcapitato elfo di dolore e di frustrazione. I Cerusici subito si avvicinarono, pronti a intervenire, ma Mastro Dot fece un cenno, e questi si fermarono subito. Durò pochi battiti di cuore; la testa si accasciò di lato, là dove prima c'era la gorgiera che reggeva lo spallaccio, e da sotto l'armatura uscirono dei rivoli di fumo. Fu per certi versi straziante vedere quel povero essere, una volta potente come era davanti a me poche ore prima, ora ridotto all'impotenza dai suoi nemici.

“È del tutto inutile che ti dimeni tanto” disse Demian Dot, “ho messo tutto me stesso nella realizzazione di quei glifi. Potrebbero contenere tutta la magia elfica e quella umana all'interno di quell'armatura e rimandartela contro, se necessario”.

A quelle parole, l'elfo alzò l'angolo della bocca in un sorriso e riaprì gli occhi.

“A quanto pare qui tutti abbiamo dimenticato l'etichetta”, riprese il prigioniero, “ma cercherò di venirvi incontro. D'altronde, state andando verso una disfatta che avrà dell'epocale; è un gesto di cortesia che in qualche modo vi debbo”.

Tirò ben su la testa, cercando di darsi un tono; i glifi andavano spegnendosi pian piano in tutta l'armatura. “Mi chiamo Vervham, ero della famiglia Céadrais, prima che quelli di Teaghais Ard mi rinnegassero per omicidio, apostasia, pratiche magiche proibite, distruzione e profanazione digach rud atá naofa”.

“E te ne vanti?” sentii dire dietro di me, con un accento di sorpresa e disgusto nella voce, ma senza riuscire a localizzare chi aveva parlato.

Il prigioniero fece finta di non sentire e continuò. “Tuttavia, prima che mi scacciassero, mentre svolgevo i doveri disidhe che mi erano stati dati dai savi di Teaghais Ard, incontrai ilMháistir,che mi illuminò sulla sua visione delle cose, del passato, del presente e del futuro. Soprattutto di quest'ultimo. Mentre molti di noi erano quiescenti, egli pensò di agire. Ed eccoci qui”

“Evidentemente qualcosa è andato storto, se ti trovi in quella stretta prigione invece che in un castello” replicò Mano Nera, quando si accorse che Vervham non avrebbe proseguito.

Questi si concesse un ghigno di scherno, e disse: “Pensavo che questo sarebbe stato un interrogatorio, non uno scambio di battute sterili. Anche se per 'interrogatorio' si intende far scucire dalla bocca di un condannato una confessione di un reato. Ebbene, chiedete! Se nelle mie possibilità, risponderò. Ma vi avverto: non sono sicuro che quel che sentirete allieterà il vostro udito”.

Ci furono brevi battiti di cuore di silenzio. Immaginavo bene che c'erano davvero troppe cose da chiedere, ma che al contempo l'arrendevolezza del soggetto che avevamo davanti era inaspettata, fuori luogo e sospetta. I Capi Esercito cominciarono a bisbigliare, e quando infine il Tribuno della Fortuna IV stava per prendere la parola, una voce lo interruppe sul nascere.

“Che tipo di magia state usando?” chiese Mano Nera senza aspettare l'autorizzazione di nessuno, “E perché tramutate le vostre cavie in quei...mostri?”.

Lo sguardo dell'elfo si fissò gelido sulla persona del nostro Primo Mago. “Cavie? Pensate, mastro Mago, che i nostri siano meri esperimenti fatti su animali per testare qualcosa e avere di volta in volta risultati diversi o uguali?” Si concesse un ghigno sinistro, “Ancora non avete compreso appieno le finalità del nostro operato. Noi siamo qua per evitare che vi strozziate con le vostre stesse mani”.

E qui accadde l'impensabile.

La terra cominciò a tremare. Dentro la stanza non ci fu panico, ma noi Storici. che eravamo seduti sui nostri banchi, ci fiondammo sotto di essi per trovare riparo. Da lì, vidi il pavimento di pietra cominciare a creparsi e dal sotto suolo spuntarono dei rivoli di fumo grigio e denso che sapeva di zolfo e putrefazione. Spostai quindi di nuovo l'attenzione sul sarcofago in mezzo alla stanza. I glifi illuminavano a giorno, tanto erano abbaglianti, ma da bianchi che erano stavano pian piano diventando rossi. Quando anche i segni arcani si distorsero fino a diventare come alcuni geroglifici che avevo visto sia nel Campo II che nel sottosuolo della città, questi vomitarono fiumi di sangue che riempì le crepe del pavimento circostante.

“E per rispondere alla tua domanda, Mago” si sentì sopra ogni rumore, dacché la voce era di nuovo nelle nostre teste, “questa è la stessa magia che voi umani usate, ma più approfondita, più antica. Forse alcuni di voi la considerano malvagia, ma è un male necessario, così come le morti di questa guerra e come ciò che voi avete ritenuto degli esperimenti!”.

Gli effluvi, che avevano ormai riempito la stanza, cambiarono colore, diventando della stessa tonalità rossa del liquido che usciva dai nuovi simboli maledetti dell'armatura. Quindi, alcuni di queste esalazioni si concentrarono all'interno della stessa e la distrussero, senza però ferire in alcun modo chi vi era dentro.

Fu allora chevenni presa dal panico. Il cambio di ruoli era avvenuto così repentinamente da avere del surreale, come tutta la situazione intorno a me. Ogni tanto dovevo spostare lo sguardo dall'elfo, nostro nemico ora libero, perché cominciavano a cadere pezzi di intonaco e calcinacci del tetto tutt'attorno a me; questo mi permise di vedere anche che i nostri Grandi Maghi stavano tentando di contrastare Vervham. Mano Nera aveva tutti i tatuaggi brillanti di potere, attorno a lui una sfera semi-luminescente a proteggerlo e le mani attaccate al terreno come a cercare di tenerlo unito. Tuathal e de Bret avevano ingaggiato un aspro combattimento in difesa delle teste dell'esercito contro i fiotti di vapore che si erano ora tramutati in dei serpenti vermigli, simili a quelli comparsi durante l'assalto dentro al castello, alcuni spessi come il braccio di un uomo e lunghi almeno il doppio, le code che si perdevano tra le crepe del pavimento. Anche gli altri Grandi Maghi erano alle prese con le serpi o con la costruzione che stava cedendo e, nel contempo, difendevano noi Storici.

Essere in balia di eventi arcani, osservarli sviluppare tutta la loro potenza distruttiva, senza poterla comprendere o contrastare, è una delle sensazioni peggiori che abbia mai potuto provare: sei praticamente alla mercé degli altri, individui in grado di modellare la realtà, di distorcerla a loro piacimento. E tu sei lì che speri di non essere portata via da un vento magico, mangiata da un serpente fatto di sangue e zolfo, o schiacciata da un masso caduto per un terremoto innaturale.

La voce del rinnegato ricominciò a diffondersi nelle pareti del cervello:

“Questo è solo un assaggio di quello che lanostra magia può fare, se vincolata dallavostra, mastro Mago! Sarebbe bello chiudere qui la questione, facendovi sprofondare tutti nelle segrete insieme all'intera città, ma ilMháistirvi vuole a Byest, e io non sono nessuno per andar contro i voleri di colui che mi ha illuminato su tutto. Che i vostri ultimi giorni non siano all'insegna della disperazione come lo è stata tutta la vostra vita, miei amici Imperiali. La verità, l'unica e indiscussa verità, è a poche miglia da voi!”.