La bambola felice Onnigrafo Magazine

La bambola felice

 Nel tardo pomeriggio del trentun dicembre millenovecentonovantuno, salendo con proverbiale calma i due gradoni del bus 91, tra sguardi irridenti e increduli di alcuni e patetici di altri, Mattia si sforza di esibire un sorriso per tutti, mentre stringe tra le braccia una bambola ottocentesca alta quasi mezzo metro.

   Dalla gonna un po’ trasandata in tulle e pizzo, le si intravede uscire soltanto il piede destro e, sul viso lucido segnato da tempo e trascuratezza nonostante le guance impomatate, si notano dondolare dei brillanti occhi azzurri di vetro.

   Durante la breve sosta del bus, mentre un soffio di vento freddo spinge al suo interno alcune foglie rinsecchite, sale anche una signora sulla quarantina. Tiene per mano una bimba con riccioli color carota e tantissime lentiggini. Avrà sei anni e un sorriso solare. 

   L’elegante signora, anche lei con lunghi e curati boccoli rossicci, prende posto accanto al finestrino e fa sedere la bambina alla propria destra.

   La bimba ha una Barbie in mano e appoggia la testa contro la spalla della mamma; osserva curiosa quell’uomo con l’enorme bambola seduta sulle gambe e lo imita, esclamando: «Com’è grande la tua bambola, signore!»

   «Ofelia!» rimprovera la madre con uno sguardo più sorpreso che severo. 

   Mattia le fa un cenno tranquillizzandola con un sorriso e, rivolgendosi alla bimba, dice: «Complimenti, Ofelia è proprio un bellissimo nome e sì, è vero, la mia bambola è proprio grande; ma la tua è molto più bella».

   La bambina accarezza i capelli della sua Barbie: «Sì! La mia me l’ha appena regalata la mia mamma per Natale e ha tutte e due le gambe. E poi lo sai che la mia parla? La tua parla anche lei?»

   La madre sorride, scuote leggermente la testa e la guarda con affetto accarezzandole i capelli.

   «Certo che parla! — dice sottovoce Mattia, che scala un posto per avvicinarsi alla bambina. — Il problema è la sua grande timidezza. Non se la sente di parlare in pubblico.»

   La bambina lo ascolta, meravigliata.

   «Ma... aspetta un attimo! Forse ora mi vuole dire qualcosa» sussurra Mattia avvicinando l’orecchio alla bocca della bambola, mentre mostra un’espressione goffamente stupita. 

   Con la simpatica gestualità di un consumato attore, ripete alla bambina le parole del manichino: «Possiedo membra di plastica e occhi di lucido vetro; di plastica esprimo persino pensieri ed emozioni. Così, inanimata e fredda, esisto nel mondo.»

   «Ma allora la tua bambola non è felice» afferma Ofelia stringendo la sua Barbie.

   «Aspetta! — la rassicura Mattia — Mi vuole dire ancora qualcosa» e, mentre annuisce con l’orecchio appoggiato alla bocca del manichino, la bimba lo osserva sempre più incuriosita.

   «Cosa ti ha detto?»

   «Dice che, pur avendo vissuto finora in una vecchia cantina e senza un piedino, non ha preoccupazioni. È vero, forse non ha mai avuto qualcuno che le abbia voluto bene finora ma, da domani, col nuovo anno, le darò un piede nuovo e la porterò da una bambina bella come te, che le vorrà bene.» 

   Ofelia guarda sospettosa Mattia, il bus 91 rallenta fino a fermarsi: «Signore, io però non ho capito. La tua bambola è felice o no?»

   «Amore - richiama la madre - dobbiamo scendere qui.» Alzandosi prende per mano la bambina e saluta Mattia con un sorriso, ricambiato garbatamente con un cenno del capo. 

   Un rumore secco e meccanico segna l'apertura delle porte. Il vento ingoiato in precedenza si libera in una folata vorticosa; quasi fosse un tornado in miniatura avvolge e spinge fuori tutto: gli odori, i chiacchiericci sommessi, le foglie rinsecchite e la mamma con la bambina. Accompagnata da una forza invisibile, però, questa non si arrende e, ostinatamente voltata all'indietro, cerca di non perdere di vista quello strano signore e la sua grande bambola. 

   Mentre si allontanano passeggiando sul marciapiede, Mattia le segue con lo sguardo, attraverso il finestrone del bus, notando che dopo alcuni passi la bambina si volta di nuovo verso lui e blocca la madre, che la tiene per mano. 

   «È FE-LI-CE?» mima con un labiale che le crea un’espressione buffa e dolce allo stesso tempo, sperando di farsi capire.

   Mentre lo osserva speranzosa di una risposta, il bus riprende la marcia, allontanandosi lentamente. Mattia, appoggiando la mano sul vetro per salutarla, annuisce, sorridendo...

   La tarda mattina del primo gennaio millenovecentonovantadue, Mattia posa la grande bambola rimessa a nuovo su una piccola lapide bianca e, osservando un punto imprecisato tra le nuvole sospinte dal vento, annuisce. Ora è felice.