Coleman Pisckins Onnigrafo Magazine

Coleman Pisckins

illustrazione di Paola Andreatta
link al libro: Isaihas di Giovanni Poli

Coleman Pisckins era una persona tranquilla. Aveva speso tutta la sua esistenza nella cura della piccola parrocchia di Banff, nella Scozia settentrionale. I suoi parrocchiani erano persone semplici, per lo più pescatori, che passavano molto del loro tempo in mare, inseguendo gli ultimi banchi di merluzzo al largo delle coste islandesi. La vita era difficile per tutti. Il pescato, un tempo così generoso, non era più una fonte di sussistenza sicura e in molti si erano già trasferiti altrove, in cerca di una fortuna migliore. Coleman Pisckins era rimasto. Il suo ruolo di pastore, si era detto, sarebbe stato ancora più importante in tempi così difficili e poi in che altro luogo sarebbe mai potuto andare? Era una persona ormai anziana, troppo legata alla tranquillità della sua casa, alle cure della signora Stephenson, la sua governante, al vento di Banff, al suo mare, così bello in inverno.

Erano questi i pensieri che si affollavano nella mente di Coleman Pisckins quella mattina del 10 febbraio 1906. Alzatosi di buon’ora, si era vestito con i pesanti abiti invernali, aveva fatto colazione, sfogliato il giornale locale e si stava preparando ad accompagnare Salud, il suo cane, nella solita passeggiata mattutina. In genere il grosso terranova, ormai vecchio come il suo padrone, si accontentava di passeggiate corte, preferendo il caldo tepore del camino casalingo al freddo inverno scozzese che, minaccioso, lo sfidava ad uscire. Il giro era lo stesso da sempre. Dopo aver sbrigato la corrispondenza al piccolo ufficio postale di Cape Cod Road, giù al porto, il cane e la sua guida erano soliti fermarsi all’emporio dei Mac Gragor, dove il pastore scambiava volentieri due parole con l’amico Tiodor. Gli argomenti erano sempre quelli, non succedeva mai niente di nuovo o di interessante a Banff. La pesca al merluzzo, che andava sempre peggio; il freddo, ogni inverno più pungente; la giumenta dei Mac Collister, che non si voleva decidere a far nascere il suo puledro. Coleman Pisckins era una persona semplice, ma quella mattina del 10 febbraio 1906 qualcosa cambiò.

Uscito di casa in compagnia del fedele Salud, non si diresse come avrebbe fatto tutte le altre mattine verso il porto, ma cominciò a camminare, immerso nei suoi pensieri, verso Sud, verso le brulle colline che proteggono la cittadina di Banff. Quando era un ragazzo, cominciò a ricordare, amava avventurarsi per quelle terre, ancora così meravigliosamente selvagge. Avrebbe potuto camminare per giorni senza incontrare altra compagnia che il vento scozzese e, in effetti, così aveva fatto per tante estati della sua lontana giovinezza. Qualche mela nello zaino, un pezzo di pane, delle aringhe affumicate, i suoi preziosi libri; in quei giorni, ormai lontani, non gli serviva altro per essere felice.

Era già passato mezzogiorno da qualche minuto quando si accorse di essere stanco. Assorto nei suoi pensieri, aveva perso il senso dello spazio e del tempo, camminando molto più lontano e molto più a lungo di quanto creduto. Di solito il ritmo delle sue giornate era scandito dai rintocchi delle campane della St. George, che fino a pochi anni prima era stata la sua chiesa, ora gestita con cura e amore da Pellegrino, il nuovo giovane pastore di Banff. Di solito, alle undici e trenta precise, la signora Stephenson serviva la colazione; non erano mai pasti abbondanti, ma sicuramente molto curati e gustosi. Il baccalà in umido insaporito con i rognoni di agnello, lo stoccafisso saltato con le patate e la zuppa di verdure, erano quelli i più piacevoli da mangiare nelle corte e fredde giornate invernali. Adesso, però, era troppo lontano dalla sua St. George per sentirne il suono delle campane, ed era troppo lontano dal suo focolare per potersi ristorare con la cucina della sua governante. Coleman Pisckins, stanco ed affamato, si fermò a riflettere seduto su una grossa pietra.

La prima cosa che fece, dopo aver capito di essersi perso, fu l’inutile tentativo di accendere un fuoco. I suoi abiti erano molto pesanti, adatti a sopportare il freddo inverno scozzese, ma, dopo molte ore passate all’aperto, non c’è stoffa capace di tenere al caldo una persona, specie un vecchio come lui. Il fedele Salud era tristemente rannicchiato ai suoi piedi, non sembrava capace di guidare il padrone sulla via del ritorno.

Anche se le sue gambe avrebbero preferito una sosta più lunga, il pastore decise che la cosa migliore da fare fosse quella di ripartire subito. Con il buio, pensò, sarebbe stato tutto maledettamente più complicato e poi, se fino a quel momento si era inerpicato su per le colline, la strada che lo aspettava per tornare verso casa non poteva che essere in discesa. Decise di muoversi, per quanto possibile, in linea retta. Sapendo che in quella stagione e in quel particolare momento del giorno la brezza soffiava da terra verso mare e sperando, una volta raggiunta la linea di costa, di riconoscere qualche elemento che gli ricordasse la giusta via, cominciò a muoversi attento a tenersi il vento sempre alle spalle. Erano le cinque passate quando, ormai esausto ed immerso in una strana notte con poche stelle, Coleman Pisckins sentì finalmente il rumore di onde che si infrangono sugli scogli. Salud abbaiò contento, forse ce l’avevano fatta.

*

Nel rientrare, però, il cane e la sua guida si erano spinti troppo ad est rispetto a Banff, raggiungendo quella porzione di litorale occupata da alte falesie, non ancora addolcite nella forma dall’azione delle correnti e del moto ondoso. Nulla sembrava indicare la giusta direzione da prendere, non si riconosceva niente di familiare cui appigliarsi per decidere da che parte andare. La debole traccia di un sentiero, ormai abbandonato da anni, sembrava snodarsi verso oriente; non trovando niente di più convincente Coleman Pisckins, sbagliando, decise di seguirla. Anche se non direttamente a Banff, pensò, forse avrebbe raggiunto una di quelle fattorie che sapeva esistere in queste zone isolate. Avrebbe potuto chiedere asilo per la notte in una di queste e, con un po’ di fortuna, farsi accompagnare in paese la mattina successiva. Immaginava già la preoccupazione della signora Stephenson. Qualcuno, pensò, avrebbe passato tutta la notte sveglio per cercarlo, ne era molto dispiaciuto.

Erano passate le undici di sera quando cominciò a scendere una debole pioggia. L’anziano pastore era in viaggio da più di quindici ore, era stanco, bagnato, infreddolito ed affamato. Il sentiero, ben riconoscibile solo all’inizio, era ormai del tutto cancellato; gli arbusti, resi ancora più taglienti dal freddo, rendevano il cammino sempre più difficoltoso. Passarono diversi secondi prima che l’uomo si accorgesse di Salud che, fermo qualche metro più indietro, stava abbaiando con decisione verso una fonte di luce visibile lungo la costa, a poche centinaia di metri da loro. Forse erano salvi.

Forse.

La luce, appena percettibile da quella prospettiva, proveniva da un faro, da una finestra che si apriva all’altezza del secondo piano, sul lato dell’edificio rivolto verso il mare. La costruzione, in ottime condizioni nonostante lo stile architettonico ne rivelasse l’età, si ergeva sicura sull’alta scogliera che, in questa porzione di litorale, proteggeva la terra dalla forza dei flutti marini. In tempi lontani la luce del faro doveva esser venuta in soccorso alle molte navi sorprese dalla nebbia o dalla bufera; oggi, pensò rincuorato il pastore, sarebbe venuta in suo aiuto. Coleman Pisckins era troppo stanco per chiedersi dove mai fosse finito, o per stupirsi del fatto che mai, nella sua lunga vita e nelle sue lunghe passeggiate giovanili, avesse visto, o solo sentito parlare del faro alla cui porta stava per bussare in cerca di asilo. Coleman Pisckins era troppo indebolito nel fisico e nella mente per rendersi conto che Salud, salito il primo gradino della scalinata in pietra che portava all’uscio del faro, aveva cominciato a tremare e guaire, sconvolto dalla paura.

*

“Buona sera” cominciò quando un uomo alto e robusto aprì la porta, “sono Coleman Pisckins, il pastore di Banff. Credo di essermi perso e mi domandavo se potesse essere così gentile da venirmi in qualche modo in aiuto”.

“… non lo so, mi dia il tempo per pensarci”, rispose freddo il padrone del faro, “... sono anni che non ricevo visite e secoli che non ricevo persone degne della mia ospitalità”. Pronunciando queste strane parole l’uomo, vestito in un elegante abito da camera, stava fissando Salud che, come ipnotizzato da un incantesimo, smise improvvisamente di guaire, riacquistando la sua tranquillità.

“Ecco, beh” balbettò intimidito Coleman “non le porterò troppo disturbo. Mi basterebbe potermi asciugare e riscaldare davanti ad un fuoco e, se possibile, passare la notte in un luogo sicuro e tranquillo. Mi basterebbe, domani mattina, avere qualche informazione su come raggiungere Banff”.

Il padrone del faro sorrise beffardo. “Domani mattina dice? Lei non ha idea di quanto sia lontano il suo domani mattina. Ma la prego si accomodi pure, spero che nella mia casa possa trovare quella sicurezza e quella tranquillità che chiede”.

Nel terminare la frase il sorriso dell’uomo si era trasformato in una strana terribile smorfia, ma Coleman Pisckins era troppo stanco per rendersene conto.

*

La porta di ingresso al faro si apriva in un grande locale circolare, che occupava tutto il piano terreno dell’edificio. Questo locale risultava completamente spoglio, ad eccezione di una stretta scaletta a chiocciola che, dal centro della stanza, saliva verso i piani rialzati e di una botola in pesante legno rinforzato, chiusa a proteggere chissà quali misteri sotterranei. Una lanterna ad olio era accesa sulla parete opposta a quella d’ingresso.

Una volta entrato, Coleman Pisckins si tolse il pesante pastrano invernale, ormai zuppo d’acqua, diede una carezza al fidato Salud, pregandolo di rimanere vicino alla porta di ingresso, e si preparò a seguire il misterioso anfitrione che, silenzioso, stava già salendo al secondo piano dell’edificio. La scala portava in un salotto ben arredato. Una grande finestra si apriva verso il mare, una comoda poltrona di velluto verde era posizionata di fronte ad essa. Istintivamente il vecchio si avvicinò al camino acceso sulla parete opposta, cercando di riacquistare un po’ di calore accostando le mani alla fiamma che in esso crepitava con vigore.

“E’ un inverno davvero molto freddo quello che il buon Signore ci ha regalato per quest’anno” cominciò per rompere quel prolungato silenzio.

Il padrone del faro non rispose.

“Non so davvero cosa mi sia saltato in testa questa mattina”, ritentò, a disagio, il pastore, “erano anni che non mi avventuravo a passeggiare lontano da Banff. A proposito, dove siamo di preciso? Non ricordo di essere mai passato da queste parti né, ad essere sincero, mi sembra che nessuno mi abbia mai parlato dell’esistenza di un faro o, e me ne scuso, di lei, del signor...?”

“...Isaihas Germain Bombardier era il mio nome, … ma sono anni che non lo sento più pronunciare da nessuno.”

Il padrone del faro, seduto davanti alla finestra rivolta verso il mare, calmo in quella notte di pioggia, cominciò a caricare il fornello della sua elegante calabash con tabacco nero irlandese.

“Un tempo fumavo anch’io la pipa”, balbettò Pisckins, “ma alla signora Stephenson, la mia governante, dava fastidio l’odore, così ho deciso di smettere”. Isaihas Germain Bombardier non rispose. Evidentemente i discorsi fatti così, tanto per parlare, non raggiungevano il suo interesse.

Coleman Pisckins, sempre più a disagio, decise che non avrebbe più tentato di interagire con il suo ospite, ma che, zitto davanti al tepore del camino, avrebbe atteso che fosse l’altro a dirgli qualcosa; se non altro, sperò, per indicargli il posto dove dormire in quella strana, maledetta notte di febbraio.

Passarono almeno quaranta minuti prima che dal fornello della pipa smettesse di uscire la profumata nuvola di fumo. Quaranta minuti passati nel più totale silenzio.

Erano le due del mattino quando Coleman Pisckins si svegliò di soprassalto, con la sensazione di aver fatto un terribile incubo.

“Si deve essere assopito davanti al fuoco”, gli stava bisbigliando, da dietro le spalle, il padrone del faro, gelido come l’inverno scozzese, “ma la notte è appena cominciata e lei non mi è stato ancora di nessuna utilità”.

Fu allora che Coleman cominciò ad avere davvero paura. Forse erano bastati quei pochi minuti di sonno davanti al camino per far tornare in lui il buon senso di sempre.

Chi diamine era quell’uomo misterioso alla cui porta aveva bussato? Possibile che a Banff nessuno ne avesse mai sentito parlare?

Chi mai avrebbe deciso di vivere, completamente da solo, in un vecchio faro, a miglia di distanza dal più vicino centro abitato? E perché lo avrebbe mai dovuto fare?

Perché quell’uomo lo aveva accolto in casa sua, se poi non si era più interessato di lui, preferendo starsene in silenzio a fumare la sua dannata pipa? Non era un comportamento normale. Non lo era per niente.

Mille domande si affollarono d’un tratto nella mente di Coleman Pisckins; il battito del suo cuore si era fatto di un colpo frenetico.

Cosa ci faceva, il padrone del faro, ancora in giro, sveglio nel pieno della notte?

Gli era improvvisamente comparso alle spalle, silenzioso come un fantasma. Gli era arrivato così vicino che, ora, poteva percepirne l’umidità della bocca che gli bisbigliava strane parole nell’orecchio.

La sua voce, poi, suonava ad un tratto così terribilmente strana, minacciosa … come aveva fatto, prima, a non rendersene conto?

In che brutto guaio si era cacciato …

Forse la mente del vecchio pastore, appena un po’ rinfrancata dal breve riposo, stava finalmente mettendo a fuoco il pericolo che lo circondava.

Era però troppo tardi.

Troppo tardi.

Coleman Pisckins non sarà più il protagonista di questo racconto.