Foto di Simon Berger da Pixabay
Il rumore del ghiaccio
Gedi II, Europa. Data 22200229.864
Andris era rimasto solo, sprofondato in un crepaccio nel bel mezzo del Marasqe, il singolare altopiano di ghiaccio rosso di Europa. La caduta era stata lenta ma inarrestabile e dopo il primo tentativo di afferrare una parte della parete rocciosa, Andris aveva iniziato a roteare in aria vorticosamente. Il tonfo sul fondo buio del crepaccio era stato un sollievo. La lieve gravità del pianeta aveva attutito il colpo e i danni riportati erano minimi. Fortunatamente la tuta era integra e l’impianto vitale funzionante.
Dopo un breve controllo Andris riuscì a rialzarsi in piedi e con una rinnovata tranquillità aprì un canale nel suo hud per contattare i compagni di spedizione. Il canale era aperto, ma il segnale non riusciva a penetrare le spesse pareti di roccia ferrosa e ghiaccio. Andris era di nuovo solo.
Nessuno lo avrebbe cercato in quell’area, si era allontanato troppo dalla rotta prestabilita. Nessuno lo avrebbe trovato, tranne la notte; quella sarebbe giunta inesorabile e avrebbe spento uno a uno i suoi sistemi vitali. Iniziò a guardarsi intorno, toccando la liscia parete del crepaccio e imprecando, cosciente che quella sarebbe stata la sua tomba. Poi qualcosa brillò oltre uno dei muri di ghiaccio, nell’oscurità di quel luogo. Una delle pareti era liscia come uno specchio e una luce vibrava oltre di essa, come la fiamma d'una candela. Andris prese la piccozza dalla sua cintura e iniziò a batterla sul muro. Pian piano, pezzo dopo pezzo, la parete iniziava a cedere e, come un vetro, inquietanti rumori stridevano mentre la parete s’incrinava e si spezzava. La luce si faceva intensa e Andris aumentò il suo martellare. Poi un sordo rumore precedette la rovina del muro di ghiaccio; fece appena in tempo a spostarsi evitando le grosse macerie che ne caddero. La luce era reale.
Oltre il muro rotto bruciava una fiamma verde. L’aria di Europa non avrebbe consentito a nessun fuoco di ardere. Ma quella fiamma era lì, scaturiva da un’ampolla di vetro sostenuta su un piedistallo di pietra nera levigata a specchio.
Andris non si era reso conto di essersi avvicinato all’oggetto, come una falena attratta dalla luce di un faro, in pochi istanti era di fronte a quella meraviglia, in una stanza buia, il muro dietro di sé era svanito e sentì di non essere solo.
Dal fondale oscuro di quel luogo dei passi si avvicinavano svelti, Andris preso da uno sconfortante terrore cercò di guardarsi intorno per trovare una via di fuga. Ma il luogo era un pozzo di oscurità, dove nonostante quella fiamma fosse la cosa più brillante che aveva mai visto prima, non si rifletteva su nessun oggetto, neppure su di lui.
Sono qui oppure no?
«La tua domanda è inopportuna, qui.» Una voce profonda provenne dal fondo di quel luogo e pochi istanti dopo una figura ammantata in una veste verde scuro e dall’imbottitura amaranto apparve come rigurgitata da una densa nebbia color pece. Una maschera di metallo sul viso ne nascondeva i tratti. Andris non poté fare altro che rimanere pietrificato. Cos’era quel posto? Era forse morto? Le risposte a queste sue domande non sarebbero tardate ad arrivare.
«Il mio mondo e Ancora no, sono le risposte che cerchi, uomo della Terra.» La voce risuonò nella testa di Andris ancora una volta e lo avrebbe fatto di nuovo, pochi istanti dopo.
«La tua gente si è spinta molto lontano, ma non abbastanza per impedire l’avvicendarsi del vostro destino. Ogni volta che uno di voi ci fa visita, il tempo per la vostra specie si consuma. Sembrate quasi anelare la vostra stessa fine. Ma d’altra parte siete ciò che siete: bestie, e noi i vostri mandriani. Vi abbiamo lasciato infestare il sistema perché fosse pronto per noi. Presto saremo lì e potremo così ringraziarvi di persona, finalmente.»
L’oscurità si dissipò in un batter d’occhio. Lo sguardo di Andris era fisso sulla volta aperta di quel crepaccio in cui era precipitato. I suoi sistemi erano ancora accesi, ma il tempo passato era più di quanto aveva inizialmente immaginato. Sei ore disteso sul fondo del precipizio. Quello che aveva vissuto pochi istanti prima era un sogno, o meglio, un incubo.
Eppure… Quelle immagini e quelle sensazioni non appassivano con il passare del tempo, rimanevano vivide, ancorate alla sua mente. Come ricordi veri.
Ricordava anche il suo volteggiare convulso durante la lenta caduta e che con le mani aveva tentato di aggrapparsi alla parete rocciosa; ricorda di esser stato colpito da qualcosa. Un grosso masso ghiacciato. Era ancora vicino a lui, nei pressi del punto in cui era poi atterrato già privo di sensi. In qualche modo però il segnale di soccorso era riuscito a passare e sarebbe presto arrivata una squadra a recuperarlo.
Chiuse gli occhi. Nel tempo di un sospiro si ritrovò nuovamente nella buia stanza del suo incubo. Come se non se ne fosse mai andato per davvero. La figura ammantata era ancora lì, il suo volto di metallo guardava nella sua direzione. Andris non riusciva a proferire parola.
«È così che funziona per voi. Non potete rimanere qui a lungo, non è per voi questo posto» la figura parla a Andris come se lo conoscesse da sempre e lo stesso Andris sente che in un certo senso è così.
«Ti conosco come conosco tutti gli altri. Tu mi immagini come meglio riesci a fare, ma io non ho questo volto qui. In realtà, non ho neppure un volto» la creatura si sofferma ancora sulle sue ultime parole. Poi prosegue.
«Se tu riuscissi a vedere come siamo veramente, probabilmente impazziresti. Servono a questi i nostri filtri di percezione. Abbiamo fatto tutta questa fatica per voi, per farvi sentire a vostro agio» ancora una lunga pausa durante la quale Andris avrebbe voluto chiedere alla figura di smettere di parlare. Terrorizzato, lo grida dentro sé stesso, sapendo di essere ascoltato, ma la creatura insistette ignorando volontariamente il suo desiderio.
Andris lo aveva capito. Sapeva che quella cosa stava giocando con lui, come un gatto gioca con il topo prima di divorarlo.
«Hai ragione uomo della Terra, e lo avrei già fatto se tu non avessi uno scopo. Non sei venuto qui per caso. Tra poco la tua gente arriverà a salvarti dal buco in cui sei caduto, tornerai a casa, su quel piccolo mondo di fango e ferro. La tua gente deve sapere che stiamo arrivando. Devi avvertirli, dovete preparare le vostre navi. Dovete fare di tutto per respingerci. Tutto è iniziato già molto tempo fa. La vostra specie deve combattere, altrimenti sarà stato tutto inutile!»
Andris si svegliò di colpo nel letto di un ospedale. Sentì il peso delle proprie membra schiacciarlo sul materasso e il calore del sole che tiepido penetrava da una finestra, oltre la quale il suo sguardo vide il profilo di una città familiare.
Tallinn. Sono a casa.