Ascesa verso l'oblio, Capitolo V (epilogo) Onnigrafo Magazine

Ascesa verso l'oblio, Capitolo V (epilogo)

Capitolo 5

Data 22860123.0602
Nave da carico Tayga, verso UKES-Teta12.

“Sono ottantasei, ti ho detto!” La voce di Dayana squillò alle spalle di Cisco. Di fronte a lui il grande parco delle pietre glaciali. Ottantasei pietre trascinate sull’isola centinaia di migliaia di anni prima dai ghiacciai erano lì, davanti a lui, coperte di licheni e minuscole oasi d’erba fresca e terra morbida.

“Ciscoo? Ti sei di nuovo perso nel tuo mondo!?” Ancora la voce di Dayana. Voltandosi Cisco aveva visto il profilo delle colline di casa oltre i lunghi fusti degli abeti, la stessa linea curva dell’orizzonte di quando era un ragazzo. Lo sguardo, seguito dal resto del corpo, si era mosso limpido fino alla parte opposta, dove la sorella lo fissava imbronciata. Sentiva di avere un’espressione inebetita e la sorella avrebbe presto riso.

Quella scena l’aveva già vissuta, lo sapeva, ma voleva riviverla ancora. Vedere Dayana così felice e spensierata lo faceva stare bene. Quei riccioli color rame, gli zigomi punzecchiati dalle lentiggini e i suoi occhi sorridenti del colore del ghiaccio, come quelli della loro madre. Amichevole e sempre pronta a dare una mano, più grande di lui di pochi minuti; quel giorno avranno avuto poco meno di sedici anni, in visita alla casa dei nonni nella piccola isola di Hiiumaa, a pochi minuti da casa. Cisco sapeva che stava vivendo un sogno, ma non voleva pensarci. Voleva goderselo.

La notte stava calando troppo veloce, innaturale. Quel giorno era finito tra le risate dei suoi cari, ma adesso una pesante oscurità, come un telo di velluto nero, stava estinguendo ogni ricordo. Il velo cadde su di loro, Dayana era improvvisamente distante e i suoi passi battevano sulla terra fangosa. Poi un tonfo sordo. Un urlo. Come se ci fosse una barriera fatta di ragnatele centenarie, Cisco si muoveva con fatica nell’oscurità che man mano lo premeva a terra; si fece strada verso la sorella che adesso giaceva sdraiata ai suoi piedi, in posizione fetale, tremante. 

“Ti sei di nuovo perso nel tuo mondo!?” 

All’improvviso erano in un altro luogo, riconobbe subito la stanza della stazione spaziale su SOL1; era la sera di quel dannato giorno, quello dell’esperimento, quando Edwin gli aveva fatto visita. Ma al posto del collega, sul divano, c’era lei: Dayana.

“Cisco? Ci sei?” La voce della sorella squillò nella stanza, la stessa di quella sera e che adesso girava, si torceva e vorticava, come le paure dei suoi sogni. Ancora una volta la realtà si stava piegando su se stessa, tendendo verso un caleidoscopio infinito di ricordi e sensazioni. Tutto intorno aveva iniziato a saturare, ogni oggetto e ogni colore aveva una sua brillantezza e Cisco sentiva un peso crescente sulle spalle; quella sensazione lo schiacciava, ogni volta, e adesso era più forte che mai. Anche la stanza stava subendo quella forza di gravità, gli oggetti si erano deformati, come cera al sole colavano verso il pavimento e Dayana insieme a loro, in una smorfia di terrore e delusione.

«Cisco?!» Aprendo gli occhi capì che l’incubo era finito e Marsha era vicina a lui. L’odore della sporcizia era così forte che istintivamente aveva portato la mano al collo dove fino a poche settimane prima c’era il sensore del suo HUD. Marsha lo fissò senza far trasparire emozioni per almeno dieci minuti, nel silenzio ovattato del container in cui si trovavano.

«Stiamo arrivando a Teta12» Marsha incalzò Cisco, mentre stava per addormentarsi di nuovo. «Durante la decelerazione ti sei agitato, facevi rumore» si fermò un attimo per ascoltare che nessuno fosse nei paraggi, poi continuò «Ti ho dovuto dare una di queste» Marsha mostrò a Cisco una monodose spray di Psykron e lui annuì, consapevole del ricordo della sua ansia di poche ore prima.

Dopo circa un'ora, la nave da carico sulla quale si erano imbarcati abusivamente accese i motori di manovra per attraccare alla stazione mineraria. Cisco sapeva di doversi legare al container e sperare che filasse tutto liscio, solo pochi centimetri di intercapedine lo separavano dal vuoto cosmico.

Come ogni volta da quasi un mese, la sensazione di pericolo fece scivolare il suo pensiero a qualche giorno dopo dall’accusa pubblica del Primo Ministro, quel momento in cui era diventato un estraniato, un pericoloso, un terrorista.

***

Data 22851209.1318

Roma, Distretti esterni.

La gravità terrestre opprimeva ogni passo di Cisco. L’aria satura di polveri aumentava il suo affanno in quella corsa disperata verso un luogo sicuro. Senza conoscere la sua vera destinazione, in Cisco cresceva un’ansia che presto sarebbe esplosa in qualcosa di pericoloso. Il suo Io disciplinato da anni di accademia si stava infrangendo sullo spesso muro di una realtà per lui inconcepibile; quelle accuse di omicidio lo stavano riducendo a pezzi. Il suo mondo stava pian piano svanendo lasciando spazio a una verità finora soltanto ipotizzata nelle sue più fervide fantasie, ma con fiera omertà nascoste da quel magico trafiletto: “La nostra società è slanciata alla perfezione”. Se lo ripeteva in testa. Lo ricordava come il proprio nome, dopo averlo letto e riletto sui documenti di scuola; era stato il libro “Le memorie di Roney Alosa, il nuovo manifesto”, a ispirarlo nel condurre la sua vita nella direzione giusta.

Ma “giusta” per chi? Si chiedeva adesso. E ancora, rimbombava nella sua testa il passo seguente del libro di Alosa: “L’umanità ha raggiunto una consapevolezza mai vista prima; l’etica e la ragione hanno infine vinto sulle menzogne di un passato oscuro, corrotto dall’invidia e dall’avidità. Abbiamo spazzato via quella mescolanza di pregiudizi che, come le carte di un baro, nascondevano l’origine di tutte le guerre e le disgrazie. La gente che abbiamo mandato a morire e le ferite che questa guerra ha causato saranno impresse nella nostra mente, cosicché mai nessuno dei nostri figli possa sbagliare ancora. Tutti avranno il marchio e tutti saranno uguali, infine.”

Quel marchio di uguaglianza impresso nella mente, quella pratica che agli occhi di altri appare barbarica, quella promessa che ci facciamo ancor prima di crederci, anche quella siamo riusciti a spezzare. Eccolo, il dolore; quello di cui Alosa parlava, quello che non ho mai capito, ma ho sempre rispettato perché impresso dentro di me come un marchio a fuoco sulla pelle e sulle ossa.

«Hei!» Cisco, ancora in sovrappensiero, blocca la sua corsa dopo un richiamo di Marsha che già si era fermata alcuni metri prima. «Non è il momento di camminare sulle nuvole!» Le aveva poi rimproverato la donna scuotendo la testa.

Erano di fronte all’entrata di una piccola e vecchia stazione ferroviaria. Guardandosi attorno con circospezione, Marsha era entrata attraverso un passaggio nella rete che circondava la zona, nei pressi di un cartello segnaletico che riportava “Vietato l’accesso, zona sottoposta a quarantena!”. Il cartello mostrava i segni del tempo. Un altro luogo lasciato a marcire. Si era detto tra sé e sé Cisco.

Seguendo la donna, entrò in un lungo corridoio largo dal soffitto basso, preceduto da una scalinata che scendeva in un livello sotterraneo. L’odore di sporcizia ed escrementi era veramente nauseabondo per Cisco, abituato all’asetticità del suo laboratorio. Sarà sempre così? Si ritrovò a pensare. Linee gialle e blu parzialmente cancellate dal tempo tratteggiavano delle direzioni, alcuni cartelli riportavano indicazioni oramai desuete e inutili. Un rigolo d’acqua scorreva copioso dal soffitto fino al centro della passeggiata e in alcuni punti, l’avvallamento del terreno creava dei piccoli stagni melmosi. Dopo qualche minuto risalirono una scalinata dissestata e umida; i due si ritrovarono su una bretella di antico cemento costruita vicino a dei binari in acciaio; una banchina di sosta per i passeggeri di un tempo lontano. Un corto convoglio era appoggiato sui binari quasi al limite della banchina, dove alcune persone vi stavano salendo.

Anche Cisco e Marsha sarebbero da lì a poco saliti sull’antico mezzo di trasporto, il residuo di un’epoca indecisa, fatta di grandi contraddizioni etiche ed ecologiche. La locomotiva in fronte a esso era ancora più vecchia del vagone che li avrebbe ospitati. Un fumo nero usciva da alcuni grossi cilindri verticali, posizionati ai lati e un rumore profondo e metallico proveniva dalla pancia di quella creatura di altri tempi. Cisco sentì un odore pungente nel naso e dolce in gola, poco prima di salire sul vagone. L’aria non di certo salubre era avvelenata da una combustione. Un altro retaggio di un passato tossico.

Quando il convoglio iniziò a muoversi Cisco non credeva che fosse possibile. Si chiedeva come quel pezzo di antiquariato fosse ancora funzionante, ma la domanda più fastidiosa che si stava ponendo era: perché il governatorato lo permette? Perché, permette l’esistenza di una così degradata civiltà all’interno di una delle città più antiche e popolose al mondo. E quante altre zone sono così? Erano tutte domande alle quali non avrebbe ricevuto risposta, ma di cui già, in qualche modo, sentiva di conoscere la spiegazione.

Dopo circa un’ora di marcia lenta e costante, cadenzata da un “thump thump” ritmico, seduti in quei piccoli e scomodi sedili di tessuto strappati e macchiati da chissà cosa, tra gli sguardi curiosi di altri due passeggeri, il convoglio si fermò e Marsha si affrettò a scendere quasi strattonando via Cisco dal vagone. Un’altra desolata banchina di cemento precedeva un piccolo edificio che divideva il resto della città dalla linea ferroviaria. Uscendo da quel luogo, una piazza dissestata apriva la vista a un cimitero di rovine. Un cartello indicava l’area in cui si trovavano: “Zona DN15”.

Siamo al limite della città. Cisco continuò a seguire Marsha, rimasta in silenzio per tutto il viaggio, che ancora con passo veloce le rimaneva davanti. Costeggiando la stazione per circa un chilometro, gli edifici si fecero sempre più radi e spogli. Nei pressi di un grande cancello di ferro Marsha si fermò, su di esso un cartello usurato e incomprensibile ne riportava il nome, un tempo.

«Ci siamo. Quei due sul treno ti hanno riconosciuto, ma non credo che siano interessati a far venire qui la polizia», la donna fece una breve pausa e si guardò intorno, «comunque per essere certa ho inviato ai loro dispositivi un incentivo al silenzio. Mi devi 200 unità di calcolo.» Cisco la osservò cercando di non far trasparire alcuna emozione, poi abbassò lo sguardo e annuì con la testa. Mazzette e omertà. Pensò tra sé, mentre una smorfia gli segnava il volto stanco.

Marsha era attenta e vide quella reazione. «Cisco, sei ancora attaccato ai tuoi ideali, ma il mondo è un luogo inclemente e duro. Finora hai vissuto in sospensione, dentro una bolla al sicuro da tutto. Non so cosa hai fatto davvero per inimicarti il governatorato, ma te l’ho già detto: adesso sei uno di noi e dovrai accettarlo, dovrai comportarti come noi o sarà la fine per te e per chi ti starà vicino.»

Le parole di Marsha passarono su Cisco senza sortire alcun effetto, la sua corazza era troppo spessa e quelle parole erano troppo surreali per lasciarle attecchire. Cisco sentiva di avere ancora molte possibilità di convincere il mondo dell’errore di cui era vittima.

Marsha le voltò le spalle e oltrepassò il cancello dopo che un segnale le squillò nel dispositivo che teneva tra le mani. Con un cenno della testa indicò a Cisco di seguirla, lui eseguì senza fare domande. Oltrepassato il cancello di ferro si apriva una larga piazza dove un tempo sorgevano alcuni edifici, ora solo macerie. Il luogo era immenso e i dettagli riconoscibili si perdevano tra le rovine, ma alcune parti di veicoli spuntavano dagli ammassi di cemento: era un vecchio aeroporto. Camminando attraverso le macerie presto Cisco vide chiaramente la loro meta, un edificio ancora integro quasi in fondo al complesso, nei pressi di una lunga pista perpendicolare alla loro traiettoria. 

Appena furono abbastanza vicino alla struttura, oltre il lato nascosto di essa, Cisco riconobbe la coda di una vecchia navetta orbitale. Un sorriso di nostalgia gli si stampò sul viso. Queste le ho studiate all’accademia. Che cimelio! Mentre sovrappensiero ricordava gli schemi di quelle antichità, la grande porta dell’edificio di fronte a loro si aprì scorrendo ai lati. Nella fessura che si era creata apparve una donna seguita da un nutrito gruppo di persone.

Mentre Marsha alzava il braccio in segno di saluto Cisco squadrò la donna che veniva verso di loro: magra ma alta quanto Marsha, capelli rasati sul lato destro e riportati sul sinistro, occhi grandi incastonati in uno sguardo di ghiaccio e a tracolla un fucile automatico; dopo la squadratura, però, un dettaglio lo fece andare nel panico e Cisco iniziò a guardarsi attorno come un topo in trappola: la sua armatura, con bene in evidenza i simboli della Polizia Interplanetaria.

Mi ha fottuto. Altro che 200 unità. La stronza mi ha venduto. Eccomi, valgo quanto per questa gente? Ora capisco le tue parole, Marsha, capisco che mi stavi avvertendo del tuo tradimento; un modo come un altro per avere la coscienza a posto. Questo quindi è il mio destino? Braccato e mandato a morire per qualcosa che non ho fatto, per aver visto un pezzo di quella realtà che nessuno vuole ammettere. Quante volte dovremo morire prima di accorgerci che tutta la nostra società è fondata su una bugia, quanto andrà avanti la favoletta che ci stiamo raccontando? Quanti Cisco e quante Marsha ci sono stati in questo cazzo di paradosso? Quanti? Quanti ME ho ucciso finora? Mi hai fregato con le tue parole, mi son fidato una volta di troppo e forse, adesso, sarà davvero la fine.

Questo pensiero tratteggiò la mente di Cisco per un istante interminabile, mentre alla vista di quella divisa retrocedeva di qualche passo. Le due donne lo guardavano perplesse, e ancora più lo furono dopo che Cisco, voltandosi verso Marsha, le rivolse una domanda molto estraniata «Che cosa hai fatto?». Marsha aggrottò lo sguardo, completamente presa alla sprovvista dalla reazione di Cisco.

L’altra donna, invece, capendo al volo la situazione, portò le mani in avanti come a tranquillizzare: stava chiaramente usando il linguaggio corporeo del trivàla. Cisco rimase stranito da quella reazione, che mai si sarebbe aspettato in una tale circostanza. La donna, una volta accertatasi di essere al centro della sua attenzione, parlò con voce calma e distesa.

«Quelli che vedi sono pezzi di armatura,» la donna fece una pausa, allargando le braccia verso l’esterno e girando i polsi verso l’alto «non è la mia uniforme». Cisco guardò di nuovo quelle vesti. Era come diceva lei. In un attimo si sentì dannatamente stupido. Aveva pregiudicato tutta la situazione. Aveva anche accusato Marsha che lo aveva aiutato fino a quel momento, senza un reale motivo, probabilmente perché pensava che fosse giusto così. La donna fece un passo verso di lui e gli pose la mano aperta. Cisco le strinse la mano, e sentì che anche lei, nonostante si dimostrasse tranquilla, era agitata e probabilmente aveva temuto che la situazione potesse prendere una brutta piega. Quegli occhi dalle iridi chiarissime ora li vedeva amichevoli.

«Il mio nome è Vall’aj». Disse la donna, per poi continuare. «Marsha è una mia cara amica, mi ha detto che aveva qualcuno da aiutare, qualcuno che era diventato come noi», fece un’altra pausa mentre lasciava la mano di Cisco «ma non mi aspettavo che fossi tu». 

Mi conosce? Cisco era calmo adesso, ma rimase sorpreso nello scoprire che Vall’aj sapesse chi fosse. Poi gli tornò a mente il messaggio del Primo Ministro e tutto ebbe un senso. Era famoso, a modo suo.

Dopo alcuni minuti la situazione si era distesa e i tre erano all’interno dell’edificio. Le persone che Cisco aveva intravisto poco prima, erano intente a sistemare dei grossi motori. Tutto il luogo pareva un’officina aerospaziale, ma in un lato del grande stabile si potevano vedere delle tende, che fece capire a Cisco che quella gente viveva lì e che, a giudicare dalla quantità di roba, lo faceva da molto tempo.

Vall’aj dopo aver parlato in disparte con Marsha tornò da Cisco, a cui era stato chiesto di aspettare che finissero di accordarsi di altre faccende che non lo riguardavano. 

«Preparati Cisco, partirete subito». La donna era tornata a usare un tipo di linguaggio più formale. 

«Partire per dove? E con cosa? Qui non mi pare di vedere molto.» le rispose Cisco all’istante. 

Vall’aj sorrise prima di rispondere «Andrete a UKES-Teta12. Lì abbiamo degli amici che ti aiuteranno. Sei una persona troppo famosa adesso per rimanere nel Governatorato…» Vall’aj fece una breve pausa e, ancora con quel mezzo sorriso sulle labbra, concluse «… per il “come” bè, dovresti averne visto il culo arrivando qui!»

«N-non stai parlando della navetta orbitale vero?!» Esclamò con la voce rotta da un’evidente preoccupazione. Cisco aveva capito, ma sperava fino all’ultimo di sbagliarsi. 

«O questo, adesso, oppure tra qualche giorno assistiamo a una bella esecuzione pubblica, di quelle che non se ne vedono da decenni.» Le parole della donna in armatura suonarono nella testa di Cisco come una minaccia e forse lo erano. D’altra parte rimanere lì avrebbe significato mettere in pericolo tutti loro. Ancora senza scelta. Si ritrovò a pensare.

«I ragazzi vi aiuteranno a vestirvi con le tute pressurizzate. La navetta è priva di sistemi vitali funzionanti quindi avrete una scorta di ossigeno limitata. Mancano anche gli stabilizzatori inerziali, quindi prima di partire fatti una doppia dose di Psykron che ti aiuterà a resistere agli scossoni». Vall’aj si fermò un istante e mentre i suoi uomini aiutavano i due fuggiaschi a entrare nelle tute, sondò le espressioni sui loro volti per poi continuare. «Avrete una sola possibilità, una volta arrivati in orbita dirigete la navetta verso Lunar XV, finirete il carburante circa a metà strada, proprio dove si troverà una nave da carico indipendente. Quello sarà il vostro passaggio per lo spazioporto di Lunar XV. A bordo c’è un nostro contatto che vi aiuterà a passare inosservati…» Vall’aj fece di nuovo una pausa aspettando che i suoi finissero di vestire Cisco e Marsha. 

«… dallo spazioporto in poi sarete da soli. Camuffatevi, cercate di diventare dei nessuno. Sporcatevi anche l’onore se necessario. Prendete la prima nave da carico nadezhdà che trovate, diretta a Teta12, e infilatevi in uno dei loro container per il trasporto del bestiame. Puzzerà, ma almeno non morirete assiderati o asfissiati. Una volta a destinazione il nostro contatto vi troverà, il suo HUD è codificato per trasmettere un segnale specifico. Vedete di non perdere questi dispositivi». Passò due HUD modificati ai suoi uomini che, poco prima di chiudere la tuta, li applicarono dietro l’orecchio destro dei due fuggiaschi. «Se non riuscirete a seguire le istruzioni sarete da soli per molto tempo. Questo è tutto».

La donna aveva specificato per filo e per segno come sarebbero dovute andare le cose perché Cisco e Marsha potessero arrivare sani e salvi alla stazione più esterna del Governatorato. Cisco però era molto preoccupato e venne colto da un’ansia che non lo abbandonò mai e che nei giorni successivi sarebbe cresciuta in modo esponenziale: credeva di aver raggiunto il suo limite quando la nave da carico indipendente tardò di oltre dieci ore al checkpoint, ma aumentò ancora una volta arrivati a Lunar XV, quando per giorni non trovarono altro che navi che trasportavano solo minerale. E ancora quando la prima nave disponibile, quella giusta, era una vecchia bagnarola sgangherata. Saliva, l’ansia, senza mai scemare durante la fuga verso i container del bestiame e ancora, dopo essersi infiltrati come clandestini in quella ferraglia, nonostante fossero a un passo da una potenziale salvezza.

***

Cisco sentiva il rumore dei vecchi ingranaggi che non volevano girare, proprio al limite della manovra di attracco. È il momento… Se la nave avesse speronato anche uno solo dei tanti moli di Teta12 per loro sarebbe stata la fine. Sono ancora in balia delle azioni degli altri. Questo era il pensiero di Cisco. Fu questo il suo pensiero per tutto il viaggio di oltre trenta giorni, passati con una compagna silenziosa, dentro un container a pochi centimetri dal vuoto. Cisco sentiva di essere al limite, sarebbe bastato un rumore sbagliato per farlo uscire di testa. Lui lo sapeva e anche Marsha l’aveva capito.

Le ganasce finalmente si agganciarono al molo, il rumore della nave sotto sforzo cessò e tutti gli ingranaggi si attivarono come previsto. Quel dannato viaggio era giunto al suo termine. Cisco fece un sospiro di sollievo, i suoi muscoli si distesero e la sua mente si svuotò così rapidamente da commuoverlo. Per un attimo i suoi occhi si inumidirono. Anche Marsha, nonostante il suo imperturbabile silenzio, era chiaramente commossa per la piccola vittoria che avevano raggiunto. I due si scambiarono uno sguardo d’intesa e un lieve sorriso, poco prima di concentrarsi sul nuovo obiettivo.

***

Uscire da quella ferraglia non fu difficile. Una volta che il container venne posato nelle stive della stazione, dove c’era aria respirabile, Marsha forzò il portello con la stessa facilità con cui l’aveva aperto e richiuso all’inizio del loro viaggio. Altrettanto semplice fu sgattaiolare tra gli altri container e infine dirigersi verso la grande piazza degli attracchi civili. Una moltitudine di persone si accalcava per passare, chi in direzione delle navi in partenza e chi verso l’uscita dallo spazioporto. La stazione era enorme, la più grande che Cisco avesse mai visto prima. Il doppio più grande di Krepost' Martz, la più famosa del Governatorato, tanto che solo nella sezione degli attracchi civili ci saranno state più di seimila persone.

Costeggiando il lato esterno dei pontili di attracco, girarono quasi mezza piazza quando finalmente si trovarono di fronte all’area di ingresso della stazione. L’odore della gente affannata aveva fino ad allora saturato tutta l’aria, ma in quel momento una ventata fresca e leggermente umida li aveva accolti in quella gigantesca hall. Cisco si stava godendo quel momento, come se fosse un frammento ritrovato della sua libertà persa da tempo, quando di colpo si sentì strattonare da Marsha che lo rimproverò con il solo sguardo e in silenzio, dall’angolo in cui lo aveva trascinato, gli indicò lo schermo oltre l’entrata, blaterando qualcosa.

«Stai sempre su quelle cazzo di nuvole…»

Cisco guardava nel punto indicato dalla donna e dopo alcune immagini apparve sul mega-schermo olografico ciò che l’aveva messa in agitazione: due identikit, uno suo e uno di Marsha seguiti da una ricompensa: 10.000 unità a testa, vivi. «Una cazzo di fortuna!» aveva imprecato lei dopo qualche istante.

«Allora, signor dottore, hai avuto oltre un mese di tempo per spiegarmi di preciso cosa cazzo hai fatto, adesso è arrivato il momento di vuotare il sacco!» Marsha era davvero fuori di sé, probabilmente non si aspettava di avere una taglia sulla testa pari a quella di Cisco e questa cosa la faceva infuriare, non conoscendone per altro il motivo.

«Non ho fatto nulla. Non ho ucciso nessuno…» Cisco era stranamente calmo, sentì di essere finalmente in grado di spiegare quello che era successo, ma sapeva anche che nonostante la sua richiesta, Marsha già conosceva il motivo della sua situazione. «… ho solo fatto una scoperta, qualcosa che però non era mia intenzione cercare. Una scoperta che mi ha messo un grande dubbio e che di conseguenza mi ha portato a cercare risposte. La mia prima risposta sei stata tu». Cisco guardò la donna negli occhi, mentre con tranquillità le spiegava la situazione. Lei, ancora con i nervi a fior di pelle, lo prese per il bavero con una mano, mentre con l’altra gli puntò una vibrolama alla bocca dello stomaco. 

«Continua!» l’incitamento di Marsha uscì dai suoi denti serrati, come il ringhio di un cane.

«Non c’è molto altro da dire, la scoperta era una novità per il Cisco ricercatore, fedele al Governo Interplanetario, con una cara amica nel consiglio del governatorato centrale, della quale si fidava. Quel Cisco però è morto. Come lo sono tutti gli altri venuti prima di lui. Come lo sono tutte le Marsha venute prima di te». Cisco lo aveva parafrasato, ma la donna aveva capito di cosa stava parlando. La Menzogna che l’aveva condannata a una vita di follia. Lo scienziato aveva la conferma, lui ci credeva, lei ora lo sapeva. Dopo quelle ultime parole ritrasse la lama dal ventre di Cisco, tornando a nasconderla sotto le sue vesti. Era decisamente rientrata nei ranghi. … è più instabile di quanto immaginavo. Questo si era detto Cisco, una volta finito il pericoloso scontro. Ma anche lui lo era e lo sapeva, ci poteva essere lui, pochi istanti prima, con quella vibrolama in mano.

Già da alcuni giorni avevano improvvisato un camuffamento, usando pezzi di stoffa e la terra presente nel container in cui avevano viaggiato. I loro volti erano irriconoscibili e sporchi, Cisco temeva che fosse esagerata così tanta sporcizia, ma una volta arrivati alla stazione si era ricreduto, in molti dei volti che incrociava a fatica si riconosceva il colore della pelle. Teta12 era una stazione mineraria arroccata su di un grosso asteroide. Presto avrebbero sentito l’odore del ferro e dell’olio delle trivelle. 

Marsha attese qualche minuto, prendendo il tempo con cui le loro taglie venivano mostrate, una volta intuita la cadenza fece cenno a Cisco di starle dietro e si incamminò verso uno dei condotti laterali alla grande entrata. Un cartello luminoso riportava l’indicazione “R6”. Cisco non conosceva la nomenclatura delle stazioni Teta, ma basandosi sulle sue conoscenze ipotizzò che si trattasse di un settore residenziale esterno, cioè periferico. Bene, Marsha, ottima strada.

Nell’arco di circa venti minuti arrivarono al settore indicato nel cartello. Come aveva intuito Cisco si trattava di un’area residenziale, per così dire. Appena fuori dal cunicolo d’accesso, una schiera di baracche ammassate le une sulle altre decoravano una delle pareti di roccia del sasso su cui si trovavano. Era di certo un ghetto, ricavato da una delle aree di estrazione oramai esaurite. Una lunga via che percorreva un fianco dell’asteroide e dalla parte opposta alla roccia si trovava la parete di contenimento della stazione, le cui condizioni però non erano affatto rassicuranti, tanto che in alcuni punti erano state evidentemente rinforzate alla meglio con gli scarti di altre paratie più o meno solide.

Vall’ja aveva detto loro di aspettare il contatto cifrato sui loro nuovi HUD e così stavano facendo, ma in una zona che Marsha pensava fosse sicura. Lo pensava anche Cisco, vedendo la gente che viveva lì, intenta a fare tutto tranne che badare a loro. Non ci volle molto, però, prima che Marsha iniziasse a cercare un contatto e Cisco, assorto nei suoi pensieri, non subito se ne rese conto.

«Buon’uomo può darmi delle indicazioni?» Si era fermata davanti alla bancarella di uno dei pochi negozianti presenti nella zona; un tavolo malconcio ospitava una serie di scatolette di cibo e barattoli di vetro contenenti alcune pietanze, probabilmente rubate o, alla peggio, artigianali.

«Vendiamo solo ai residenti!» asciutta e priva di possibilità di replica era stata la risposta dell’uomo appoggiato a una delle travi della sua baracca. Neppure aveva guardato Marsha in viso.

«Voglio indicazioni, non le vostre prelibatezze.» Aveva insistito Marsha, con una gentilezza talmente finta che anche Cisco si era finalmente accorto della situazione.

«Vendiamo. Solo. Ai. Residenti»  di nuovo la solita risposta, questa volta scandendo parola per parola, come se ad ascoltarlo ci fosse un decerebrato. Marsha stava per sbottare tirando fuori la sua vibrolama, ma Cisco la bloccò, improvvisando una piccola e mal riuscita scenetta.

«Tara smettila di dare fastidio alla gente per bene! … Mi scusi tanto, non faccia caso a mia sorella, è una povera storpia» disse Cisco mimando il verso di chi non ha più cervello. L’uomo appoggiato alla trave neppure si degnò di guardarlo, continuando a ignorarlo. Cisco in sottovoce ringhiò un avvertimento alla donna. «Vuoi farci finire fuori da qualche portello di servizio? Che cazzo ti prende?» Marsha non gli rispose e si liberò dalla presa dell’uomo, riprendendo a camminare davanti a lui in evidente agitazione. Cisco però ne aveva abbastanza di quel suo comportamento da schizzata di testa e le si affiancò. 

«Continua pure a dare di matto, maledetta pazza! Se sbrocchi di nuovo ti lascio a marcire su questo sasso di merda!» La voce di Cisco aveva un drammatico tono di verità ineluttabile. La donna si fermò a fissarlo, probabilmente stava pensando se tagliargli la gola o se mandarlo soltanto al diavolo. Lo Psykron che aveva dato a Cisco poche ore prima era una delle loro ultime dosi e ora, per preservarne abbastanza per i giorni a venire, stava provando l’angoscia dell’astinenza. Cisco, che non aveva minimamente capito la situazione, era sul punto di sbottare. In quel momento, però, vide qualcosa con la coda dell’occhio, anzi qualcuno che già aveva visto. Distogliendo lo sguardo da Marsha si girò di scatto e allo stesso tempo alzò una mano per farle cenno di fare attenzione. La tensione tra i due scese all’istante, mentre entrambi scrutavano tutto intorno.

Cisco aveva visto un ombra ammantata in un drappo nero. Aveva riconosciuto uno strano sbrilluccichio, probabilmente un ferma mantello. Non era la prima volta che vedeva quella sagoma nascosta nelle ombre, ne era certo, ma appena il suo sguardo si spostava nella direzione di quella figura, questa svaniva e in qualche modo più tempo passava e più anche lui se ne dimenticava, come se non fosse mai esistita. Ma lo stato in cui versava adesso era particolare, quella dose di Psykron di poche ore prima era ancora nel suo organismo.

«Ci stanno osservando…» disse Cisco sottovoce guardando questa volta Marsha diritto negli occhi, poi continuò «Ci seguono da tempo, forse sin da Lunar XV!» La consapevolezza di quella situazione fece nuovamente crescere la sua ansia e il ritmo del suo respiro.

Marsha non aveva scelta. Recuperò le ultime due dosi di Psykron e ne diede una a Cisco. Quasi simultaneamente entrambi si iniettarono la dose al lato del collo, poco sotto l’orecchio. La sostanza acutizzò i loro sensi e la percezione periferica si fece più nitida. Una figura ammantata da un dispositivo di occultamento li stava osservando da dietro una parete di legno di una baracca. Tutto intorno a loro la gente non faceva caso a quello che stava succedendo. Marsha osservò rapidamente l’area individuando un ascensore. Senza pensarci due volte si diresse verso quel punto, facendo cenno a Cisco di seguirla.

Cisco voleva vedere il volto del loro osservatore, e invece di seguire Marsha si concentrò sulla figura ammantata. Forse è una donna. Qualche dettaglio lo convinse di questo, poi la figura come se sapesse di essere stata vista si spostò dal suo nascondiglio e iniziò a correre verso di lui. Marsha era già distante una ventina di metri quando Cisco, accortosi del pericolo, iniziò a correre dietro di lei. La figura guadagnava terreno, oramai era un inseguimento.

Marsha si girò per vedere se Cisco la stava seguendo e vide che la figura adesso era ben visibile al centro della via «Corri Cisco! Di qua!» gridò Marsha. Ma la donna con il mantello era troppo veloce. Cisco sentì i suoi passi avvicinarsi e vide l’ascensore come una meta troppo distante. Dietro di sé la donna aveva appena estratto un’arma. Cisco cercò di aumentare il passo, ma l’inseguitore era troppo più veloce di lui. Poi un dettaglio di quel luogo attirò la sua attenzione. A pochi passi c’era una pedana di teletrasporto. Senza esitare accelerò ulteriormente il passo, prese Marsha per un braccio e la strattonò a sé dirigendosi verso la pedana.

I due percorsero una strada cieca tagliata a metà da un’altra via, al fondo di essa era ben visibile la pedana di teletrasporto. Marsha si bloccò, come se un muro gli fosse apparso di fronte e Cisco ne perse la presa sul suo braccio. Mentre si girava per vedere cosa fosse successo alla sua compagna la sentì imprecare, maledicendolo. «No! No! Pezzo di merda, no!»  

Cisco era sulla pedana di teletrasporto. La figura ammantata sorpassò Marsha, ignorandola. Cisco riuscì ad attivare il computer della pedana e stava per inserire una destinazione tra le ultime, sperando che fosse in una zona vivibile della stazione. La figura alzò l’arma su di lui, a distanza ravvicinata. Cisco vide l’arma puntata in mano alla donna in corsa, un depolarizzatore. Il marchingegno era lento, un lampo improvviso lo colpì facendolo cadere a terra come un sacco di sterco.

Nella convulsa visione vide Marsha scappare via, sentì dei passi avvicinarsi e qualcuno accovacciarsi su di lui. Il suo sguardo si spense pochi istanti dopo aver visto il volto del suo aggressore, con in bocca il sapore della terra ferrosa di quel maledetto sasso.

***

Data 22860110.2311

Terra, Tallinn. Palazzo Kadriorg.

Davanti al Gran Palazzo Kadriorg sfila la parata in onore della fine della Guerra Xenogena. Un gran numero di alti funzionari del Governo Interplanetario presenziano alla manifestazione, alcuni di loro anche fisicamente. Il Primo Ministro Roben Ittokjìbai conclude il suo discorso con una rivelazione a tutto il popolo:

«Amati concittadini, un giorno come questo non poteva che terminare con una grande notizia. L’assassino terrorista Cisco Dereva è stato catturato e adesso verrà trasmesso il suo processo!» 

Un boato di gloria e riconoscimento si alza dagli spalti intorno alla grande piazza che ospita la parata e in tutte le altre piazze dell’intero governatorato. Un grande schermo olografico appare sopra i manifestanti. Il simbolo del governatorato precede una trasmissione sub-luce da SOL3. Cisco è in primo piano, poi l’inquadratura si allarga sulla sala di un tribunale al completo. La giuria sta per emettere la sentenza.

«Cisco Dereva, le accuse a suo carico si sono dimostrate fondate e per questo lei è colpevole dell’omicidio di Edwin Lucas e della promozione di una rivolta ai confini del sistema. La pena per questi gravi e ingiustificabili reati è la morte. La sentenza verrà eseguita all’istante!»

Dopo l’enunciato, un gruppo di quattro protettori della Guardia Interplanetaria prelevano Cisco dal banco degli imputati e lo scortano lungo la passeggiata di SOL3. Arrivati nei pressi di un boccaporto viene portato nella camera stagna. Le Guardie escono e il magistrato fa cenno loro di eseguire la sentenza. Uno dei protettori preme il pulsante di decompressione rapida della camera stagna. Il portello esterno si apre di scatto e Cisco viene sbalzato nello spazio.

Una telecamera esterna riprende l’esatto momento in cui il terrorista esala il suo ultimo respiro, in una smorfia di rabbia e di sfida, anche nella morte.

Quando l’assassino è morto, in tutte le piazze del sistema si alza un grido di gioia e infine il Primo Ministro chiude la teleconferenza.

«L’assassino è morto, amici miei. Il suo regno di terrore è giunto al termine. Il governatorato vi protegge. Gloria al Governo Interplanetario!»

E tutti all’unisono ripetono: «Gloria al Governo Interplanetario!»

Fine