Ascesa verso l'Oblio, Capitolo IV Onnigrafo Magazine

Ascesa verso l'Oblio, Capitolo IV

Data 22851204.2107

Terra, Roma, Spazioporto 02.

Cisco esce nella piazza dinanzi alla hall dello spazioporto, le luci della città eterna consumano la notte, mentre migliaia di persone gremiscono le strade come mosse da una danza ancestrale. 

Quel giorno Cisco sarebbe dovuto rimanere su SOL1, ma di prima mattina era riuscito a navigare oltre i controlli della rete interplanetaria, alla ricerca di risposte su ciò che aveva visto. Ciò che la sera prima era accaduto al suo collega e amico Edwin. Pensava, inizialmente, di fare un giro nel deep-web e perdersi tra le interminabili connessioni, per una volta lasciarsi cullare dal gaudio che l’esperienza di hypernet concedeva a un distratto visitatore. Però poi la sua ricerca aveva trovato qualcosa di inimmaginabile. Una traccia, un sentiero segnato da briciole di pane, nascosto agli occhi di un net-nauta inesperto, ma oltremodo visibile a chi sapeva cercare. Cisco era tutto fuorché inesperto, come navigatore.

Cisco recupera nel suo buffer di memoria il file estratto dal deep-web attraverso l’interfaccia dell’HUD. Il proiettore olografico materializza sul suo retino visivo le informazioni che aveva recuperato. Distretto N9. Era questa l’ultima posizione conosciuta di Marsha Doria, la donna di cui parlava il fascicolo. L’unico indizio che in qualche modo aveva convinto Cisco a lasciare la stazione SOL1 come un fuggiasco e viaggiare fino a Roma, sulla Terra, era il nome di un farmaco: “Psykron”, lo stesso che Edwin avrebbe dovuto assumere a causa del suo incidente. Lo stesso che, per qualche motivo, Cisco sente dannatamente familiare e che a quanto pare, nel caso della donna del fascicolo, è l’unica cosa in grado di tenerla ancorata alla realtà. Ma c’è anche qualcosa di più, un istinto quasi ancestrale che gratta sul fondo della sua mente, come se una parte di sé stesse combattendo per ricordare qualcosa dimenticato da tempo, qualcosa che sta sulla punta della lingua ma che nonostante tutto non riesce ad affiorare. Questa è la sensazione che lo ha spinto fin lì.

I passi sino alla stazione metropolitana sono lenti e appesantiti dalla forza di attrazione del pianeta, che dopo anni passati a vivere su una stazione spaziale con gravità artificiale, affannano Cisco in modo evidente. Salendo sul convoglio della linea suburbana, la asetticità a cui era abituato inizia a venir meno. Un odore deciso di sudore e umidità provocano una smorfia nel suo viso. Con attenzione si siede su una delle poltrone del convoglio e attende la partenza. Dopo circa quindici minuti la sua destinazione è raggiunta. Il Distretto N9 si trova alla periferia di nord di Roma. Uscendo dalla stazione metropolitana un forte odore di sporcizia e di smog lo rallentano stimolando una nausea olfattiva. Le polveri e gli odori di quel luogo lo fanno barcollare e di istinto il suo pensiero ordina allo HUD di iniettare una dose di antinausea. Un pizzico al collo precede di pochi istanti lo svanire della sgradevole sensazione.

In questa parte della città i filtri ambientali non funzionano oppure non sono sufficienti. La vita, in questi quartieri della città eterna, è caotica e malfamata. Molti mendicanti e altrettanti ubriaconi sono appoggiati alle mura degli edifici lungo le vie, agli incroci folti gruppi di ragazzi spacciano droghe e chissà cos’altro. Per Cisco è evidente che qua, il Governo Interplanetario, né vigila né amministra. Camminando su quelle vie malandate, il suo sguardo si sofferma su una donna con in braccio un bambino. Il ricordo dell’ultima volta che è stato nelle incontaminate campagne a est di Tallinn, a casa della sua famiglia, si presenta come una vecchia fotografia. Potrebbe essere il momento di tornare. Questo pensiero si tinge di disagio non appena finisce di essere pronunciato nella sua testa, macchiato dal doloroso ricordo della  sorella e dal distacco che quel terribile evento causò con la sua famiglia.

Cisco si riprende dai suoi torbidi ricordi quando lo HUD suona. Davanti a sé ha il portone d’entrata del palazzo dove abita Marsha Doria. Spalancato. Una delle ante è rotta e appoggiata sul muro interno dell’ingresso. Otto sporchi scalini precedono l’entrata. Li sale. Dentro l’aria è carica dell'odore della muffa e mentre si porta una mano davanti alla bocca e al naso il suo HUD lo avverte della presenza di spore potenzialmente allergeniche; Cisco impartisce l’ordine di iniettare dell’antistaminico. Un nuovo pizzico al collo, seguito questa volta da un leggero intorpidimento della pelle, conseguono al suo comando mnemonico. L’ingresso giunge a un ascensore e a delle scale. La fatiscenza del luogo, però, impedisce a Cisco di farne uso preferendo salire a piedi i sei piani che lo dividono dall’appartamento della donna. Ogni pianerottolo una carrellata di immagini riprovevoli lo colgono di volta in volta impreparato. A ogni scalino ripete dentro sé che il successivo sarà migliore, ma ogni volta la sua aspettativa viene delusa.

Sesto piano. Appartamento F. La porta è chiusa. Il rumore di un mediacon acceso proviene ovattato da oltre di essa. Cisco cerca il campanello, ma trova solo un buco nel muro riempito di carta. Con un notevole sforzo bussa alla porta che dopo qualche istante si apre. Dietro di essa c’è una donna, sconvolta, sudicia. Dall’interno esce un forte odore di sporcizia. La donna ha il viso macchiato da qualcosa, Cisco riconosce Marsha e sente di essere vicino alle risposte che cerca, anche se profondamente disgustato dalla situazione. Marsha sembra assente, sta immobile per circa un minuto e poi si dirige nuovamente verso l’interno dell’appartamento da cui è emersa, lasciando la porta aperta dietro sé. La luce del corridoio entra nella stanza semibuia; la donna è alla finestra come a spiare fuori nel vicolo. Dopo alcuni istanti si gira verso Cisco e lo invita a entrare con un gesto convulso della mano.

Il disgusto di Cisco per la sporcizia sale. Quel luogo è peggio di una discarica. Il corridoio prosegue sfociando in una sala grande, a destra una piccola cucina e a sinistra una porta socchiusa. Il mediacon al centro alla stanza, sopra un vecchio tavolo basso, riproduce un filmato per l’intrattenimento dei bambini. Ma bambini lì non ce ne sono. Alcuni giochi da infante sono sparsi a terra, mentre i resti di cibo avariato sparso per la stanza provocano un conato di vomito a Cisco, nonostante l’antinausea sia ancora in circolo nel suo sangue; inizia a dubitare della sua idea di andare in quel luogo. La donna è ancora paranoicamente vicino alla finestra con le lamine socchiuse che guarda verso il vicolo sottostante. Borbotta qualcosa, ripetendo frenetica quella frase.

«Pensavo fossi uno di loro, ma non sei come loro … Pensavo, no… no. Non lo sei, no, pensavo… » 

La ripete cinque o forse sei volte, sotto lo sguardo attonito di Cisco. All’improvviso Marsha si scosta dalla parete dirigendosi verso il piccolo tavolo sporco in mezzo alla stanza. Prende qualcosa dentro un blister e se lo inietta negli occhi. Altri istanti dopo inizia a guardarsi attorno stranita, annusa l’aria e si volta verso Cisco, disgustata. Muove gli occhi confusa, estraniata. Di nuovo parla, questa volta appare più naturale. 

«Chi sei?» fa una breve pausa e poi continua «Cosa ci fai in casa mia?»

«Mi chiamo Cisco, mi hai aperto la porta poco fa.»

«Oh sì, ti ho visto dalla finestra.» Marsha squadra Cisco mentre si avvicina al piccolo tavolo al centro della stanza. Su di esso, oltre al mediacon, c’è un piccolo coltello a scatto e Cisco intuisce l’intento della donna.

«Non sono qui per farti del male, voglio solo parlare.» Cisco fa una breve pausa poi riprende «È difficile da spiegare in poche parole, ma sappi che qualunque cosa tu abbia vissuto io ti credo.»

Marsha si ferma oramai quando ha tra le mani l’arma. La fissa e guarda il suo inatteso ospite con incertezza. «Nessuno mi ha mai creduto. Arrivi tu e vuoi farmi credere che lo farai, nonostante neppure ci conosciamo.» la donna continua a fissare Cisco, che adesso pare paralizzato. «Chi sei, davvero?» Incalza ancora Marsha.

«Mi chiamo Cisco Dereva e sono uno scienziato. Stavo lavorando a una nuova tecnologia di teletrasporto su SOL1 per conto del Governo Interplanetario, ma ieri è successo qualcosa che mi ha spinto a scendere sulla terra e a cercare te… Ho bisogno di risposte.» l’uomo cerca di far trasparire la sua sincerità, ma Marsha non appena sente nominare il Governatorato stringe il pugnale tra le mani e lo punta verso di lui, mentre il suo viso si contorce in un’espressione di rabbia.

«Ora mi ricordo di te; ti ho visto sul mediacon quasi dieci mesi fa. Stringevi la mano al Ministro delle Scienze durante l’inaugurazione di un nuovo dispositivo di morte.» Marsha riversa tutto il suo disprezzo nelle ultime parole. Ma ancora pare indecisa sul da farsi. Cisco questo lo vede.

«È vero, non posso di certo negare l’evidenza. Ma se dieci mesi fa avessi avuto i dubbi che mi attanagliano oggi, non sarei stato lì a stringere mani.» La voce di Cisco si rompe nell’ammettere il suo stato d’animo.

«Quali dubbi, scienziato?» Marsha si avvicina con in mano l’arma, pronta a usarla su Cisco.

«C’è stata un’anomalia ieri pomeriggio; il mio collega era in fase di trasporto. Non era il primo esperimento, già il teletrasporto a lungo raggio era stato testato. Era funzionante. Stavamo calibrando l’onda portante.» Cisco fa una pausa, Marsha adesso è così vicina a lui che ne sente l’acre odore. Lei lo guarda fisso negli occhi con i suoi sgranati e uno sguardo da omicida. Cisco vede però anche interesse per quello che stava raccontando e continua «C’è stata un interruzione di energia. La stazione, tutta quanta, si è spenta per un istante. Per un attimo ho avuto paura per il mio amico, ma il suo schema era ancora nel buffer di memoria e si è rimaterializzato pochi istanti dopo che la stazione ha ripreso energia.» Cisco fa una pausa, questa volta molto più lunga. La donna sembra voler sentire il resto della storia.

«Più tardi l’ho visto fare delle cose. Era come impazzito… Era come se volesse uscire dal suo stesso corpo. Stava dando di matto e blaterava frasi sconclusionate. Tutto quel caos ha fatto breccia nella mia curiosità e ho indagato fino nel deep-web, e qui scappa fuori il tuo nome.» Cisco si ferma e fissa la lama puntata sotto il suo collo, poi continua «Tra i due forse dovrei essere io a chiedere chi cazzo sei, per davvero.»

«Il tuo amico è morto.» La sentenza di Marsha pare ineluttabile. Eppure anche se Cisco sa che non è vero, sente che in qualche modo quella donna dice la verità. Cisco sta per replicare ma la donna continua. «Anomalia o meno, era già morto, dieci o forse cento volte. Anche tu sei morto. Anche io lo sono. Tutti in questo dannato mondo dimenticato da Dio sono morti. E il tuo bel Ministro lo sa… loro lo sanno e ce lo tengono nascosto.» La donna abbassa l’arma e si allontana da Cisco, mentre continua a blaterare. «Immagina se la gente capisse. Immagina se lo scoprissero oggi stesso.»

Cisco è interdetto. Le parole di Marsha gli suonano familiari nonostante possano apparire gemme di pura follia.

«Scienziato, sei venuto da me per cercare risposte che già avevi.» la donna guarda con disprezzo Cisco, che pare abbia visto un fantasma. Poi continua. «Cosa pensavi? Davvero sarebbero state sufficienti le rassicurazioni di una donna pazza per fugare i tuoi dubbi? Un uomo di scienza come te, con il tuo intelletto, con la tua esperienza, che crede ancora alla favoletta del Governatorato. Sai bene che tutta la nostra società è costruita su una dannata bugia. Lo hai sempre saputo.»

Era vero, Cisco non cercava risposte, quelle le aveva già. Cisco cercava qualcosa che potesse allontanare i suoi dubbi; una storia, abbastanza convincente, che avrebbe potuto raccontarsi ancora e ancora, così da continuare la sua esistenza in pace. Non ci era riuscito e mentre il suo mondo fatto di specchi e di riflessi distorti cadeva a pezzi rivelando la grande menzogna di una vita intera, qualcosa squillava minaccioso vicino a lui.

Il mediacon si era sintonizzato su un canale di emergenza. La proiezione raffigurava lo stemma del Governo Interplanetario. Una comunicazione governativa stava per essere trasmessa. Una voce inizia a parlare mentre il logo va in dissolvenza facendo apparire il Primo Ministro, Roben Ittokjìbai.

“Cari concittadini, sono il vostro Primo Ministro. Questa è una comunicazione ufficiale, prestate attenzione. Durante la notte scorsa lo scienziato Edwin Lucas è stato assassinato dal suo collega Cisco Dereva che adesso si trova qui, nella vostra città. Chiunque abbia visto il criminale assassino deve fare rapporto alle forze di polizia locali. Il soggetto è instabile e pericoloso, non intervenite.”

Mentre le parole del Primo Ministro echeggiavano nella stanza, Marsha rimaneva a bocca aperta fissando lo sguardo verso Cisco che incredulo stava per dare di matto. Lo aveva visto, Marsha, lo sguardo dello scienziato si era fatto folle all’improvviso, come quello di un terrestre che per la prima volta perde l’orizzonte. Lei sapeva cosa sarebbe successo da quel momento in poi e mentre una notifica di resa si proiettava nella retina oculare di Cisco, con un gesto improvviso la donna aveva strappato il suo innesto HUD da dietro l’orecchio sul quale era installato. Un fischio terribile aveva susseguito l’atto impulsivo della donna ma Cisco incredulo del mondo che gli cadeva addosso a malapena lo aveva percepito.

La realtà si flette su sé stessa ancora e ancora, come se mai fossi uscito da quella dannata stanza.