Capitolo Secondo
"Il vuoto è sazio. Rigonfio. Tronfio. Non attende, esiste. Si contende lo spazio con l’universo e vince. Brucia. Non si espande. Consuma."
La porta che si spalanca e il rumore dei passi destano Cisco dal suo shock. Agnese e tre infermieri entrano nel suo appartamento e in pochi istanti individuano chi ha più bisogno di assistenza. Edwin è sul divano, disteso di lato con una pozza di vomito sui cuscini e in terra. Alcune lievi ferite sul suo corpo autoinflitte fanno da campanello d’allarme per i soccorritori che prontamente lo legano alla barella. Agnese visita il ricercatore e gli somministra un tranquillante. Pochi minuti dopo manda via il paziente con gli infermieri e si dirige verso Cisco, adesso seduto da una parte con una coperta termica sulle spalle.
Sotto shock, Cisco, neppure si è reso conto che Agnese prima è corsa da lui e solo dopo qualche istante si è diretta verso l’amico disteso sul divano. Quando il tempo torna a scorrere Cisco inspira profondamente e con gli occhi sgranati si osserva intorno aspettando di destarsi di nuovo da un brutto incubo. Non accade. Il tempo e lo spazio ballano. Chi afferma che il vuoto è silenzio, mente.
«Cisco cosa senti?» Agnese cerca di destarlo dallo shock. Cisco guarda la medica, ma non la vede. Non è con lei. Sta viaggiando nella sua mente. Ho visto quel che ho visto. Non era un incubo, non era un’allucinazione. Sono sano e ho visto quel che ho visto. Devo tenermelo per me. Cisco torna alla realtà. Si desta come in apnea da un sonno profondo, gli gira la testa e per reggersi nel mondo stringe il braccio ad Agnese, come per non cadere.
Agnese sente la pressione della stretta ma non batte ciglio. La sua attenzione è tutta nell’amico. «Cisco ce la fai a dirmi cosa è successo?»
«Stavo… dormendo.» Cisco guarda nel vuoto; ha ripreso le redini della sua mente, ma non ha il coraggio di guardare l’amica negli occhi. «Ho sentito bussare e mi sono alzato. Edwin è entrato nella stanza sconvolto. Era già sporco.» Lo sguardo gli cade sul divano. «Ho provato a calmarlo, a fare una tisana. In quel momento visto che era sconvolto ho deciso di chiamarti. Ma mentre ero in cucina ha iniziato a ferirsi.» Questa volta Cisco si gira verso Agnese. «Poi sei arrivata tu e… è tutto un po’ confuso.»
«Parti da questa mattina Cisco, è importante. Più cose mi dici e meglio saprò cosa sta succedendo a Edwin» Agnese cerca lo sguardo di Cisco, i due si fissano in silenzio per alcuni istanti. Cisco distoglie lo sguardo, ricordandosi quello che ha pensato pochi minuti prima. Devo stare attento.
Dopo un attimo di esitazione Cisco inizia a raccontare ad Agnese la giornata: la sveglia, l’incontro con Edwin nel laboratorio, gli esperimenti, l’anomalia e il piccolo contrattempo che è avvenuto durante la giornata. Agnese ascolta interessata, senza interrompere l’amico.
«Tutto qui… pensi sia stata l’anomalia, Agnese?» alla fine Cisco si concede una domanda sincera. Agnese abbassa lo sguardo per un attimo. Era seduta vicino a lui. Si alza dalla sedia avvicinandosi al bollitore sui fornelli. L’odore di zenzero in quel punto è così forte da coprire la puzza di vomito della stanza accanto. La lunga pausa di Agnese spinge Cisco a pensare di avere ragione. Poi la donna si volta nuovamente verso di lui.
«Probabilmente è così.» Cisco fino all’ultimo aveva sperato in qualcosa di differente. Un esaurimento nervoso o un’altra situazione analoga. Tutto aveva sperato ma non quello. «Sai bene cosa può succedere quando viene bruscamente interrotto il flusso energetico di una sequenza di teletrasporto. Non ti dico nulla di nuovo, Cisco.» Agnese attende qualche istante, poi riprende. «Non ti preoccupare più di tanto però, Edwin è un uomo forte e robusto, vedrai che nel giro di pochi giorni, una volta iniziata la terapia riabilitativa, tornerà quello di prima.» La sua raccomandazione finisce con un sorriso sincero in volto. Cisco nonostante tutto ha visto qualcosa in più e nel suo, di volto, vi è il segno del tormento.
Agnese vede questo turbamento e incalza. «Cisco, non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. Edwin probabilmente dovrà prendere lo Psykron per il resto dei suoi giorni, ma il suo recupero sarà completo» Fa una pausa «Dieci anni fa questa medicina non esisteva ed è solo grazie alla ricerca di persone come me, te ed Edwin che è stato possibile sviluppare una terapia. E molte altre cose. Lavorare su una stazione spaziale, purtroppo, ha i suoi rischi. Questo è tra i meno gravi, se ci pensi.»
Il lungo monologo della giovane medica è stato ascoltato con attenzione da Cisco che alla fine ne conviene facendo cenno di assenso con la testa. Agnese si avvicina all’amico e gli prende una mano tra le sue. «Domani riposati. Ti terrò informato di come sta Edwin.»
I due si salutano. Cisco si volta verso il soggiorno devastato e inizia a pulire e sistemare. Dopo due ore il sonno torna prepotente e il letto lo rapisce nuovamente dalla realtà.
***
Devo respirare.
Edwin sgrana gli occhi. È immobile, bloccato sulla lettiga dai lacci della stessa. Un forte bruciore al viso gli ricorda cosa era successo. Ricorda la stanza di Cisco, Agnese e gli infermieri. Ricorda la corsa verso quel luogo così sicuro e ancora indietro, quando si trovava nella biosfera. Ricorda, adesso, quegli occhi. I suoi, riflessi nello specchio. Ricorda quello sguardo beffardo, quel viso giovane e quella sensazione di paura totale.
Non l’aveva capito fino a quel momento. Adesso che è sveglio, vigile e calmo, riesce a collegare gli indizi. L’Anomalia. Pensa tra sé. Adesso è sicuro che sia stata l’anomalia del pomeriggio la causa di quelle allucinazioni, ma il ricordo di quel giovane riflesso nello specchio lo attanaglia. Rivedermi così – pensa ancora – C’è ancora qualcosa di quella persona in me? Nelle ultime sillabe di questo pensiero il suo sguardo ruota e vede la stanza in cui si trova. Nuovamente l’ansia lo assale. È in sala di rianimazione, circondato da infermieri e c’è anche Agnese. Sono come congelati nello spazio e nel tempo. Lui soltanto è cosciente. Tutta la stanza, tutto, è fermo. In stasi.
Ma Edwin nota anche qualcos'altro. Stavano facendo qualcosa di frenetico e di importante. Per un attimo è come se sentisse le loro voci, poi il silenzio. Lui è al centro, è il solo che si trova lì. Qualcosa di grave gli stava accadendo. Adesso lo sa. Ma perché? Si chiede. Perché adesso sto vivendo tutto questo? Sono forse morto? È forse questa l’essenza della morte? Finisce così quindi la vita. È forse l’esistenza stessa in cui viviamo a venire meno. Forse… no, non è possibile.
I suoi pensieri turbinano, alzando una sottile coltre di polvere nella sua ragione. Le idee si confondono e le certezze vacillano. Ma quando si sente sull’orlo di impazzire qualcosa esce dalle sue membra. Prepotente. Una forza immensa lo svuota di tutte le sue energie e di fronte a sé, in piedi c’è la sua nemesi. Sé stesso. L’ombra del mio riflesso.
L’altro Edwin si desta anch'egli da un sonno profondo. Per un attimo ansima privato dell’ossigeno. Si appoggia alla lettiga, toccando la sua copia. Quasi con i conati di vomito alza lo sguardo vermiglio di dolore e ira. I due Edwin si guardano, uno disteso e legato sulla lettiga, segnato dal tempo e l’altro che si alza, forte e giovane. Gli occhi neri come il petrolio, la carnagione olivastra e il portamento sicuro. Negli occhi del Giovane Edwin c’è disprezzo e odio. In quelli del più vecchio, angoscia e terrore.
Nella mente del giovane Edwin un pensiero lo tiene ancorato alla realtà. Sa di essere di fronte a sé stesso e sa che quella è la sua unica possibilità di dominare quel corpo decrepito. L’unica cosa che lo tiene confinato nelle profondità del subconscio è l’altro. L’anziano. Il Padre.
“Sei come lui.” Il giovane Edwin parla, ma il suono non esce dalla sua bocca, rimbombando invece dentro la mente del vecchio Edwin. “Sei uguale. Hai il medesimo odore. Il medesimo sguardo.” Il giovane si sofferma un attimo, poi prosegue. “Il tuo tempo è giunto, vecchio. Non hai la forza per mandarmi indietro. Questo corpo mi appartiene, è mio di diritto.”
Il vecchio Edwin si dimena, deve farlo. Deve combattere contro quello sciocco. Deve tentare di scacciarlo, metterlo a tacere, sbattere quella parte di sé nel buco più profondo del suo subconscio. I legacci lo tengono saldamente alla lettiga. Non gli consentono di muoversi. il vecchio Edwin si dimena invano. È inerme. Non riesce a pensare ad altro che a suo padre, in quel momento, a quanto lo odiava da giovane, a quanto non capiva il mondo e il destino. Adesso vedeva sé stesso avvicinarsi, pronto a mettere la parola fine alla sua storia.
Il giovane Edwin non trovò resistenza degna di nota. Le sue mani si cinsero intorno al collo del vecchio fino a soffocarlo. Quando i suoi occhi si spensero, la realtà intorno riprese a girare normalmente e un fischio piatto riempì i suoi timpani. Non il suono del proprio corpo bensì qualcosa di alieno, di esterno. Qualcosa di pericoloso.
Il corpo è fermo sulla lettiga. Il sensore lamenta un arresto cardiaco. Il ricercatore è un sacco di carne vuota. Le attività cerebrali sono assenti, il cuore si è fermato ormai per più di un istante. I medici corrono contro il tempo per riportare indietro Edwin. Ma tutto è perduto. Alcuni istanti dopo le macchine vengono zittite. Agnese è incredula e turbata. Il suo vice segna l’ora del decesso. Quando anche l’ultimo sensore si disattiva, nella sala di rianimazione c’è soltanto Agnese, in lacrime e il corpo di Edwin.
***
Dove sono? Fa freddo. Sono nell’oscurità. È densa. Lattiginosa. Non sento il mio respiro. Ho perso. Cos’è questo posto?
Una luce si accende nell’oscurità. Debole. Intermittente. Una sfera di bianco candore fluttua sopra un profondo e nero lago ghiacciato. Il rumore dell’acqua che scorre in profondità preme sulle spalle del pavido visitatore. La sfera di luce è più vicina. Qualcuno vi è nei pressi. Una figura ammantata in una cappa cremisi viene debolmente illuminata dalla luce bianca, ma soltanto le pieghe dei drappi sono visibili, dentro la cappa soltanto l’oscurità. Una voce greve, profonda e calma, rimbomba in ogni direzione.
L’attesa è giunta al suo termine, finalmente. Non sei il primo a visitare l’oblio. Ma sarai l’ultimo.
Un profondo sospiro interrompe il silenzio nella stanza. Edwin sgrana gli occhi e si alza di scatto dalla lettiga gridando a squarcia gola, lasciando Agnese pietrificata dalla paura.