L'albero di Natale Onnigrafo Magazine

L'albero di Natale

Cracovia a metà novembre era già nel pieno dell'inverno. Le nevicate erano già state abbondanti e ripulendo cercando di lasciare spazio sulle strade alle carrozze, avevano riempito i bordi dei marciapiedi.

Alle cinque del pomeriggio passavano ad accendere i lampioni che avrebbero illuminato la città fino all'alba del mattino seguente. Verso l'ora di cena le finestre brillavano di un giallo bagliore, e lungo i viali della città c’era come la sensazione che degli enormi giganti con mille occhi si svegliassero per fare la guardia.

Magdalena accendeva lei stessa le luci della sua casa, una casa fin troppo grande per lei e per i suoi bambini, elegante e signorile nel cuore della sua città. Suo marito, Viktor, era venuto a mancare due anni prima, vittima di un naufragio durante un viaggio di lavoro. Magdalena era rimasta con i suoi due bambini e una cospicua fortuna in banca, per potersi mantenere dignitosamente, ma da quando era rimasta vedova, l'aveva assalita il terrore di diventare povera e aveva modificato tutte le abitudini di quella casa. Anna e Jacob avevano undici e tredici anni quando rimasero orfani, gli era stato immediatamente tolto il precettore che li aveva istruiti fin dalla più tenera età, ed erano stati mandati alla scuola pubblica. Indossavano dal lunedì al venerdì gli stessi abiti, perché crescendo i vecchi, che non erano affatto logori data la quantità assurda di cambi nel loro guardaroba, erano stati sostituiti da pochi indumenti a poco prezzo e di grossolana fattura. Appena rincasavano avevano l'obbligo di cambiarsi e indossare dei pigiami per casa. Anna avrebbe voluto continuare a portare i capelli sciolti con dei larghi boccoli, come aveva sempre fatto, mentre ora li teneva sempre legati in due strette trecce. Niente più lezioni di balletto, niente lezioni di pianoforte, lo strumento rimaneva muto ormai da anni. Jacob non poteva fare nulla di quello che faceva prima, niente equitazione, niente violino, niente pittura.

Tutto ciò che aveva un costo era stato eliminato. Dapprima la famiglia di Magdalena credeva fosse un modo di osservare il lutto per il marito, poi però divenne un modo di vivere, un modo di vivere assurdo, per il loro ceto sociale e nonostante le preoccupazioni dei nonni, Magdalena continuava a fare economia su tutto, ignorando qualunque commento.

Magdalena aveva licenziato tutta la servitù. Lavava lei stessa le lenzuola, certo non con la stessa cadenza di prima. Aveva arrotolato i tappeti perché non si rovinassero con la polvere e la luce, aveva staccato le tende di velluto e le aveva riposte in un enorme baule. Gli oggetti più preziosi erano stati venduti e il denaro guadagnato depositato in banca, dove il conto cresceva, anziché diminuire.

Cucinava enormi pentoloni di zuppa di cavolo e la carne la faceva mangiare ai bambini solo la domenica, mentre prima erano abituati ad ogni prelibatezza in tavola.

Non comprava vino e nemmeno frutta, non comprava dolci, semmai preparava qualcosa lei nel forno di casa, mettendo poche cose nell'impasto, qualche noce, qualche chicco di uva passa.

A metà novembre la gente a Cracovia passava per le strade portandosi dietro piccoli abeti da addobbare. Anna non faceva l'albero da quando era morto suo padre. Non era una tradizione per sua madre, ma i bambini erano cresciuti con un papà aperto a tutte le culture, che amava fare festa, che adorava tutto ciò che brillava e portava allegria.

Con la mamma si aprivano regali per dieci giorni a casa dei nonni, con il papà si faceva festa e si aprivano doni per altri dieci giorni. Non importava chi o come si chiamasse la festa. Hanukà o Natale era gioia, allegria e carta da strappare, e giochi, libri, colori, nastri per capelli.

Il padre amorevole ormai però non c'era più. E Magdalena non voleva nemmeno più festeggiare la sua Hanukà con la famiglia, la riteneva uno spreco indecente. Avrebbe poi preso i regali dei suoi figli e li avrebbe rivenduti per portare denaro in banca. I bambini restavano in silenzio, chiusi nelle loro stanze, intristiti per quella miseria imposta.

Di ritorno da scuola, un giorno in cui la sola idea di dover mandare giù l'ennesimo piatto di zuppa di cavolo gli faceva rivoltare lo stomaco, Jacob cambiò strada, prese sua sorella per mano e se la trascinò dietro. Il cappotto di Anna era troppo leggero e la ragazzina sborbottava per il freddo, allora il fratello si mise a correre, così anche lei sarebbe stata costretta a stargli dietro e avrebbe smesso di tremare. Arrivarono al deposito degli abeti e restarono lì a guardare, c'era gente che andava e veniva, e dopo una breve trattativa si portavano via un albero. "Anche quest'anno non avremo il nostro albero Jacob". Anna era dispiaciuta, di quel tipo di dispiacere che confina nell'accettazione misera degli eventi, ma Jacob no, Jacob voleva un po' di normalità per sé stesso e per sua sorella, perché ancora era piccola e la notte la sentiva piangere dalla sua stanza. "Quest'anno l'albero lo facciamo Anna, sta tranquilla, troveremo un modo".

Ma soldi non ne avevano, il gestore del deposito fu chiaro, non aveva da regalare alberi, erano tutti troppo grandi e belli, ma gli propose di lavorare per loro, fino all'ultimo giorno di vendita.

Gli alberi andavano addobbati entro il 6 di dicembre, giorno di San Nicola, i bambini avevano lavorato sodo ogni pomeriggio un paio d'ore fino a quel giorno, Anna aveva ripulito il pavimento del deposito da tutti gli aghi di pino, Jacob aveva spostato centinaia di alberi, e alla madre avevano raccontato di dover restare a scuola anche nel pomeriggio per delle lezioni supplementari, Magdalena non avrebbe certo consumato la suola delle sue scarpe per andare a verificare, e poi non dover fare da mangiare per tre era un sollievo. I bambini restarono qualche giorno senza pranzo, poi al deposito ricevettero ogni giorno un panino caldo con il lardo, come gli altri dipendenti. Sapevano tutti chi erano quei due bambini, e sapevano anche che dalla morte del padre erano caduti in disgrazia, solo il direttore della banca conosceva gli zeri del loro conto.

L'ultimo giorno di lavoro ai ragazzi venne regalato un albero, non era di certo il più grande, ma neanche il più malconcio, il vecchio del deposito aiutò Jacob a legare la corda all'albero per trascinarlo meglio e ad Anna regalò un dolce pieno di canditi e frutta secca. Avevano delle gemme al posto degli occhi per l'emozione. Avevano un albero da addobbare, perfino un dolce. Erano felici.

Rientrarono in casa rumorosamente come non facevano da tempo, Anna portò in trionfo il dolce da sua madre mentre Jacob corse in cantina per prendere la scatola delle decorazioni. Anna raccontò alla madre del lavoro, della fatica, della gioia di avere un albero, saltellava contenta davanti alla madre in poltrona, che la ascoltava attonita con il ricamo posato sulle gambe, fino a che la sua gioia si interruppe con un sonoro schiaffo.

"Avete lavorato senza farvi pagare per giorni! Per un albero! Un dannatissimo albero!"

Anna era dispiaciuta ma non riusciva a capire il perché di quella rabbia.

"Allora potete smettere di andare a scuola! Ingrati! Andrete a lavorare e porterete i soldi a casa, non un albero!"

Urlava da farsi gonfiare la vena sul collo, era sconvolta dalla rabbia e nel suo inveire contro la bambina iniziò a colpirla selvaggiamente. "Io muoio di fame per voi e voi lavorate per un albero?"

Jacob arrivò per togliere la sorella da sotto le mani della madre, senza dire una parola. La trascinò via mentre piangeva mortificata e le diede tra le braccia la scatola degli addobbi, mentre dal salotto la madre ancora urlava.

Jacob portò l'albero nel vecchio studio del padre, Anna dietro di lui singhiozzava con la faccia livida. Il ragazzo le fece segno di chiudere la porta, a chiave.

Addobbarono l'albero con il magone in gola, guardandosi attorno tra le cose del loro papà, mai come in quel momento ne sentivano la mancanza. Nella scatola degli addobbi mancava però la stella per la punta, veniva riposta in un cassetto, proprio in quella stanza, perché era troppo delicata per una scatola che veniva sballottata.

Jacob iniziò ad aprire i cassetti per trovarla, ma invece di trovare una stella trovò un plico di fogli in una custodia di pelle: i conti della banca. Oltre al conto esistente prima della morte del padre si erano aggiunti denari su denari, una enorme cifra era solo dell'assicurazione per la morte del padre, rendite mensili per gli affitti di immobili, vendite di terreni, azioni, quote dell'azienda del padre. Una vera fortuna.

Jacob spiegò con parole semplici la situazione ad Anna e la bambina rispose con un semplice "ma perché allora è così cattiva? Perché dobbiamo vivere come se fossimo poveri?".

Jacob trovò la stella: "dai mettila tu, poi riordina tutto, io ho da fare una cosa."

Il ragazzo andò in cucina e scelse con cura il coltello più grande, lo affilò alla pietra sul bancone per almeno cinque minuti, poi andò da sua madre in salotto.

Anna arrivò pochi minuti dopo e gridò alla vista di quello che aveva davanti.

"Cosa hai fatto? Perché? E tutto questo sangue?"

Jacob rimase impassibile e rispose con prontezza: "È rosso, fa Natale."

A tredici anni non sei un uomo, sei ancora un bambino, ma a tredici anni puoi improvvisamente crescere, a causa di un dolore, di una sofferenza, di una forte ingiustizia. Quel ragazzino fino a qualche anno prima probabilmente non sarebbe stato capace nemmeno di allacciarsi le scarpe da solo, tanto era viziato e coccolato. Ma allora perché tanta cattiveria nei suoi confronti? Perché quell’assurdo accanimento verso il denaro e tutte le privazioni a cui era costretto a sottostare? Ma la cosa che più lo faceva andare fuori di testa era vedere sua sorella spegnersi giorno dopo giorno, vederle tolte dalle mani le sue cose di bambina per accumulare denaro, per soddisfare non sapeva nemmeno lui quale assurda paura. Sua sorella era stata sempre una bambina bellissima, con tutti quei nastri e merletti sui suoi abiti, era bella lo stesso, ma la vedeva troppo diversa da come l’aveva vista sempre, come se la ricordava seduta accanto a suo padre, sorridente e serena. Sceso in cantina scavò una profonda buca, ad ogni vangata pensava a quante cose avrebbe finalmente potuto riavere, a quanto si sentiva tradito e ferito nell’animo, a quanto misera era diventata sua madre. In salotto stese uno dei tappeti che la madre non aveva ancora venduto e arrotolò il suo corpo per meglio trascinarlo in cantina, lì la coprì con cenere del camino e calce viva. Fece un lavoro impeccabile. Poi si lavò e si vestì per andare a denunciare la scomparsa di sua madre. La sorella lo aveva aiutato senza dire nulla, senza nemmeno riuscire a piangere. Disse solo: “mamma è uscita e non so dove sia andata.”

"Questa sera mangiamo dai nonni Anna, vestiti, e da domani ricominciamo a vivere."

E così fu.