Il futuro è adesso Onnigrafo Magazine

Il futuro è adesso

Appeso sopra la porta, l'enorme Gesù in gesso dorato mette soggezione, se non paura, quando ogni notte viene illuminato dalla luce fioca della plafoniera, applicata nel piccolo spazio tra lui e lo stipite.

     Stefano ha otto anni ancora da compiere e si trova inginocchiato ai piedi del letto, avvolto dal buio della sua cameretta. Prega rivolto al crocifisso senza nemmeno guardarlo. Sembrerebbe una specie di timore reverenziale, ma in realtà non presta attenzione a nessuna delle cose che lo circondano. È concentrato e tiene i gomiti appoggiati sul letto, mentre le mani sono strette in una supplica così fervente da essersi gonfiate e arrossate. Lo si capisce bene anche dal mento appoggiato al petto e dagli occhi, strizzati fin quasi sentire dolore.  

     È sempre stato un bambino schivo e silenzioso, Stefano, succube di un padre rimasto più solo di lui e di quasi tutti i compagni di scuola. 

     “Caro Dio. Non ti ho mai chiesto nulla perché so che hai cose più importanti da fare, ma... se mi fai rinascere, voglio diventare una bambina. Ti prego. Così non riesco più ad andare avanti”, sussurra.

     La porta si apre, entra una forte luce che lo illumina mentre si infila veloce sotto le coperte, come se non volesse farsi scoprire dopo aver fatto qualcosa di sbagliato. Il padre si avvicina come un gigante minaccioso ma, dopo avergli rimboccato le coperte, lo guarda più sconsolato che severo.

     “Ste', dormi che è tardi, dai. E butta quel peluche” esclama, strappandoglielo dalle mani. “Sei un ometto, non una femminuccia.”


     In quello stesso momento, all'altro lato del quartiere, Giorgio è seduto sul suo, di letto, con la schiena appoggiata alla spalliera. Lui e Stefano hanno in comune gli anni e la scuola, anzi, proprio la classe.

     Con un'espressione burbera e corrucciata sta cercando di dire qualcosa a quel Dio in cui non ha mai creduto per davvero, nonostante con i suoi vada in chiesa ogni domenica. Non abbassa la testa in segno di rispetto, né chiude gli occhi o tiene le mani unite in preghiera, anzi, osserva il soffitto in segno di sfida. 

     “Non so se esisti per davvero, ma se mi senti te lo dico: vorrei che tu non mi avessi mai fatto nascere, perché lo odio con tutte le mie forze. A volte vorrei ucciderlo con la pistola di papà, anche se non so perché.”

     Poi china il capo. 

     “Anzi, lo so: parla e si muove come una femmina, eppure la sua mamma gli vuole bene lo stesso. Quando lo lascia a scuola lo abbraccia sempre, lo accarezza, lo bacia…”

     Un singhiozzo lo interrompe e gli toglie il respiro. I suoi lineamenti ruvidi si fanno quasi dolci e, al contrario di Stefano, perde una lacrima prima di riuscire a proseguire con la voce rotta dall'emozione. 

     Da tanto tempo aspetta con tutto il cuore che la porta della sua stanza si apra almeno una volta, una sola, prima che si addormenti. Per un bacio o una carezza; per vedere come si sta dopo che vengono rimboccate le coperte; per riuscire finalmente a dormire, sicuro e in pace.

     “Ti prego, non farmi svegliare, domani. Non farmi svegliare mai, perché non voglio più picchiarlo. Voglio soltanto che mi trattino bene come fa la sua mamma con lui. O nascere al posto di Iarno e vivere nella sua cuccia, così che mamma e papà accarezzino anche me, quando tornano a casa.”


     Appena la porta della sua stanza si richiude, Stefano scrolla via ogni timore e sofferenza, asciuga le lacrime e apre la finestra. Si volta verso il crocifisso facendo il segno della croce e, colto da una inspiegabile serenità, sale sul davanzale: “Adesso ti faccio vedere che volo in cielo da te, Dio” dice con sicurezza. Allarga le braccia come fossero ali. Socchiude gli occhi e sorride di una felicità piena e sincera, lasciandosi andare.


     Giorgio invece conosce perfettamente dove papà nasconde la pistola, e non deve nemmeno fare silenzio o lasciare le luci spente perché tanto è solo, come sempre.

     Mentre la impugna con entrambe le mani, Jarno in cortile abbaia come non aveva mai fatto prima; non per attaccare, ma di una disperazione che lo fa balzare più volte contro la porta finestra chiusa. Poi il colpo esplode all'improvviso, insieme a un lampo che illumina a giorno la cucina, e il cane fugge con un guaito nella sua cuccia. 


     Stefano e Giorgio non sono andati a scuola, il giorno dopo. Il loro futuro avrebbe potuto e dovuto essere diverso, ma forse, finalmente, adesso giocano insieme senza dover dimostrare nulla a nessuno, senza dover supplicare.