Scherzetto Onnigrafo Magazine

Scherzetto

Mignolo e Pollo avevano 6 e 8 anni ed erano fratelli. Vivevano in una casa qualunque al centro di una città che potrebbe anche essere la tua. Nelle festività invece i giorni scivolavano veloci nella loro casa di campagna. Durante questi periodi i due bambini diventavano coraggiosi esploratori; soprattutto nel periodo autunnale, quando facevano scrocchiare le foglie secche del sottobosco sotto i loro piedi. Le notti però, per loro erano quasi sempre tenebrose.

Tutto aveva inizio dopo cena, nella loro cameretta, quando mamma e papà li baciavano in fronte, rimboccavano loro le coperte e, dopo la buona notte, spegnevano la luce: lunghi silenzi interrotti da rumori improvvisi, poi urla e stridori mai ascoltati in città che invadevano il buio, e infine le ombre appena accennate da luna e stelle che si distorcevano dietro la finestra.

Pollo, in qualità di fratello maggiore, cercava sempre di deglutire il terrore per apparire impavido; Mignolo invece se ne fregava di tutto, tremava con la faccia nascosta sotto il cuscino e, senza crederci troppo, ascoltava suo fratello mentre cercava di rincuorarlo con parole e carezze che attraversavano il piumone: «I fantasmi sono lontani e nascosti, non aver paura. Te lo assicuro, io non ne ho mai visti di malvagi. I cattivi veri sono vivi.»

Mignolo si ricopriva con le coperte: gli sembravano di certo più rassicuranti di quelle parole.

All’improvviso una voce sgusciò dal buco della serratura: aveva lo stesso tono da brividi di una forchetta che striscia sul ferro: «Non aver paura. Voglio soltanto abbracciarti una volta, poi ti lascerò in pace per sempre.»

«Hai sentito?» lo esortò entusiasta suo fratello. «Ti accompagno io a vederlo. Dopo scomparirà per sempre.»

«Ho paura.»

Ma ormai Pollo si era lasciato prendere dall’entusiasmo: «Ti tengo la mano e vado avanti io. Sarà come quella volta con il cane nero che ti terrorizzava e alla fine voleva solo leccarti. Dai, andiamo». Scostò la trapunta e gli prese la mano: la sentì fredda e per un istante esitò. Poi si guardarono complici, come facevano sempre prima di ogni marachella. Mignolo acquistò quel poco di fiducia e lo seguì fino alla porta del seminterrato.

Quando il fratello la aprì, il cigolio dei cardini lo fece rabbrividire e si nascose a riccio dietro di lui. L’oscurità del vano vuoto ingoiava i pioli in legno di una scala levigata dal tempo, e una lampadina spenta dondolava impiccata al filo elettrico. Pollo tirò la cordicella e il nero fu invaso una luce evanescente che fece diventare quel posto ancora più spettrale.

Dopo i primi tre scalini la porta si richiuse dietro i due con un baccano dell’accidenti e Mignolo si aggrappò letteralmente al pigiama del fratello. Sentì una mano accarezzare i capelli e un poco si rincuorò.

«Cammina tranquillo dietro di me. Sai che ti voglio bene e non ti farei mai niente di male.»

Scesero altri gradini scricchiolanti e sparirono inglobati da una fitta nebbia lucente che non faceva più paura.

Il mattino seguente quella stessa scala quasi gemette sotto il peso dei passi agitati di mamma e papà che, non trovandoli in camera, varcarono la stessa soglia con la speranza di trovarli lì.

Videro Pollo raggomitolato in un angolo: si era fatto la pipì addosso, piangeva e tremava. Teneva stretta una felpa rossa e le parole che provava a liberare venivano strozzate dai singhiozzi. La luce del giorno filtrava tra le grate di una finestrella sopra lui e aveva creato un’ombra oscillante che lo serrava nel suo terrore.

Lo tenne prigioniero per molto tempo, anche quando erano ormai passati quasi due mesi: aggrovigliato tra lenzuola bagnate e un dolore che non voleva lasciarlo libero. La sua bocca vomitava una cantilena ossessiva: «Mamma, papà, scusatemi! Non sono riuscito a tirare giù Mignolo! Non ce l'ho fatta!»

L'infermiera guardò costernata il dottore al suo fianco, incontrando anche nei suoi occhi un magone incontrollabile. La sofferenza di quel ragazzino era straziante e arrugginita come la catena che suo fratello si era legato al collo per fuggire disperato da un innocente scherzo fatto per impaurirlo. Un suo scherzo.