Libreria "Gli Autentici" Onnigrafo Magazine

Libreria "Gli Autentici"

Voleva disperatamente un lavoro. Era stanco della sua esistenza, di una vita di stenti, di barcollare in giro per la città dentro ad un abito logoro, strappato, sporco.

Era stanco di essere smagrito sotto quella veste e impaurito dall’incertezza di non superare la notte, figurarsi l’inverno, figurarsi tutto il resto. Doveva smetterla di vivere sotto un cartone, coperto da un giornale che sarebbe potuto volare via all’improvviso, sollevato e trascinato da una brezza notturna pronta ad insinuarsi sotto la veste per accarezzargli la pelle prima di scavarla, trapanarla, fino ad arrivare alle ossa, nel midollo, nell’anima.

Spesso si svegliava, non ce la faceva più, rimaneva a contemplare un mondo che si era lasciato alle spalle. Lui si era lasciato andare ed ora voleva tornare a galla, in superficie, aggrappandosi ad un salvagente lanciatogli in mare aperto.

Ma il salvagente non si tira da solo, e troppo tardi aveva capito che era stanco di aspettare qualcuno che non sarebbe mai arrivato. Né l’avrebbe salvato. Doveva scuotersi, destarsi, ma da dove cominciare?

Mendicava in giro per la città raccogliendo pochi spiccioli al giorno, a differenza delle occhiate di ribrezzo che erano sempre abbondanti, se quelle fossero state monete a quest’ora sarebbe stato un pascià, un signore, un nobile altolocato. Invece si usa il denaro e di quello ne era un bel po’ sprovvisto.

Andò porta a porta in ogni negozio, ristorante, attività che richiedessero nuovo personale. Entrava dentro, si presentava, allungava la mano sporca e callosa, ma raramente qualcuno gliela stringeva. Tutti avevano sempre addosso quella faccia, quell’espressione in bilico fra il ribrezzo e lo spavento. Lo guardavano come a dirgli: “Santo cielo, esca di qui! Non è assolutamente una bella pubblicità per la mia attività.”

Qualcuno non si limitò al tacito disprezzo, glielo dissero in faccia, lo allontanarono, lo cacciarono senza neanche sentire cosa volesse, se si sentisse male, se fosse in pericolo, se voleva una mano per tirare avanti.

Si rese conto di essere impresentabile, assolutamente consumato dal tempo, trascurato da una vita di strada. Aveva l’asfalto in faccia, e sui capelli il fumo dei tubi di scappamento. Eppure non ci pensava, erano anni che non lo faceva, e perché farlo ora? A cosa serve essere in ordine quando sei costretto a dormire sulle panchine? Nei giochi per i bambini dei parchi pubblici, come se fosse un mostro che aspetta la sua preda dentro a quei cunicoli di plastica, nel buio, nel punto più profondo e nero da somigliare all’anticamera di un altro mondo?

Quel mostro però era un disperato, con una barba tanto lunga da finirgli quasi negli occhi, come rovi di rose, come se non desiderasse vedere più.

Erano anni che non si specchiava davvero passando di fronte alle vetrine illuminate dei negozi. Spesso lo faceva con distaccato interesse, come se quello che vedeva nel riflesso non fosse lui, ma uno che sarebbe sparito insieme alla fine del vetro, come un miraggio pessimista, specchio di una pessima vita. Lui non era così vecchio, sporco, rinnegato e dimenticato. Lui stava meglio di così, era vivo giusto? Ma serviva a qualcosa esserlo? Quella vita lo stava portando alla deriva, era in una nave in balia delle onde, era giunto il momento di prendere il controllo. Di spiegare le vele.

Ma come fare, da chi andare? Chi era pronto ad accoglierlo?

E quella? Quella cos’era? C’era sempre stata?

No, sì, aspetta, non ne era sicuro, ma forse…

Non lo sapeva davvero. Rimase a guardare la vetrina illuminata dalla luce gialla canarino. Quel negozio aveva l’aria di essere vecchio, storico, a conduzione familiare e allora perché non se lo ricordava, non ne aveva memoria?

Era in strada da dieci anni, era certo di aver visto tutto, di aver contato ogni sampietrino a Piazza Tacito, di aver sbirciato all’interno di ogni negozio ternano, eppure quella libreria gli era del tutto nuova.

Sembrava essere sbucata fuori per lui soltanto, che fosse una fantasia, preludio di un brutto male che aveva appena iniziato a mangiargli il cervello? Doveva togliersi il dubbio, doveva chiedere a qualcuno altrimenti si sarebbe messo ad urlare in pieno giorno, in mezzo alla gente, e l’avrebbero portato via dentro ad una volante.

Si girò e vide sopraggiungere una coppietta mano nella mano. Se la tenevano ben stretta e alternandosi buttavano uno sguardo sul groviglio creato dalle reciproche dita. Erano giovani, poco più grandi di due bambini, probabilmente follemente innamorati e ancora increduli di essere in giro da soli in reciproca compagnia.

Cercando di sfoggiare il miglior sorriso del mondo gli andò incontro. Si fermò a debita distanza, così da non spaventarli: “Scusatemi per il disturbo ragazzi, ma quella libreria da quanto è aperta?” Parlò cercando di scandire bene le parole, ma la lingua trovò lo stesso il modo di passare fra i denti mancanti.

Li vide irrigidirsi come corde di violino e la stretta alle mani farsi così salda da sbiancargli le nocche. Ora si stavano spostando di lato come una mezza luna intorno all’uomo, come se fosse un pianeta dall’orbita ripugnante. Somigliavano a dei granchi, quei due ragazzetti, che non vedevano l’ora di rintanarsi sotto a qualche scoglio.

“Eh… eh non lo so, ma io me la ricordo da sempre.” Riuscì a bisbigliare il ragazzetto aumentando il passo.

“Anch… anche io.” Aggiunse la ragazzina accogliendo di buon grado il suggerimento di sbrigarsi e passare oltre.

Da sempre? Ma come da sempre?Si ripeteva lui cercando di riordinare le idee. Quei due dovevano essersi sbagliati e di parecchio anche. Erano troppo piccoli per sapere da quando quella maledetta libreria era sbucata fuori.

Non ha senso niente!

Non c’era! Non c’è mai stata!

Doveva chiedere a qualcun altro, qualcuno di adulto, con esperienza.

Lo vide arrivare da una via laterale, era un signorotto basso e tarchiato con il mozzicone di un sigaro stretto tra i denti e con un cappello di lana in testa.

Non gliene importò nulla di andarci piano, quasi corse verso quell’ometto intento a fissarsi le scarpe tirate a lucido.

“Mi scusi signore!” Fece sfiorandogli il soprabito color nocciola. L’altro alzò gli occhi e nel trovarselo davanti non riuscì a trattenersi dall’indietreggiare con un potente sobbalzo.

“Ma santo cielo, mi ha spaventato!” Replicò stizzito l’ometto.

“Mi perdoni, ha perfettamente ragione, ma ho un dubbio da chiarire.”

“Se posso.” Fece lui guardandolo in faccia. “Chieda pure.”

“Quella libreria lì da quanto tempo è aperta?”

L’altro lo fissò senza nascondere sbigottimento. Si sfilò il sigaro dalla bocca e prese ad indicare la vetrina illuminata.

“Quella?” Domandò.

“Sì.”

“Bhe precisamente non lo so. Ma saranno almeno sessanta o settant’anni. È stata la prima libreria ad aprire a Terni.”

“Non… non può essere.” Bisbigliò l’uomo.

“Arrivederci.” Fece l’altro scivolandogli di fianco ed emanando un intenso odore di dopobarba mischiato a quello del sigaro da poco acceso.

“È sempre stata lì?”

“Esattamente nel punto in cui la vede.” Concluse l’altro senza voltarsi indietro. Si limitò a spalancare le braccia come a dire: “Poveraccio, sarà già ubriaco di primo pomeriggio, forse non smette mai di esserlo.”

Lui però non toccava alcol da sei anni, eppure non era mai stato abbastanza lucido da vederla.

Libreria gli Autentici.Diceva la targa affissa sopra all’entrata.

Poi guardò meglio ed eccola l’ennesima stranezza, forse la più grande di tutte, eppure quel messaggio attaccato al vetro sembrava fatto apposta per lui.

Non c’era neanche quello.Provò a dire a se stesso, ma quella volta riuscì a bloccarsi prima di farsi altre domande. Era solo stanco. Chi vive in strada non guarda mai davanti, si ha sempre lo sguardo puntato sul cemento, quante volte ci si accorge di un particolare alla centesima occhiata?

Adesso era il cartello ad incuriosirlo: Cercasi aiutante per mansioni varie, non con esperienza, ma con vissuto. Diceva con grosse lettere in stampatello.

Vissuto? Si chiedeva.

Si avvicinò senza rendersene conto, come se quella vetrina lo stesse risucchiando a sé, come l’acqua che abbandona una vasca da bagno.

In un attimo fu dentro, all’interno di una libreria anziana, ma perfettamente in ordine, custodita gelosamente dai suoi proprietari, tramandata, sistemata senza lasciare niente al caso.

C’era una signora dietro alla cassa che non alzò neanche per un secondo la testa dal libro che aveva sotto al muso. Non lo seguì con lo sguardo, non lo esaminò. Lui girò un po’ fra gli scaffali, ma la voglia di chiedere spiegazioni in merito a quel bizzarro cartello divenne d’improvviso irrefrenabile.

“Mi perdoni signora, ma non ho ben capito il cartello sul vetro.” Chiese lui stropicciandosi le mani.

“Cerchiamo qualche disgraziato che abbia voglia di lavorare. Io e mio marito non ce la facciamo più da soli.” Fece lei senza guardarlo, continuava a far andare gli occhi da destra a sinistra delle pagine.

“C’è scritto che cercate qualcuno con vissuto.”

“Bravo, è proprio così. Dell’esperienza lavorativa me ne sbatto. I libri raccontano storie, io e mio marito vogliamo assumere qualcuno con una storia. L’esperienza la si fa, il vissuto è più difficile.” Fece lei girando la pagina prima di tuffarsi nella prossima.

“Io… io di vissuto ne ho parecchio.” Fece lui sentendosi così stupido. Eppure funzionò perché la donna lo guardò negli occhi.

“Ah si?” Disse alzandosi dalla sedia su cui sembrava incollata. Lo squadrò dall’alto in basso facendolo imbarazzare come non gli capitava da tempo. Non voleva che quella signora si soffermasse sui suoi vestiti, sui suoi capelli, sulle scarpe logore, sui baffi ingialliti. Eppure lo stava facendo.

“Ma certo, io so cos’è lei.” Fece educatamente.

Ma certo che lo sa, sono un barbone, uno schifoso.Pensò lui e fece per girare i tacchi e filare via.

“Lei è un uomo che ne ha viste tante, ma che ha trovato il posto giusto.” Si interruppe: “È il benvenuto nella nostra libreria.” Disse la donna e quello che avvenne dopo lo portò sull’orlo del pianto.

La donna gli stava tendendo la mano.


•••


Fu così che Severo Quintile iniziò a lavorare per i Lanciotti nella Libreria gli Autentici. Non aveva la minima esperienza in campo bibliotecario, né con la saggistica, né con la narrativa, ma fin da subito apprezzò il profumo che le pagine emanavano, gli scaffali, le mensole traboccanti di tomi desiderosi di raccontare una storia. Uno spaccato di vita.

Come detto, a loro dell’esperienza lavorativa non importava. Non serve una laurea per riordinare, spolverare, catalogare i libri in base agli arrivi. Severo svolgeva esattamente quelle mansioni, niente di trascendentale o di entusiasmante, ma sicuramente era un lavoro onesto. Si sentiva parte di qualcosa, di utile, a posto con se stesso. Vedeva scorrere davanti a sé le ore della giornata di buon grado, non buttava via la sua esistenza, anzi, stava pian piano cercando di rimetterla a posto.

E i Lanciotti erano una vera benedizione, una manna dal cielo. Lo trattavano con dignità, non lo pressavano se non capiva qualcosa, tutt’altro, il signor Lanciotti lo prese sottobraccio i primi giorni, lo portò con sé, gli fece vedere come fare, come prendere e rimettere un libro in ordine senza danneggiare la copertina e i bordi. Lui imparò velocemente, sentì di essere una spugna desiderosa di accumulare quante più informazioni possibili, perché quel posto lo faceva sentire bene, accolto, al caldo.

La libreria aveva la sua età, eppure Severo si stupì del modo in cui i Lanciotti erano al passo con i tempi. C’erano computer per catalogare, non si perdevano nessuna nuova uscita, spedivano e compravano online se qualcuno richiedeva un libro particolarmente difficile da trovare. E i clienti entravano numerosi, si facevano una passeggiata fra le pagine chiuse. Alcuni compravano, altri rubavano con gli occhi. Era davvero un’istituzione, quanto era stato stupido a non vederla?

I suoi datori di lavoro gli risolsero anche il problema più grosso. Gli diedero un tetto sopra la testa. Lo fecero abitare con loro, sopra alla libreria, nella stanza degli ospiti, con un bagno privato. Con la prima paga Severo si rifece il guardaroba e provò a sdebitarsi con loro portandoli a cena, finirono per pagare loro anche quella volta.

Ma perché lo facevano? Non li sentiva tramare qualcosa, non li avrebbe sorpresi in camera sua nel cuore della notte con un coltellaccio in mano, non erano una minaccia eppure…

Chiese spiegazioni un pomeriggio di calma, quando c’erano solo lui, la signora Lanciotti e i libri naturalmente.

“Come fate ad essere così?”

“Così come?”

“Buoni.”

“Ci stanno a cuore le persone. Non abbiamo abbastanza soldi per la beneficienza, più o meno è la stessa cosa non trovi?”

“È davvero troppo.” Disse, voleva, desiderava aggiungere altro e chiedere, ma la porta della libreria si spalancò e una donnona dai capelli ricci scese i quattro gradini oltre la soglia.

La donna se ne restò zitta, continuava solo a spostare gli occhi da un punto all’altro. Poi iniziò a vagare fra gli scaffali. Non dedicò troppo tempo alla ricerca del libro giusto, prese la scorciatoia e chiese: “Non so cosa leggere. Ho voglia ma non trovo niente.”

“L’aiuto io. Mi dica il genere che le interessa. Giallo? Fantastico? Rosa? Horror?” , si propose la proprietaria con gentilezza.

“No, no. Vorrei ridere.”

“È uscito l’ultimo libro della Littizzetto e il primo di Virginia Raffaele.”

La sua faccia però non era convinta: “Vorrei qualcosa di meno commerciale, qualcosa di autentico.”

“Oh… ho capito perfettamente. Ho proprio quello che fa al caso suo. Mi segua.” Le due raggiunsero una piccola stanza, l’unica ad avere una porta che la separava dal resto.

“Qui dentro signora ci sono solo libri inediti. Come libreria storica amiamo dare spazio a scrittori in erba, locali e non, perché crediamo che tutti abbiano una storia nel cassetto.”

Grossi scaffali marroni occupavano tutti i muri della stanza, Severo aveva spolverato parecchie volte ipotizzando che ci potessero essere al massimo quattrocento volumi.

“Le consiglio questo. Li ho letti tutti personalmente e fra gli umoristici è il mio preferito.” Tirò giù un libro dal secondo scaffale. Era normale, in brossura, con la copertina nera e con l’immagine di un uomo dal fare sospetto sotto alla luce di un lampione. La donna lo prese.

“È la storia, forse autobiografica, di un ladro e nel libro vengono descritte tutte le assurdità che ha visto nelle varie case durante i furti. Si fidi, fa ammazzare dalla risate.”

L’altra si lasciò convincere, pagò e se ne andò soddisfatta. Tutti se ne andavano soddisfatti.

“Adoro quando i libri dei nostri autori si vendono.” Fece a Severo mentre si sedeva nuovamente dietro alla cassa. “Non hai idea di quante perle ci siano dietro ad autori sconosciuti. La gente non si fida e si finisce per vendere Stephen King, Lovecraft, Dan Brown, Sparks e Moccia.” Fece spallucce. “Tutti hanno un libro, che sia interessante o meno, dentro, basta tirarlo fuori.”


•••


Iniziò tutto all’improvviso, come inizia la vita, una maledizione, la fine. Un momento prima sei frizzante, vitale, poi non ci sei più. Ma è inutile farsene un cruccio. Non puoi prevederlo.

Anche Severo stava bene, benissimo e per questo non si preoccupò quando la nausea l’assalì. Doveva essere un’influenza, qualcosa che non aveva digerito la sera prima, eppure quella puzza sembrava vivergli nel naso e penetrare nei polmoni sempre di più ad ogni respiro. Ed era una puzza familiare, un profumo che diventa fetore, come quando ci si abbuffa di qualcosa fino a non tollerarla più.

Era puzza di carta, di libri, di stampa, di rilegatura e inchiostro. Veniva da lì, la sentiva aumentare quando si avvicinava agli scaffali, ai luoghi occupati dai romanzi, dai saggi, dalle enciclopedie. E ovunque si girasse ne trovava ancora e ancora, come pesci nel mare.

“Ti senti bene, Severo?” Chiese la signora Lanciotti.

“No… credo di no.” Fece lui barcollando.

“Prenditi il pomeriggio libero. Vai di sopra a sdraiarti.”

“Grazie mille, davvero.”

Andò in camera sua. Si stese nel letto. La puzza di libri si era allontanata eppure… Crollò in un sonno che non aveva niente di normale.

Fu come una catarsi, una discesa dantesca nel profondo dell’indicibile. Scendeva i gradini di una gigantesca scala a chiocciola, così mastodontica da non riuscire a vederne l’inizio. Poteva solo inabissarsi. In fondo, questa lasciava il posto ad una libreria tanto grande da fluttuare nell’Universo. Non c’erano pavimenti, muri o soffitti, solo libri e scaffali, ovunque; in basso, in alto, in ogni direzione. Camminava sopra di loro mentre li sentiva respirare.

L’inchiostro iniziò a fuoriuscire come magma incandescente dalle pagine, si muoveva viscido, vivo, autonomo. E prese a raggrupparsi in un unico blocco, in un grande agglomerato nero.

Severo provò a fuggire, ma il flusso lo raggiunse, i libri sparsi in basso lo rallentavano, si aprivano come bocche pronte ad azzannargli i piedi, per portarlo giù, fra le pagine ormai bianche.

Una spirale d’inchiostro lo investì sulla pancia e la penetrò, lo sporcò esattamente come fa una penna con un foglio.

Si svegliò subito dopo con un male terribile all’addome, accese la luce e fu allora che capì di essere destinato ad una fine peggiore della morte.

C’erano delle parole scritte con l’inchiostro sul torace, sul collo, sulle gambe. Solo in quel momento si accorse di avere qualcosa di strano attaccato al braccio. L’arto destro era informe, irriconoscibile; le dita si erano unite e una pagina di carta bianca sbucava dal polso e arrivava sotto all’ascella, e continuava ad allungarsi verso il basso.

Anche i piedi stavano facendo la stessa cosa, doveva muoversi, uscire di lì al più presto. Mosse la maniglia, la porta era chiusa a chiave.

“Aiuto! Aiutatemi!” Gridò mentre sbatteva la mano normale contro il legno. “Aiuto!”

Ci fu uno strappo, l’uomo riuscì a sentire la rilegatura farsi largo fra la carne e comparire all’altezza delle spalle.

“Tesoro! Sta succedendo! È iniziata!” Disse qualcuno fuori dalla porta.

“Oh… meraviglioso, lascialo fare, non vedo l’ora di sfogliarlo.”

Erano loro due a parlare, nessun altro.

Nei minuti seguenti Severo divenne un libro, un insieme di fogli simile ad altri centinaia. Vide le gambe unirsi in un’unica colonna, i piedi allungarsi per andare a formare la base del tomo. Le braccia intrecciarsi nella parte superiore. Le pagine sbucarono dal petto, dalle gambe, dalla faccia che pian piano si ritrasse e sparì per lasciare posto al capitello e alla cornice nella parte opposta. Poi si rimpicciolì mantenendo tutte le dimensioni inalterate. Ora era un bellissimo tascabile con l’immagine di un senzatetto disteso supino su di una panchina. Confessioni: una vita disgraziata. Diceva il titolo.

La serratura scattò e la signora Lanciotti andò avida a raccoglierlo da terra.

“Vediamo un po’ se posso pubblicarlo.” Fece mentre tornava dietro alla cassa con il libro sottobraccio. Lo adagiò sul bancone, lo aprì e prese a leggerlo.

Era arrivata a metà del terzo capitolo quando chiamò il marito da lei a vedere: “Dice che si è giocato tutto a carte, ha perso! Era un ludopatico!” Disse mentre una lingua mastodontica faceva capolino dalle labbra.

Un capitolo più tardi: “Ha investito un bambino! Lo ha ammazzato e si è fatto due anni di domiciliari, lo hanno odiato tutti e sua moglie se lo è sbolognato!” Perfetto, la donna andava avanti e intanto le mani si allungavano, le dita assottigliavano.

Scattò in piedi all’inizio del sesto capitolo sbattendo sulla cassa con un gomito ormai simile alla zampa di una mosca: “Non ci posso credere! Ha ammazzato un altro barbone per mezza bottiglia di Bourbon, lo ha preso a sassate e poi ha buttato il corpo nel fiume! Questa potrebbe essere la migliore pubblicazione degli ultimi duecento anni! E c’è ancora dell’altro!”

Ora non era più una donna, ma una matassa putrescente simile ad un calabrone, con occhi grossi e bulbosi, con peli in faccia e una proboscide al posto del naso dalla quale continuava a fuoriuscire bava. Non camminava, volava.

Andò a mettere quel libro marrone in vetrina, quest’ultima però non dava più su Terni, ma sulla via di un mondo completamente alieno, estraniante, con assurde creature in movimento.

La donna-insetto uscì fuori e disse: “La libreria Errante ha un nuovo autore con una storia completamente inedita proveniente dall’altra dimensione. Avrete il coraggio di leggerla?” Teste putrescenti si girarono nella sua direzione: “Di certo non ve ne pentirete.” Fece prima di rientrare dentro, fra i libri, fra l’inchiostro, fra gli autori venuti da lontano per essere pubblicati.