Notte prima degli esami Onnigrafo Magazine

Notte prima degli esami


La sveglia aveva suonato come sempre alle 6:30 ma l'aveva rimandata fino alle 7:15 incurante della strada da fare. Con un'ora piena di traffico davanti e un orario di ingresso da rispettare, le restava meno di mezz'ora per avere un aspetto dignitoso, fare colazione e raccogliere tutto quello che avrebbe invece dovuto mettere nella sua borsa la sera prima.

Sara sapeva essere fin troppo rapida però, una doccia e i capelli asciugati in meno di dieci minuti, un velo di trucco, un abbigliamento elegante ma al tempo stesso comodo, la borsa con il pc e i mille fogli che si portava dietro in modo disordinato in una mano, le chiavi dell'auto in un'altra, la borsa con le scarpe con i tacchi per l'ufficio in un'altra ancora, la colazione da mangiare mentre avrebbe guidato in un'altra mano ancora… La dea Khali del Grande raccordo anulare, pronta per l'ennesima noiosa giornata uguale alle altre.

Guidare le piaceva molto, ma preferiva farlo fuori dal traffico della capitale, le piaceva sentirsi quasi sola sulle stradine che collegavano i paesi nel verde. Quella concentrazione di auto, di persone, di rumore non le piacevano, ma amava troppo dormire e non poteva assolutamente svegliarsi alle 5 per prendere un treno. Era stata costretta a tornare a Roma dopo aver trovato quel lavoro.

Si era laureata in architettura con il massimo dei voti e nel paese di suo padre più di una consulenza a un muratore non era riuscita a fare, entrare in un grande studio associato l'aveva fatta sentire importante, e aver talento l'aveva sicuramente aiutata ad emergere in una giungla di uomini.


Sara butta tutte le borse nel retro della sua auto, sale e appoggia la colazione sul cruscotto, allaccia la cintura e accende la radio inserendo una chiavetta a caso nella porta USB, partono brani in ordine alfabetico: a come Antonello Venditti. Manda qualche pezzo avanti, qualcun altro lo ascolta fino in fondo, poi arriva quello che, senza aria condizionata accesa, le fa salire la pelle d'oca e lo ascolta più volte, lasciandosi cullare dai pensieri e dai ricordi che lentamente le invadono la testa: notte prima degli esami.


Sara non aveva bruciato le tappe della sua adolescenza, semplicemente le aveva saltate. A diciassette anni all'oratorio non ci andava per attaccamento alla chiesa ma per l'abitudine di girare nel quartiere dove abitava. Nella chiesa di Santa Maria della Mercede forse ci era entrata un paio di volte, sua madre non era tipo da andare a messa ogni domenica, anche se in casa mostrava un certo sdegno quando sua figlia affermava cose troppo distanti dal vecchio catechismo. 

Abitare in una grande città spesso porta a vivere in uno spazio circoscritto: il suo quartiere era in pieno centro e la sua casa in un palazzo di quelli con ancora il portiere, sempre le stesse facce, sempre la stessa gente che si confonde con i turisti incrociati ad attraversare le strade. Sara detestava il portiere del suo palazzo, quando era bambina non faceva che urlare a tutti per i rumori molesti, i palloni che rimbalzavano sui muri e le corse nell'androne del portone; ora invece il portiere lo detestava soprattutto per come la guardava da quando non scendeva più in cortile a giocare con gli altri bambini, ma era diventata una ragazza piuttosto piacevole da vedere e nei jeans aderenti faceva la sua bella figura. Il portiere indugiava troppo con gli sguardi e spesso anche con i commenti, un uomo viscido e fastidioso.

In un quadrilatero di ambasciate stava il liceo scientifico Amedeo Avogadro che Sara frequentava con ottimi voti, non saltava mai scuola per andare in giro con gli amici, piuttosto restava a casa a dormire, soprattutto in pieno inverno, quando le poche giornate davvero fredde le toglievano del tutto la voglia di alzarsi dal letto caldo e di lasciare l’abbraccio del suo piumone. All'oratorio aveva conosciuto un ragazzo più grande di lei di tre anni, bello era bello e anche molto, soprattutto per quel suo sorriso disarmante, si era appena diplomato e aveva iniziato la scuola per insegnante di educazione fisica, aveva mille passioni sportive, uno smisurato ego e un continuo bisogno di mettersi in mostra. Gabriele aveva avuto un numero imprecisato di storie, anche contemporaneamente, mentre Sara viveva ancora nel suo candore e nella sua timidezza. Ma per uno strano allineamento dei pianeti si erano conosciuti, piaciuti subito e, per incoscienza ed entusiasmo da parte di lei e per una scommessa da parte di lui, si erano trovati insieme per caso e in breve tempo anche in modo abbastanza ufficiale, con le famiglie in mezzo e gli anellini alle dita. Era una di quelle storie che analizzate sembrano funzionare, ma analizzate meglio ci si chiede come facciano a funzionare davvero.

Dopo quasi due anni erano ancora insieme. Lei studiava quasi tutto il giorno, lui si allenava tra libri e palestra e si vedevano ogni sera durante la settimana. Gabriele usciva dalla palestra e cenava da Sara, dove la mamma di lei passava ore a preparare cibi ricchi di proteine per quel ragazzone muscoloso. Guardavano un film sul letto di Sara e il tempo della pubblicità più lunga a metà del film consumavano un breve rapporto che lasciava soddisfatto Gabriele, e con un velo di insoddisfazione Sara. Poi Sara massimo alle 11 se ne andava a dormire e lui usciva con gli amici.

Il sabato sera andavano a ballare: Sara passava almeno un'ora in bagno a farsi bella, si truccava con attenzione, sceglieva poi i vestiti più audaci, non per la serata in discoteca, quanto per piacere a Gabriele. Lui andava a prenderla a casa tardi, passavano in auto vicino al parco di Villa Torlonia, in una via alberata con la siepe alta a nascondere la macchina. E lì Gabriele le rovinava il trucco concedendole un amplesso più accurato, accarezzandola, perdendoci più tempo, fino a far appannare i finestrini dell’auto. Sara in quei momenti si sentiva vicina alla felicità ma poi lui, puntualmente le diceva che si era vestita da zoccola e quella vicinanza si faceva di nuovo lontana, non lo diceva come un complimento tra amanti, lo diceva in un modo che a Sara lasciava l’amaro in bocca e quando gli amici sottolineavano quei finestrini umidi lei si sentiva peggio di un oggetto da esposizione. Andavano a ballare con il gruppo degli amici delle uscite fuori porta, sempre gli stessi, gli amici di Gabriele da una vita e le ragazze con le quali loro uscivano, ragazze di pochi mesi, nessuna con cui poter instaurare un rapporto saldo. Sara non poteva uscire da sola con i suoi vecchi amici dell’oratorio, nemmeno una pizza solo donne, non poteva nemmeno chiederlo, perché Gabriele era geloso e lei gli aveva dato il diritto di metter le mani su tutta la sua vita. Quando andava a ballare gli amici di Gabriele controllavano cosa lei facesse nei momenti in cui lui improvvisamente spariva senza motivo. Sara tornava a casa sempre prima poi lui ritornava a far mattina con gli altri o forse con qualcun'altra...

Sara studiava, faceva la brava fidanzata, diceva di sì e non si ribellava, teneva perfettamente in bilico sulla sua testa un cesto di lumache per quante corna portava e al tempo stesso accettava a testa bassa l'infondata gelosia di Gabriele, il fatto era che probabilmente lei credeva che dovesse andare così, e lo pensava senza nessun motivo logico che potesse spiegare un tale atteggiamento.


In quinta liceo arrivò in classe Pietro, era già stato in classe con Sara, avevano fatto un anno di scuola insieme poi lui, già ripetente, era stato bocciato e di nuovo aveva perso l'ultimo anno non ammesso agli esami, si era messo sotto a studiare, aveva recuperato gli anni persi e ora era in linea con i suoi coetanei.

Pietro e Sara a 15 anni erano diventati amici, lei in quella classe non si era mai trovata molto bene per via della sua timidezza e lui era nuovo e il posto libero accanto a quella ragazzina pareva il migliore.

Nell’ultimo anno di liceo Pietro aveva deciso di mettersi a studiare, era stanco di quella scuola, aveva sprecato già troppo tempo, anche se aveva iniziato a lavorare: faceva il meccanico, diceva che senza soldi non poteva stare. Sara lo aveva lasciato con l'acne e i capelli grassi e le camicie di flanella. Lo aveva riconosciuto a stento adesso: era molto più alto e aveva due spalle enormi che sembrava raddoppiato, i capelli lunghi e il viso ricoperto da una fitta e scura barba, ed era proprio figo quando arrivava a scuola con la sua motocicletta, mentre anni prima si muoveva con un rumoroso Ciao. Certo anche Sara era cambiata, era una donna non più una ragazzina, ma passato il primo momento di imbarazzo tornarono ad essere amici come un tempo. Verso il mese di marzo Pietro iniziò a studiare a casa di Sara e Gabriele non era assolutamente contento di questa cosa. Sara difendeva la sua innocenza e Gabriele la prendeva a schiaffi. 

Sara raccontava a Pietro cosa le accadeva e Pietro avrebbe voluto spaccare la faccia a quell’idiota. Ma Sara ovviamente difendeva il suo fidanzato.

Potevano studiare a casa solo se c'era la madre di Sara presente, altrimenti Sara usciva e andavano a studiare al parco, si incontravano alla Fontana delle Rane e da lì raggiungevano insieme una panchina all'ombra nel verde. A Sara le brevi passeggiate davano alla testa, si sentiva leggera camminando accanto a Pietro, si sentiva importante pensando a quante delle sue compagne avrebbero voluto essere al suo posto, anche se a pensarci bene poteva arrivare a credere che più che il suo bel faccino a Pietro interessasse la sua media del nove. Ma erano amici e questo bastava. 

Un pomeriggio di giugno su quella panchina si parlava di rivoluzione russa, Sara raccontava con enfasi di come un monaco siberiano avesse sedotto la zarina con uno strano carisma, quando Pietro allungò una mano e la accarezzò sulla guancia: "quanto sei bella Sà….". Sara in quasi tre anni non aveva mai sentito il suo ragazzo dire una cosa simile e non sapeva nemmeno cosa avrebbe dovuto rispondere, anche perché non riusciva a dire nemmeno una parola, col cuore in gola come stava. E rimase in silenzio, abbassando lo sguardo sulle pagine del libro aperto, ignorando quello che gli era stato detto. Apparentemente. Perché dentro aveva un ribollire che stava per farla esplodere, e si chiedeva per quale motivo quella strana sensazione allo stomaco, quel formicolio bizzarro alle mani.


La sera prima della maturità Sara era andata a cena a casa di Gabriele, aveva preferito andare lei, così dopo la cena avrebbe fatto una deviazione in macchina e avrebbe fatto l'amore con lui. Questo era il suo piano, le avevano detto che era meglio fare sesso che ripassare fino a tardi, avrebbe aiutato a sciogliere la tensione. Ma dopo cena la deviazione era stata al campo sportivo, dove Gabriele aveva fumato hashish con gli amici ridendo e scherzando, mentre Sara era rimasta in macchina con il muso fino alle ginocchia a fissare il cruscotto dell'auto bel buio.

Rientrata a casa Sara aveva salutato frettolosa la mamma che stava in poltrona a guardare il Maurizio Costanzo show: "Sarè ha chiamato Pietro, adesso ti richiama". E infatti dopo pochi minuti squilla il telefono, Sara corre in corridoio e alza la cornetta ma invece di dire Pronto dice “Pietro?”.

Dall'altro lato del telefono non c'è Pietro, ma Gabriele che resta un attimo in silenzio e poi la sbrana. “M'hai chiamato Pietro! A stronza e io che ti chiamavo per farti in bocca al lupo per domani... Pietro mi hai chiamato! Ma vedi da non farti vedere più! ‘Sta stronza…”

Sara diventa piccola piccola col telefono in mano mentre Gabriele ha già attaccato senza aggiungere altro. Una volta agganciato, squilla di nuovo. Stavolta Sara risponde mesta con un pronto quasi sottovoce.

“Sarè so io”. 

Adesso è Pietro che vuole sentirla prima di andare a dormire, che vuole dirle che la cartuccera che hanno preparato non si vede sotto la maglietta, ma che porca miseria gli fa sudare la pancia, che se esce un tema su Dante non lo farà per principio perché gli sta antipatico.

Sara ascolta annuendo senza dire nulla, poi diretta gli dice: “Pietro ci vediamo alle rane?”

Sara non ha il solito tono allegro e l'amico comprende che qualcosa non va.

“Daje Sà. Ma non ci andare da sola, ti vengo a prendere a casa porto il casco”.

Il rumore della moto di Pietro non viene sentito da sua madre che continua a perdersi nei monologhi degli ospiti del teatro pariolino.

“Mamma io scendo, sto in macchina con Gabriele”.

La mamma sapeva cosa significasse: avevano litigato. Sapeva anche che quando rientrerà a casa Sara farà di tutto per non incrociare il suo sguardo, perché avrà pianto, e vorrebbe scendere lei in macchina da Gabriele e dirgli che domani sua figlia ha la maturità e forse meriterebbe di star tranquilla. Pezzo di merda che è, certe volte quando cucina le verrebbe voglia di mettere qualcosa nel piatto che gli possa far male per quanto le sta antipatico, ma quello digerisce anche i sassi.


Sara non ha molta voglia di parlare, infila il casco per nascondere gli occhi lucidi e sale sulla moto di Pietro. Non lo aveva mai fatto prima, gli si appoggia alla schiena stringendolo con le braccia alla vita. Pietro non chiede nulla, mette la prima e va verso la panchina della rivoluzione russa.


Alla quinta volta che passa la canzone in auto Sara sente un certo magone salirle in gola, come quando un ricordo troppo grande ti travolge in un solo istante. 


Su quella panchina tra il verde del parco di Villa Torlonia, Sara ci era stata sempre solo con lui. Nel parcheggio tra i pini in auto con Gabriele non perdeva tempo ad ascoltare il rumore delle foglie degli alberi, lì non c’era tempo, non c’erano parole, solo gesti meccanici e fretta. E lei quello lo chiamava amore.

Sara guarda Pietro senza parlare, capisce che ha sbagliato tutto, ha perso tempo, sprecato anni bellissimi che nessuno le avrebbe mai dato indietro. 

Pietro non sa dire nulla se non un secco lascialo perdere, ma non è bravo con le parole e preferisce restare in silenzio anche lui e Sara è bella anche con gli occhi tristi, Sara ha solo bisogno di stare bene, ha solo bisogno di sentirsi viva. Di sentirsi amata.

Le dita si sfiorano tra loro, si stringono, si allacciano le mani e poi i corpi. Su quella panchina il respiro diventa più corto e le bocche si cercano, si respirano, si assaggiano. Esplode qualcosa di inimmaginabile, il desiderio è tangibile, talmente diverso da quello che Sara conosceva. Un desiderio che per quanto brucia sa attendere, sa farsi spazio Pietro si stacca da quell'abbraccio e la trascina via tornando alla moto, per un attimo Sara pensa che è stata solo una parentesi, un errore e che lui la stia portando a casa di corsa, ma appena risalita in moto lui torna ad accarezzarla, a stringerla a sé. Mentre il vento le annoda i capelli, Pietro tiene stretta la mano di Sara a premere sul suo petto, come a volerle far sentire quanto splendido caos ci sia dentro di lui.

Nonostante l'aria fresca della notte la voglia non evapora. La notte il portiere non c'è in guardiola e nessuno può vedere chi entra e chi esce, e soprattutto nessuno scende in cantina a quell'ora. Nascosti in un ripostiglio di pochi metri quadrati Sara e Pietro si studiano, si scoprono e si amano, Sara questa volta non è vicina alla felicità, ma ci nuota proprio dentro a grandi bracciate. E mentre comprende cosa sia davvero amare sorride, sorride senza alcun pensiero.


La sveglia suona alle 6:30. Sara la rimanda fino alle 7:15, infila i jeans e la cartuccera con sopra la camicia del padre ampia e scura, corre a scuola con la sua borsa disordinata in spalla, e nemmeno a farlo apposta, esce il tema su Dante. I giorni degli esami la vedono solo piegata sui libri. Sola, nessun Pietro, nessun Gabriele.



Sara trova un parcheggio non troppo distante dall’ufficio. Spegne la radio e si guarda allo specchietto della sua auto sistemandosi i capelli. Afferra le sue borse e cerca di affrettarsi e di scacciare quel ricordo dalla testa: ha una riunione importante questa mattina, deve essere sorridente come al solito.


Perché Pietro non le aveva detto nulla? L'aveva solo salutata accennando un sorriso appena arrivati davanti alla scuola quella mattina. Lei non lo aveva salutato forse e aveva abbassato lo sguardo. Dopo il primo scritto era scappata a casa, mentre Pietro a scuola ci era andato con due caschi. Non gli aveva rivolto la parola e lui aveva fatto la stessa cosa, probabilmente aveva capito che doveva stare al suo posto.

Sara si faceva mille domande. Perché non le aveva detto nulla? Perché non aveva mai provato a farsi avanti prima? 

Pietro si era allontanato e Sara non lo aveva cercato, si teneva stretto il ricordo e la moltitudine di sensazioni provate quella sera in cantina e si era chiusa in un mutismo assurdo. “Mamma ho da studiare”. 

Ma la mamma aveva capito che tante cose non andavano. I quadri Sara era andata a vederli con Gabriele, le aveva telefonato il giorno prima ed avevano fatto pace, senza dirsi nulla, senza spiegazioni, tornando alla solita normalità lontana dalla felicità. 54/60. Brava Sara. Ma bravo anche Pietro con il suo 48 di cui si sentiva fiera senza però riuscire a dirglielo.


Ma non riesce a smettere di ricordare. Pensa al motivo per cui le cose erano accadute così all'improvviso, iniziate e poi finite. Scuote le briciole dei biscotti dal sedile e chiude l’auto. Ha fretta ormai e mentre le sue scarpe basse passano veloci sui sanpietrini l'aria di Roma si infila tra i rami dei tigli spargendone il profumo. Sara pensa.


Pensa a un concerto del primo Maggio quando si era girata tra gli amici e Pietro era lì che la guardava senza che lei lo vedesse, a come Gabriele l'avesse stretta e poi spostata con la scusa di farle vedere meglio. Pensa alle lezioni di filosofia noiose e lunghissime e a Pietro che si addormentava sul banco nascosto dietro allo zaino e di come la sua mano delicatamente scivolava sul suo braccio e non lo mollasse nemmeno un istante.

Pensa a quella panchina, a quella carezza, a quel complimento detto con voce diversa.

Pensa a come era stato fare l'amore con lui, a quanto era stato intenso e bello, a quanto quei baci le sembrassero sempre troppo pochi. Sara non aveva capito nulla, non era forse abituata a sentirsi ammirata, amata, a diciannove anni conosceva le bugie di un rapporto finto, e Pietro invece era sincero. Non le aveva detto più nulla, ovvio lei lo aveva evitato, ignorato e infine dimenticato.

Ma ogni uomo con cui era stata finora non era mai stato in grado di farla tornare a nuotare nella felicità come invece aveva fatto Pietro quella notte.


Sara pensa a quanto sarebbe bello poter tornare indietro, vedere cosa poteva essere stare con lui. 

“Chissà cosa farei adesso. Dopo più di vent'anni che pensieri idioti che faccio”. 

Pensieri talmente intensi e strani che talvolta arrivano proprio nel momento giusto, come a disturbare un perfetto equilibrio. Come questa mattina, per colpa di una canzone ormai vecchia che le ha riportato alla mente cose che pensava di aver dimenticato, con una riunione importante da dover fare, nel suo studio, con oltretutto persone nuove che non conosce, con le quali deve fare bella figura, architetti, ingegneri, insomma gente che magari più vecchia di lei ci capisce di più e solo per il gusto di sminuire una donna potrebbero cercare di farle fare brutta figura. Come quel tizio laggiù, di spalle, in quel vestito scuro che pare uno di quelli che segue le bare nei funerali, senza capelli e con quella barbona nera lucida, quello che pare un armadio da quanto ha larghe le spalle, quello che, sembra un viso familiare. Quello che è Pietro.