Annina Onnigrafo Magazine

Annina

Se eri maritata, a diventare madre a sedici anni non vi era alcuna vergogna. 

Rosa non aveva alcun marito, aveva una figliola e una casa talmente vecchia che era stata costruita con i sassi e spesso l'intonaco non era sufficiente a coprirli. 

Aveva scelto di fare il mestiere più antico del mondo perché doveva lavorare, doveva sfamare la sua bambina e doveva cercare di non farsi crollare il tetto sulla testa, ma non le davano panni da lavare o campagna da lavorare, la guardavano tutti con diffidenza, con disprezzo, soprattutto quando a incrociare il suo sguardo erano più persone insieme: nessuno doveva rivolgere la parola a quella donna, era una poco di buono e a parlarle si sarebbe passate per donne altrettanto poco oneste e dignitose. Ma ogni tanto, quando Rosa passava per le vie a tarda ora per andare a prendere una brocca d'acqua alla fontana della piazza, qualcuno la chiamava sottovoce e da una finestra le passava qualcosa da mangiare, in fondo Rosa era poco più che una ragazzina. Sua figlia cresceva poco e piangeva molto e anche Rosa piangeva, ma a differenza della sua creatura, che pareva ancora una neonata, ogni giorno che passava pareva metterle più anni sul capo. A Rosa non rimase che ascoltare il consiglio di una vecchia: stava seduta sulla sua fortuna, quella figlia che teneva in braccio le aveva portato via la sua dignità, tanto valeva guadagnarsi il pane nell'unico modo che poteva.

Don Antonio, il curato del paese, la prima volta che in confessione le sentí dire cosa avrebbe fatto, non ebbe cuore di aggiungere una sola parola, non poteva guardarla in viso attraverso quella piccola griglia nel confessionale, ma sentiva la sua voce strozzata e avrebbe voluto consolarla, ma era solo un prete, avrebbe dovuto parlare di peccato e Inferno, ma non ne ebbe cuore e rimase in silenzio.

Al tempo in cui Rosa arrivo al paese Don Antonio era già sui 50 anni, era un omone grande e grosso con l'aspetto bonario e flemmatico di chi, se crollasse la chiesa, si sposterebbe appena quel che servirebbe per non venir travolto. Era entrato in seminario molto giovane dopo il rifiuto del fratello mezzano che aveva più carattere e voglia di vivere come pareva a lui. Proveniva da una famiglia umile e come terzo figlio il padre non aveva visto altra soluzione per quel ragazzino taciturno. Antonio lasciò la sua casa con una madre incinta e altri 9 fratelli affamati, la chiesa non gli apparteneva, ma poteva riempirsi la pancia e quell'abito nero e quel cappello gli davano l'occasione ogni giorno di essere rispettato, non come suo padre, logoro e cencioso, capace solo di far figli come un coniglio.

Dio non lo accompagnava, non era nelle sue corde, quel prete professava dall'alto del suo pulpito una Fede che lo lasciava totalmente indifferente, non amava i suoi parrocchiani, li trovava bifolchi e ignoranti, intrisi come erano di superstizioni e pregiudizi, malelingue che a forza di buttare ingiurie sulle teste dei più miseri li rendevano ancora più disperati.

"Ogni uomo ha una catena - diceva il curato - può usarla per mettere freno alla propria lingua oppure per legare al palo un miserabile."

Era saggio, ma poco parlava, non aveva trovato buoni interlocutori nel gregge che governava e riteneva abietto l'uso di accusare chi aveva avuto sfortuna facendo leva sui valori cristiani. Ma aveva dovuto fare con gli anni buon viso a questa ingiusta usanza. 

Rosa veniva denigrata da tutti in paese, era una malafemmina perché senza marito, se Don Antonio avesse provato a difenderla avrebbero accusato tutti quel curato di paese di chissà quale peccato. Ma dal momento che era arrivata in quella Landa triste, parte delle elemosine per i poveri le aveva portate a lei ma non bastavano, anche perché il padrone di quella casa malconcia reclamava puntuale l'affitto.

Qualche giorno dopo quella confessione Don Antonio tornò a trovarla, senza sapere di preciso cosa le avrebbe detto. Saliva lungo la strada piena di polvere e ciottoli e ogni passo che faceva sbuffava cercando di prendere fiato in quella salita. Il pianto di Caterina si sentiva già da lontano assieme a qualche cane che abbaiava randagio, la porta di casa era aperta nel caldo torrido di un pomeriggio estivo e Rosa cercava di placare il pianto di sua figlia cullandola camminando avanti e indietro nella cucina, alla fine però dovete cedere al pianto e sedersi offrendole il seno. 

Don Antonio  rimase qualche istante dubbioso sul da farsi. "Entrate padre, entrate", Rosa riconosceva in quell'uomo l'unico volto amico in quel branco di lupi. 

"Ha fame", disse il curato entrando.

"Ha sempre fame, non fa che piangere, notte e giorno, qui sotto mi hanno detto che mi mandano le guardie a casa che non li fa dormire, ma mica è colpa sua poverina ha fame, ma io ho poco latte".

"Dovresti mangiare qualcosa di più stai a diventare pelle e ossa, figlia mia."

Caterina si era finalmente addormentata, il prete aveva aspettato che fosse tranquilla  nella sua culla e intanto aveva posato sul tavolo qualche moneta e delle pere avvolte in un foglio di carta marrone. Rosa era tornata in cucina con un asciugamano attorno al collo dopo essersi rinfrescata il viso dal caldo abbraccio della sua bambina: "perché quelle cose?"

Il curato sembrava imbarazzato: "per te, mangia, sono appena colte".

Rosa addentò avida una pera, era matura e succosa e la mano e la bocca si ritrovarono bagnate.

"Ho pensato a quello che hai detto, alla decisione che hai preso".

Rosa era già al secondo frutto: "Non penso di poter fare altrimenti, stiamo morendo di fame nessuno vuole darmi da lavorare."

Don Antonio si strinse nelle spalle, poi allungò la mano spostando le monete sul tavolo verso Rosa.

"Volete pagarmi perché volete essere il primo?"

La persona che più fece sapere in giro il nuovo malaffare di Rosa fu proprio il prete, che non faceva che apostrofare quella donna seduta in chiesa con sua figlia tra le braccia. 

Con i soldi del prete Rosa comprò un pezzo di stoffa rossa, ci fece due tendine per la finestra della sua casa, l'unica finestra che dava sulla strada: se le tende erano aperte Rosa era in casa libera, se invece erano chiuse Rosa aveva un cliente. E in un paese pieno di pregiudizi, di gente timorata di Dio pare strano comprendere che quello che più serviva fosse proprio una puttana.

C'era un continuo viavai, a qualunque ora, gli uomini portavano qualche moneta e qualcosa dalla campagna, più la borsa era pesante più passavano del tempo con Rosa, ma l'uomo che trascorreva più tempo in quella casa, lontano da occhi indiscreti o perlomeno libero da troppe chiacchiere, era proprio Don Antonio in un rapporto fatto non solo di sesso a pagamento, ma di profonda amicizia nei confronti di quella ragazzina che nel corso degli anni diventerà una donna, e che probabilmente rappresentava l'unica mente capace con cui confrontarsi in quel paese di gente ottusa. Si raccontavano, si amavano, si sostenevano, per poi tornare a essere la domenica l'accusatore e la peccatrice, ma andava bene così, andò bene così per anni e anni.

Spesso la domenica Don Antonio guardava Rosa seduta con accanto i suoi bambini, li scrutava uno ad uno, chiedendosi se tra quelli almeno uno fosse suo. Conosceva tutti i peccatori che erano stati tra le gambe di Rosa e poteva giocarsi la testa che Giovanni fosse figlio del farmacista detto l'arrugginito, con quei capelli rossi non poteva che essere suo, Francesco era rotondo rotondo, proprio come il fornaio, poi c'erano Angela, Vittorio e Mario, gracile e minuto con l'aspetto pallido e smunto proprio come il maestro di scuola. C'era Anna, bionda come il grano e Caterina ormai grande con l'ultimo nato in braccio, Natale.

Un figlio ogni 2 anni, una donna vissuta eppure non consumata: i bambini erano in salute, la casa in ordine, le crepe nei muri sistemate. Lettucci in fila riempivano una stanzetta, mentre il letto grande stava a un  lato della cucina nascosto da una pesante tenda fatta con una coperta di lana al telaio. I bambini se ne stavano per la via se c'era un cliente, spesso aspettavano con gioia l'arrivo di qualcuno perché significava un dono, un frutto, o anche solo una carezza sulla testa, di sfuggita.

Rosa aveva tagliato le sue trecce e ora aveva i capelli corti, quindi i suoi riccioli ribelli e voluminosi le incorniciavano il viso, nessuna donna portava i capelli corti, Rosa sì e lo faceva con orgoglio. Quando entrava in qualche bottega lo faceva a testa alta, sorridendo, come aveva sempre fatto, incurante delle donne che la guardavano male e soddisfatta dei saluti degli uomini che la chiamavano Donna Rosa, un appellativo riservato alle donne di buona famiglia, Rosa sapeva che era in fondo una presa in giro, ma sapeva anche da certi sguardi maliziosi che doveva sbrigarsi a tornare a casa perché qualcuno aveva bisogno di lei.

Nessuna donna del paese sapeva cosa davvero accadesse in casa sua, Rosa invece sapeva quasi tutto quello che accadeva nella maggior parte delle case delle sue compaesane: mariti, figli e padri tenevano molto poco la bocca chiusa quando andavano a trovarla.

I figli crescevano sani, intelligenti e belli, ma con il peso di Donna Rosa sulla testa, per questo non appena poteva li sistemava in un luogo sicuro: un collegio o un lavoro un po' lontano. Caterina fu ovviamente la prima a lasciare la casa, era andata dalle suore carmelitane a imparare il mestiere di ricamatrice, Francesco e Giovanni andarono a fare i pastorelli, avevano cibo in quantità e andavano almeno una domenica al mese a trovare la madre, chi più chi meno in collegio aveva imparato qualcosa, altri lavoravano in qualche paesello vicino come garzone o manovale. Anna invece non se ne voleva andare dalla casa della mamma e a sedici anni se ne stava ancora lì facendo la lavandaia per don Antonio che ancora si prodigava per aiutare Rosa.

Aveva tutto il temperamento focoso della madre, era testarda e orgogliosa e aveva la presunzione che, nonostante la presenza della madre, lei avrebbe avuto più fortuna.

Alla caserma dei carabinieri era arrivato un giovane maresciallo: alto, bello, sembrava Sansone con quei muscoli possenti e quella pelle ambrata. Ma aveva un'indole bizzarra, più che un semplice carabiniere di paese sembrava uno sceriffo.

Passava le sue giornate in giro per le strade assonnate dove per evitare la noia andava urlando ai pochi bambini che giocavano tranquilli.

Anna ne era affascinata al punto di passare ore ore in giro con il sacco dei panni in testa per le vie del paese nella speranza di incrociarlo, e quando ci riusciva batteva talmente forte le ciglia che lui la seguiva con lo sguardo, poi iniziava a parlarle, poi si offriva di portarle il fagotto.

Anna lavava stessa biancheria anche tre volte pur di avere la scusa di vederlo. Lui era uno scapolo di trent'anni anni, pieno di sé e della bella divisa che indossava, Annina, che era pur sempre una ragazzina, era fin troppo precoce e disinvolta nel parlare con quell'uomo e quando lui la raggiungeva al lavatoio per fare due chiacchiere se non c'erano altre lavandaie, Annina si faceva ancora più spudorata perché la fatica la accaldava.

Più lei gli girava attorno, più lui faceva la ruota come un pavone ma Rosa se ne accorse prima che potessero rompere le uova nel paniere.

E anche questa volta corse nel confessionale del suo amico curato, che vecchio ma non ancora stanco, le tese nuovamente la mano e in fretta trovò una soluzione a questo impiccio.

Annina fece su un rapido fagotto e venne caricata di peso su una corriera. Arrivò in una cittadina molto più moderna e rumorosa del suo paesello, qui la famiglia che l'aveva presa a servizio era benestante e ammirevole, il padrone era uno stimato professore, sposato e padre di tre figli diligenti e educati. Annina si sentiva un po' un pesce fuor d'acqua, le ragazze in casa erano quasi sue coetanee ma sembravano bambine, il ragazzo diciannovenne era invece uno studente modello, che non la guardava nemmeno in faccia. Era sola con le sue lenzuola da lavare, le gonne da stirare e i colletti da inamidare, mangiava raggomitolata in un angolo del tavolo della cucina e si intristiva ogni giorno che passava. 

Fino a quando quel filantropo del suo padrone non si mosse a compassione e chiese al figlio di aiutare Annina a imparare i rudimenti della grammatica e del latino.

Alla seconda declinazione Annina stava già imparando altro, e declinazione dopo declinazione si accorse di essersi spinta troppo avanti, ingenua e fiduciosa cantò tutto il carme impudico al padre del suo giovane insegnante che non solo volle verificare personalmente la sua preparazione in materia, ma appurato che la giovinetta era stata oltremodo violata, prima che tutto diventasse troppo evidente, la rispedì a casa sua con in tasca un po' di silenzio.

Tornata in paese di domenica pomeriggio, Annina scese dalla corriera e andò dritta in piazza. Il caos l'avvolse con una gioia e un calore che quasi non si aspettava, le lavandaie vestite con l'abito buono le si fecero vicine contente di rivederla, stava bene Annina era bella, curata e più in carne, si vedeva che non aveva patito la fame in città. Natale suo fratello minore le gettò le braccia al collo e la baciò tra le lacrime felice di rivederla, e mentre Annina chiacchierava e salutava in giro corse a casa a chiamare sua madre. 

A farsi spazio nella folla festante da un lato c'era Rosa che sgomitava per raggiungere la figlia e dall'altro lato c'era il maresciallo, disturbato da tanta confusione.

"Mamma!" 

Annina era contenta, ma nascondeva un turbamento.

"Cosa sei tornata a fare qui?"

"Mamma non sei contenta di vedermi?"

Rosa era felice di vedere sua figlia, ma sapeva quanto il suo posto non fosse accanto a lei in quel paese.

"Il tuo lavoro allora? Cosa devi fare qui?"

"Sono tornata a casa mia lavorerò qui."

Bastarono queste poche parole per rendere furiosa Rosa che aveva impegnato quel poco che aveva messo da parte per darle qualcosa da portare via, e ora lei tornava piena di boria e di insolenza, la donna alzò una mano in segno di ammonimento ma Annina parve non capire.

"Se sono grande per andare a servizio sono grande anche per decidere di tornare a casa mia!"

Il maresciallo intanto disperdeva la folla come se potesse arrecare danno a qualcuno qualche bercio in più e finalmente raggiunse la nuova arrivata: "Annina ma siete tornata! Che piacere!"

La ragazza sfoderò il suo sorriso migliore: "sì sono tornata avevo troppa nostalgia di tutti voi…"

Mentre l'oca faceva la riverenza al pavone, Don Antonio intervenne per placare le ire di una madre che si vedeva nuovamente di fronte a un problema. 

"Non qui Rosa,  portala a casa e parlaci, magari si è trovata male, abbi pazienza."

Natale prese per mano la sorella e se la trascinò via fino a casa. Annina salutò il maresciallo con un languido arrivederci lanciando sorrisi a tutti, mentre la madre fumava dalle narici per la rabbia che aveva dentro.


Entrati in casa Annina buttò fuori il fratellino e tirò le tende rosse. Rosa rimase a guardare senza capire.

"Mi hanno mandato via con una buona uscita, è tanto per me, potrebbe essere la mia dote."

"Dote? Ma che stai dicendo?"

"Ho poco tempo mamma, poco davvero, lasciami fare... il maresciallo avrà quello che vuole."

Rosa aveva capito. Anna era sicuramente la figlia che gli assomigliava di più ma era più scaltra di sua madre.

Complice ancora una volta Don Antonio, che incalzava a messa e anche per la strada con il solito sermone sul senso di colpa di chi si approfitta di un cuore puro, soprattutto se deve rappresentare la giustizia, il maresciallo una sera andò a casa di Rosa, non da cliente, ma a chiedere la mano di sua figlia. Forse era uno dei pochi uomini del paese che non l'avevano conosciuta come malafemmina la Rosa, e probabilmente era uno dei pochi che comprendeva la reale necessità di quella scelta ingrata.

E così fu.

Don Antonio in tutta fretta celebrò il matrimonio della cara Annina, che forse davvero era sua figlia con il maresciallo, in una chiesa mezza vuota, ma la piazza era piena di curiosi. E sebbene una spugna fece la parte della virtù di Annina e venne alla luce un bellissimo bambino dopo soli sette mesi di matrimonio, a nessuno venne mai in mente di dire in pubblica piazza che qualcosa non tornava, ma si sa che chiuse le porte le chiacchiere come sempre giravano più delle trottole per la via.



Un ringraziamento particolare va a Cristian Sisto e al suo splendido gioco di ruolo Barbabianca, fonte di ispirazione per questo nuovo sasso.