Era notte fonda, e in giro per la città non si vedeva anima viva, fatta eccezione per una, quella del signor Taddeo Valentini. Il signor Taddeo Valentini era un uomo anziano, ottantaduenne, che abitava da solo all'ultimo piano della terza palazzina di via dei Sassi. Strano vederlo in giro a quell'ora tarda; sembrava molto sconfortato, con gli occhi bassi e una piccola valigia consunta che lo seguiva oscillando ad ogni suo passo. Stava camminando ormai da mezz'ora, fermandosi di tanto in tanto, con la scusa di appoggiare il peso del suo bagaglio, per guardarsi intorno, come sperando di trovare qualcuno che lo fermasse, che gli chiedesse di rimanere. Ma non avvenne; o meglio, qualcuno lo incontrò, ma si trattò di un’insolita presenza che tra l'altro non aveva nessuna intenzione di trattenerlo.
Cammmina e cammina, il signor Taddeo si ritrovò qualcosa di molto insolito davanti agli occhi: una base rigida marrone, una chioma verde molto soffice e piacevolmente rumorosa per opera della fredda brezza marzolina…non c'erano dubbi: era un albero! Ne conservava memoria da quando era bambino, poi non ne aveva più visto uno. Chi lo aveva piantato lì, così all’improvviso? Abitava in quella città ormai da settant’anni ed era certo di non averlo mai visto prima.
“Che strano, giurerei che quest’albero non sia mai stato qui prima d'ora." Disse ad alta voce il signor Valentini, girandogli intorno per studiarlo meglio.
“Che strano, giurerei che tu sia l'unico che ti sia accorto della mia presenza in tutti questi settanta equinozi in cui ho messo radici qui.”
“Acciderbolina non ricordavo che gli alberi potessero parlare; anzi, a pensarci bene non lo sapevo proprio. Ma davvero nessuno qui in città ti ha visto prima?! Ma com’è possibile… Non sei nemmeno così piccolo e hai dei bellissimi colori.”
“Anche la maggior parte degli spettatori di questo quadro che noi rappresentiamo, di certo avrà visto la città, ma non si sarà accorta di me.”
“In che senso, il quadro che rappresentiamo?”
“Noi siamo arte; la vita stessa è un'opera d’ arte. E dobbiamo imparare a guardare da ogni prospettiva per vederne la totalità, la bellezza. Tu stasera l’hai fatto."
“Cosa ho fatto?”
“Hai cambiato prospettiva e mi hai visto.”
“Ma non mi sembra di aver cambiato niente. Anzi mi pare proprio di essermi chiuso ancora di più in me stesso, e definitivamente.”
“E da cosa ti sembra?”
“Dal fatto di essermi finalmente deciso a fare qualcosa che già da tempo mi premeva qui e qui", disse il signor Valentini premendosi la fronte e il petto.
“Lo so, Taddeo, che stai per partire, ma lasciare tutto non è la soluzione alla tua solitudine."
“Come sai il mio nome? E come conosci la croce che mi schiaccia?”
“Noi, popolo in piedi, sappiamo udire il vento dei pensieri, poiché dentro di noi sta la quiete. E non sai come soffia e urla il tuo sentirti solo."
“Se urla tanto perché lo sentiamo solo io e te? Perché gli altri no?”
“Perché nella continua lotta all'equilibrio di ogni essere umano gridano tante voci; ognuno ha la sua e sovrasta quella altrui. Imparerete un giorno che l'equilibrio è nel popolo tutto e non nel singolo?”
Taddeo si sedette vicino al tronco dell’albero a riflettere bene sulle sue parole; poi si rialzò, porgendogli questa domanda:
“Anche tu sei solo, sei l'ultimo albero qui. Come fai a non sentirti solo?! Rimpiango i tempi in cui la vita era più comunitaria: si dividevano il cibo e le responsabilità, crescendo insieme i più piccoli; si scambiavano i beni, i favori e anche i consigli e quattro chiacchiere. Ora è già tanto ricevere un saluto per la strada o dal tuo vicino di casa.”
“Non è che senza vita comunitaria non si abbia più nulla in comune. In comune si ha la terra, la vita, e forse anche di più. Noi popolo in piedi ne siamo certi."
“Noi? Ma quindi non sei solo? Ci sono altri alberi ancora sulla Terra?”
“Certo, ci sono ancora piccole aree incontaminate, perché scomode, perché zone economicamente poco interessanti."
“E non ti manca il contatto con loro?”
“Noi siamo sempre in contatto. Abbiamo un'intera rete di energie che ci unisce."
“Parli delle radici? Anche noi dovremmo averle; o meglio radici comuni le abbiamo, ma ce ne dimentichiamo. Così come ci si dimentica delle cose vecchie…ci si dimentica di un povero vecchio come me."
“E perché questo accade secondo te? Perché si dimenticano della tua esistenza? Perché te ne dimentichi tu!”
“Forse ci si dimentica perché ci si sente dimenticati.”
“Vale anche il contrario. Il confine è sottile, anzi, qui lo dico e non lo nego: non c'è."
“Un tempo ricordo che si andava dagli anziani ad ascoltare i loro racconti di vita, a chiedere il loro consiglio. Non va più di moda forse, e sinceramente non so più cosa potrei raccontare. Mi sembra di aver perso le parole. Eppure ce le avevo qui, fino a poco fa; e ne avevo tante.”
“Non le hai perse, le hai messe in un cassetto perché credi che non ce ne sia bisogno, ed è lì che ti sbagli. Ma non ne hai bisogno tu, bensì il popolo tutto.”
“Vorrei tanto essere un vecchio saggio, uno di quelli che si trovano spesso nei libri o nelle storie zen. Allora la gente accorrerebbe ad ascoltarmi."
“Taddeo, i vecchi non hanno smesso di essere saggi; non condividono più la loro essenza.”
“Ma la bocca parla ad un orecchio che ascolta…”
“La bocca parla. Punto. E la bocca parla perché a parlare è il cuore. Allora si parla con saggezza. Con l’esperienza del cuore."
“Sì ma se gli altri non sentono che sono saggio allora forse non lo sono.”
“Non sei tu saggio se gli altri ti credono saggio; tu sei saggio se sei saggio, se senti la tua saggezza, se comprendi la tua esperienza e ne fai esperienza, e facendone esperienza ne potranno esperire gli altri attorno a te. Non tacere se nessuno ascolta. Parla di più. Ti ascolteranno. E quando lo faranno, taci."
Da quella notte il Signor Taddeo Valentini scomparve dalla città; al suo posto arrivò Deo il Saggio, e una grande folla di cittadini sostava ogni pomeriggio nella piazza dell'ultimo albero ad ascoltare le sue sagge parole; molto spesso taceva, seduto accanto all'albero, e la massa degli astanti ascoltava il suo saggio silenzio.