Lo cunto de li cunti - La pulce Onnigrafo Magazine

Lo cunto de li cunti - La pulce

La foto di copertina è stata scattata il 20 aprile 1951 e ritrae Rudolph la pulce, parte del Flea Circus di Roy Heckler, che tira un carrello di metallo senza alcuna assistenza.


C’era una volta un re. Non era uno di quei re che viveva nel lusso del suo castello, e che portava bei vestiti e una corona scintillante in testa. Era un re che viveva nel suo piccolo maniero di pietra, sull’alto di una collina. Da lì dominava la piccola valle fatta di campi avvizziti e poche casupole misere. E non si vestiva troppo bene, e sulla testa, quando non sudava per il troppo caldo, portava una corona di ferro anche un po' arrugginita. Era talmente misero come re che aveva addosso le pulci. Un giorno, mentre si grattava frenetico per le pulci che lo mordevano per nutrirsi del suo sangue nobile, gliene rimase una incastrata tra l’unghia di un dito e lo sporco che c’era sotto di essa. Avvicinato il dito al viso per guardare meglio la bestiaccia impudente, si bloccò e non riuscì ad ucciderla. Allora la mise in un grande calice di vetro e la tenne sul tavolo della sua stanza, in mezzo alle carte e ai sigilli reali. Ogni giorno il re aspettava di restare solo per andare nella sua stanza polverosa, e puntosi il dito con un spillo, nutriva la pulce con una goccia di sangue. Stranamente la pulce, che sembrava gradire molto la compagnia del re, iniziò a crescere. Prima delle dimensioni di uno scarafaggio, poi delle dimensioni di una rana; cresceva talmente in fretta che il re doveva cambiarle posto ogni poco. E alla fine quelle gocce di sangue non bastarono più. La pulce era cresciuta così tanto e così in fretta che al re non rimase che creare nella sua stanza una specie di gabbia, nascosta dietro un lenzuolo sospeso dal soffitto. E ad ogni pasto il re furtivamente si infilava cosciotti di agnello sotto la veste, ormai unta e rovinata. Correva nella sua stanza e scansata la tenda trovava la sua pulce, ormai delle dimensioni di un mastino, che pareva scodinzolare in attesa della sua cena. E mentre la bestiola affamata mangiava, il re compiaciuto gli accarezzava la schiena: grossa irsuta e di un tipico color pulce, un grigio marrone che sapeva di povertà.

La pulce era diventata grande come un toro, mangiava più volte al giorno e al cuoco venne da pensare che il re, che ingrassato non era, forse avesse i vermi, oltre che le pulci, perché continuava a riempirsi il piatto ad ogni ora e a chiedere sempre più cibo. A tavola restava poco, il tempo di accusare qualche fastidio e scappare in camera con un grande vassoio pieno di ogni pietanza trovasse sul desco. La figlia restava in silenzio e non comprendeva. Eh sì, perché come in ogni favola che si rispetti, questo re aveva anche una figliola. Trascurata dal vecchio padre e miserella, era tuttavia dignitosa e modesta, e soprattutto senza pulci, poiché non temeva né l’acqua né il sapone, e poi era in età da marito e non poteva rischiare di essere snobbata. Anche se, di occasioni di trovare uno sposo che se la raccogliesse da quella disperazione, da mesi non se ne presentavano più. Nessuna cena, nessun ospite. Solo tanto cibo e fughe in camera del re padre.

Ma una notte il re mandò a chiamare piangente il medico di corte. Tutti pensavano stesse morendo il sovrano. Quando il medico entrò lo invitò a mettersi a letto. Il re aveva le guance scavate dal pianto e gli occhi rossi. Tirò l’uscio dietro di sé e impose al medico di fare giuramento su ciò che stava per vedere. Il medico si mise la mano sul petto e con viso fiero giurò la massima discrezione. Il re allora tirò la tenda, l’enorme pulce stava accasciata sul pavimento ansimando. “Sta morendo – disse il re – salvatela vi prego”. Il medico non aveva certo mai visto una cosa simile, non proferì alcuna domanda, si avvicinò alla bestia e fece finta di oscultare il suo cuore. Era uno strano battito veloce dal suono sordo. Ma lui non sapeva cosa volesse dire, era un medico in fondo, al massimo per quello che riguardava gli animali, aveva fatto partorire una pecora.

Il medico sentenziò: “ha mangiato troppo, può essere un infarto per una congestione”. Dopo la sentenza la pulce si sentì libera di spirare rumorosamente. Il medico aprì la finestra e lasciò il re a piangere a singhiozzi sul corpo della pulce. La mattina dopo entrò nella stanza del re il conciatore, ne uscì ore dopo sudato e scuotendo la testa.

Ora il re preso dallo sconforto della grave perdita si riaccostò alla figliola, che gli strappò la promessa di trovarle un marito. Venne dato l’annuncio che al tale giorno a corte si sarebbero dovuti presentare tutti gli aspiranti, e sostenendo una difficile prova, avrebbero potuto ambire alla mano della principessa. La prova era piuttosto bizzarra: il pretendente doveva riconoscere a quale animale appartenesse una pelle esposta dal re. Ovviamente nessuno poteva immaginare che una pelle così grande potesse essere di una pulce. Il medico e il conciatore, per sicurezza, vennero tenuti a distanza. Nessuno riusciva ad indovinare. Un rinoceronte? Un cavallo? Un cammello? Il re sogghignava al pensiero di non dover sborsare nessuna dote, e la figlia si indignava sempre di più nel vedersi zitella. Ma ad un certo punto un omone alto più di due metri, rozzo e brutto, vestito di pelli di animali e cuoio e con un’ascia in mano, si presentò davanti al re. Annusò e toccò la pelle e con voce roca e spaventosa disse: “Pulce!”. Il re ebbe solo un istante di esitazione, la figlia già piangeva e si disperava insultando il padre. Ma l’orco si caricò la moglie in spalla e se la portò via senza indugio. La principessa urlava e piangeva, ma allo sposo poco interessava. La portò nella sua casa in cima ad una cascata e lì ogni giorno le portava da mangiare. La principessa disperata deperiva e piangeva, finché un giorno passò di lì una vecchia che presa dalla compassione, dopo aver sentito la triste storia della principessa, decise di aiutarla assieme ai suoi figli. E così sette giovanotti la rapirono e iniziarono un viaggio pieno di peripezie, uno dopo l'altro i giovani portarono in spalla  la principessa per poter correre più veloci e dopo aver guadato fiumi e scalato montagne, l'orco, in preda alla disperazione e alla rabbia per aver perso sua moglie, scivolò su una roccia e cadde in un dirupo e lì morì. I giovani continuarono la loro strada e riportarono la povera principessa nel suo castello pulcioso. Dopo mesi di prigionia e follia la principessa tornò nel castello dove il padre era rimasto con la sua pelle di pulce a piangere la figlia disgraziata, i due si abbracciarono felici e dopo un lungo bagno, la principessa sposò uno dei suoi salvatori.