I perché della fabbrica di cioccolato Onnigrafo Magazine

I perché della fabbrica di cioccolato

"Solo una volta all’anno, in occasione del suo compleanno, a Charlie Bucket era dato assaggiare un po’ di cioccolato. Tutta la famiglia metteva da parte i soldi per quella speciale occasione e quando il grande giorno finalmente arrivava, gli regalavano sempre una tavoletta di cioccolato che Charlie poteva mangiare tutto da solo. Ogni volta che ne riceveva una, nel meraviglioso giorno del suo compleanno, la riponeva con cura in una scatolina di legno e ne faceva tesoro come se si trattasse di un lingotto di oro fino; nei giorni seguenti si permetteva soltanto di guardarla, senza neanche sfiorarla. Infine, quando proprio non ce la faceva più, ne scartava un angolino, scopriva una porzione piccola piccola di cioccolato e ne addentava un minuscolo pezzetto – appena appena abbastanza da permettere al dolce sapore del cioccolato di spandersi deliziosamente su tutta la lingua. Il giorno dopo dava un altro piccolo morso e così via, giorno dopo giorno. E così Charlie faceva in modo che una tavoletta di cioccolato da pochi soldi gli durasse più di un mese.”


Credo che non esista persona che non conosca almeno una versione del film La fabbrica di cioccolato.

Il primo film del 1971, Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, interpretato dal grande attore Gene Wilder, venne ispirato al regista Mel Stuart direttamente da sua figlia che aveva appena letto il libro e, proprio come avrebbe fatto Veruca Salt, chiese a suo padre di realizzarci un film. Dal film al libro le differenze sono molte, a partire da tutti i riferimenti letterari che lo stesso Wonka cita in diversi punti della pellicola stessa, al particolare senso del grottesco nel creare quasi una crudele sorta di ironia, diretta più che altro ad un pubblico adulto e poco adatta ad un pubblico di bambini, che potrebbe trovare addirittura disturbanti alcune immagini, come ad esempio quelle che si vedono mentre la comitiva nella fabbrica attraversa con il battello il tunnel. Le immagini di Willy Wonka che esce dalla sua fabbrica zoppicando e appoggiandosi ad un bastone per poi cadere in una mirabolante capriola e ritornare con un balzo in piedi, non fa parte né della sceneggiatura del regista, tantomeno del romanzo originale, fu invece proprio Gene Wilder a chiedere di inserire una scena simile, altrimenti non avrebbe girato il film, il motivo non è dato di saperlo. La pellicola ruota, con una serie di personaggi e una ambientazione estremamente particolare, intorno ad un unico importantissimo protagonista: Willy Wonka; tuttavia il fatto di preferire l'immagine di Wonka a quella di Charlie, il bambino prescelto a diventarne l'erede, fece sì che lo stesso autore Roald Dahl disconobbe il film, proprio perché era stata posta troppa enfasi sul personaggio Wonka e non abbastanza sul bambino, poiché Charlie era il vero protagonista della storia.

La seconda pellicola girata invece da Tim Burton nel 2005, modifica il titolo in Charlie e la fabbrica di cioccolato, premettendo fin dall'inizio quanto sia stata importante per lui la capacità di staccarsi dal primo film realizzato cercando invece di tornare allo spirito originale del romanzo di Dahl.

La storia in entrambi i casi è molto simile: si parla di un bambino, Charlie Bucket che è molto povero e vive insieme alla sua famiglia, composta dai genitori e da entrambe i nonni paterni e materni, in una piccola casetta di legno malandata e siccome sono estremamente poveri mangiano solamente zuppa di cavoli. Charlie, come tutti i bambini, adora il cioccolato ma ovviamente, non avendo denaro a disposizione, può mangiare una sola tavoletta di cioccolato all'anno come regalo per il suo compleanno. Sarà nonno Joe a raccontare al piccolo Charlie cosa accadeva nella meravigliosa fabbrica di cioccolato di Willy Wonka, nella quale anni prima lavorava lui stesso e da cui era stato licenziato all'improvviso, poiché Willy Wonka aveva deciso di chiuderla. Ma un giorno questa ricominciò a funzionare dopo esser stata ferma alcuni anni, ma stranamente nessuno entrava o usciva dalla fabbrica, nonostante si vedesse un gran via vai di furgoncini delle consegne della cioccolata.

Willy Wonka un bel giorno senza motivo apparente decide di indire un concorso, inserendo 5 biglietti d'oro in altrettante tavolette di cioccolato, per dare a chiunque li avesse trovati la possibilità di visitare la sua grandiosa fabbrica e il signor Wonka in persona avrebbe inoltre scelto tra i 5 vincitori uno fra tutti per dargli un premio speciale.

Quattro orribili bambini viziati trovano i primi quattro biglietti vincenti, l'ultimo biglietto viene trovato da Charlie, con un vero colpo di fortuna e sarà proprio nonno Joe ad accompagnarlo in questo giro turistico. I primi quattro bambini, viziati, egoisti e ingordi, finiscono per fare una brutta fine, o forse no, questo non è dato di saperlo di preciso; mentre Charlie, che si sa accontentare perché è un bambino povero ed è abituato ad avere poco, risulta essere il vincitore e finisce per ereditare l'intera fabbrica di Willy Wonka dove poi si trasferirà con la sua famiglia e qui lo aiuterà a creare nuovi fantastici dolci.

Ma qual è il messaggio profondo che Dahl voleva trasmettere ai suoi lettori? Possiamo parlare di un profondo senso della famiglia innanzi tutto; sei gruppi familiari che ruotano intorno alla fabbrica, quelli dei bambini più quello di Wonka presente all'interno della sua mirabolante struttura insieme alla sua famiglia di Umpa Lumpa. Ci sono i genitori che assecondano, che viziano, che sanno solo dire di sì e il comportamento dei figli risulta essere maleducato, sconveniente, addirittura pericoloso, mentre l'unico bambino che ha un'immagine familiare particolarmente salda, porta a stendardo la figura di una famiglia costruita innanzitutto sull'amore, un amore che egli nutre per i suoi genitori e per i suoi nonni che non può essere barattato con tutto il cioccolato del mondo.


Poi c'è il messaggio che arriva proprio dal cioccolato. Ed ecco che spunta fuori tutta una serie di considerazioni legate al gusto e alle sensazioni di piacere che il cioccolato stesso, come alimento al di sopra di molti altri dolci, rappresenta. Il cioccolato è una metafora potente di dolcezza, di bontà, di calore, di allegria, di allegra condivisione, di dono. E tutte le immagini in cui il cioccolato è protagonista ci restituiscono immediatamente il significato della bontà che scorre a fiumi, proprio come il fiume di cioccolata che scorre all'interno della fabbrica di Willy Wonka, è un fiume morbido, avvolgente, che profuma e corrisponde quasi al respiro stesso della famiglia, al sentimento che la anima o che perlomeno la dovrebbe animare, che la muove e la sostiene. Quindi la famiglia dovrebbe essere il luogo ideale in cui il cioccolato, ossia il bene e l'affetto, viene prodotto, viene realizzato, viene mantenuto vivo. La famiglia rappresenta la stessa fabbrica di cioccolato: se l'amore alimenta la famiglia, la famiglia produce amore e viceversa, in un circolo straordinariamente virtuoso, e la fabbrica popolata dai piccoli Umpa Lumpa è costituita da operai che non sono estranei, ma appartenenti stessi di una grande famiglia e lavorano insieme per creare qualcosa di buono. E in contrapposizione che cosa c'è? C'è la fabbrica automatizzata, tetra, isolata, dove la bontà è divenuta meccanica e dove la famiglia si è trasformata nello stereotipo di sé stessa accondiscendendo semplicemente a produrre un bene che viene consumato solo sotto forma di uso e non sotto forma di piacere.


Elisa Massari nel suo saggio I bravi bambini mangiano cioccolata, dedicato a Dahl, scrive che nei suoi racconti l'autore ha sempre impiegato il cibo come metafora affettiva e come spia di malessere sul quale necessario agire per cambiare le cose. L'autrice sostiene che “le tematiche utilizzate dallo scrittore possono essere paragonate a metaforici ingredienti i quali mescolati assieme possono essere risolutivi di malesseri degenerativi”.

In molte storie di Dahl il cibo diventa il leitmotiv, la giostra sulla quale girano le vicende, innanzitutto appunto nel libro La fabbrica di cioccolato, il cibo occupa proprio il ruolo del regista nel senso che dirige i protagonisti secondo la loro inclinazione e la loro intelligenza etica.

La storia di Charlie è quella di un bambino che vive nella povertà e che si riscatta dunque per la sua integrità morale, Charlie desidera mangiare perché ha fame, lo stesso Willy Wonka ammonisce più volte i bambini sui pericoli e sugli inganni che il meraviglioso mondo dei dolci potrebbe riservare a coloro che si fanno trascinare dai propri vizi. Il cioccolato è dunque un premio, ma è un premio che deve essere rilasciato con la giusta dose e con la giusta morale che lo accompagna; il cioccolato può inoltre essere un'arma di riscatto per compensare dei bisogni affettivi da parte di bambini tendenzialmente trascurati da genitori intenti solo a corrompere e contaminare, proprio per scarsità di volontà educativa. Il dito di Dahl quindi non è puntato sui ragazzi che si fanno trascinare dai propri vizi, piuttosto sugli adulti che sono la causa della maleducazione cronica di alcuni bambini. Se lo guardiamo dal punto di vista pedagogico probabilmente Charlie e la fabbrica di cioccolato come romanzo potrebbe essere ricco di spunti di riflessione e anche di indicazioni sulle buone pratiche che gli adulti, e soprattutto i genitori, dovrebbero seguire per prendersi cura dell'infanzia, specialmente dal momento che la stessa infanzia dovrebbe esser vista come salda base per il futuro.


Estratti i messaggi importanti di Dahl nella sua opera, viene da chiedersi una semplice cosa: perché il cioccolato? Non poteva essere una fabbrica di caramelle? O di biscotti al burro, oppure di dolcetti ripieni alla crema e glassati? Perché la scelta è ricaduta proprio sul cioccolato?

Se poniamo questa domanda ad un qualunque motore di ricerca o a qualunque persona la risposta sarebbe la medesima: perché è buono, talmente buono che rende felici.


Se dovessimo parlare della storia del cioccolato probabilmente dovremmo iniziare a parlarne partendo circa 4000 anni indietro, quando le fave di cacao erano usate come moneta di scambio dagli antichi popoli dei Maya e degli Aztechi. La storia del cioccolato ha inizio in America Centrale, in quelli che oggi sono Messico, Perù e Panama: inizia tutto con un albero del sottobosco i cui semi nel corso dei secoli hanno assunto diverse proprietà, oltre a quella nutritiva. Il cacao, o meglio il cioccolato, parola odierna che deriva dal nome antico della civiltà precolombiana Xocoatl, diventa nel tempo un elemento sociale: da moneta di scambio a elemento religioso, fino a quello agricolo; era prezioso al punto tale che veniva addirittura lasciato nelle tombe dei morti come offerta. Nel 1502 il cioccolato arriva finalmente in Europa grazie ai primi coloni nel nuovo mondo e all'inizio resta collegato alle varie credenze azteche che ritenevano il cioccolato uno stimolatore del corpo e dei sensi; diviene quindi per gli europei un rimedio medico. Sicuramente il cioccolato è uno stimolante, ma soprattutto era chiaro quanto fosse soprattutto estremamente buono e per secoli si utilizzò come farmaco per la digestione, per il cervello, per potenziare il rendimento e per combattere la depressione. Nell'era moderna il cioccolato perde la sua importanza scientifica per arrivare ad avere un'importanza estremamente più ampia dal punto di vista culinario. Dobbiamo tuttavia aspettare il 1900 per avere la prima barretta di cioccolato. Sarà creata in Belgio e da lì in poi la produzione del cacao si scatena con impeto incredibile, è una fantasia pazzesca di idee e di abbinamenti, lo sviluppo della cioccolata e di tutta l'industria che gli gira attorno non conosce più un limite, non ha un freno, si producono alimenti d’ogni genere: dalle bevande alle praline, tartufi, biscotti, gelati, pane, pasta, dolci natalizi e dolci pasquali, è impossibile restarne senza. Dalla fine del 1900 ad oggi il cioccolato è stato valutato diversamente, una nuova luce di consapevolezza e di importanza a questo alimento così importante: si vuole conoscere la sua origine, si vuole sapere quali sono le sue composizioni alla ricerca di alimenti che oltre ad essere buoni siano anche di supporto per la salute. Ovviamente c'è alle spalle di questo grandissimo indotto che gira intorno alle fave di cacao uno sfruttamento economico delle popolazioni che lo producono estremamente grave e vasto, ma non è questo il luogo per parlare di ciò, semmai quello che possiamo ribadire è quanto il cioccolato sia buono, quanto ci faccia bene e ci renda felici e, ammettiamolo, aver visto quei fiumi di cioccolato nei film con la fabbrica di Willy Wonka ci ha fatto desiderare di essere come Augustus Bloom e di poter fare anche noi un bel tuffo e una bella scorpacciata!


Bibliografia:

  • Roal Dahl, La fabbrica di cioccolato, prima edizione 1961
  • Elisa Massari, I bravi bambini mangiano cioccolata, Cleup, 2008
  • Gianluigi Storto, Il cioccolato: scienza, storia e curiosità