L'airone Onnigrafo Magazine

L'airone

Immagine di Michele De Pace


C’era una volta un paese in cui la coltivazione di riso provvedeva alla sopravvivenza di tutti gli abitanti.

Come tutte le zone umide, era abitata da una colonia di aironi.

Tra tutti i più giovani ce ne era uno dispettoso. Differentemente dagli altri non passava il tempo a corteggiare le femmine della sua specie e quando si avvicinava qualche umano, non scappava, ma si divertiva a far scherzi: si librava in volo davanti a loro e li beccava sulla testa.

Se poi si trattava di una donna con un fermaglio per capelli, scintillante come un diamante, glielo prendeva e le volteggiava davanti come a deriderla. In quella zona erano una specie protetta e nessuno osava sparargli e l’uccello sembrava saperlo.

Un giorno vide una fanciulla nuova china sul campo a svolgere il suo lavoro. Il sudore che bagnava i suoi capelli aumentava il luccichio del fermaglio che aveva in testa. Lui iniziò il suo volo acrobatico, le afferrò il pettine tra i capelli con il becco e iniziò a sbeffeggiarla battendo le ali e rimanendo sospeso a mezz’aria di fronte a lei. Quando la fanciulla drizzò la postura, il pennuto rallentò il battito d’ali perdendo leggermente quota.

Il sottile abito di cotone le aderì al corpo, l’airone riuscì a percepire con occhio quasi umano il disegno del suo corpo, disegnato dai fiori stampati sul leggero tessuto.

La ragazza sorpresa allungo le braccia gridando “ridammeloooo!” Lui, come se avesse capito, lasciò cadere il fermaglio tra le sue mani e andò via. Fece gli ultimi due giri sopra quella ragazza e si allontanò, guardandola per un’ultima volta.

Da quel giorno il suo comportamento cambiò. Smise di fare dispetti ma continuava a non scappare all’arrivo degli umani. Cercava quella mondina e quando la trovava le si fermava a breve distanza.

Lei, osservando quel comportamento anomalo, tentava invano di avvicinarsi, ma più accorciava la loro distanza più lui indientreggiava.

Andarono avanti così per qualche settimana, finché un giorno si fece avvicinare. per giorni si avvicinavano e si sfioravano. L’airone permise a quella mondina di passargli la mano sulla testa, poi di solleticargli il becco. Le permise di passare le dita sul collo sottile e allungato fino alle ali, L’airone restava immobile come in estati a fissare il suoi occhi, ad assaporare il suo respiro e quelle carezze, poi distoglieva lo sguardo e volava via.

Un giorno l’Airone, con l’animo stretto nel pensiero di quella giovane donna, andò dal capo Falcone, una creatura alata che aveva poteri magici.

«Capo Falcone fammi diventare umano. Voglio essere come la fanciulla che vedo ogni giorno. Voglio contraccambiare le sue carezze.»

Il capo Falcone fu sorpreso da questa strana richiesta. Il giovane airone aveva cambiato atteggiamento, era cresciuto: aveva smesso di essere fastidioso con gli umani e finalmente si era affezionato ad una femmina, ma non era della sua specie. Colpito da tanta stranezza il Falcone lo mise davanti ad una scelta: si sarebbe potuto trasformare in umano solo per dieci giorni al calar del sole, per tornare poi alle sue sembianze di uccello all’alba. Gli sarebbe bastato trovarsi ai margini della risaia e una volta a terra, con qualche battito di ali si sarebbe trasformato in uomo e al sorgere del sole sarebbe bastato agitare le braccia per tornare airone.

L’undicesimo giorno avrebbe avuto l’ultima prova da superare, ma gli sarebbe stata rivelata al momento opportuno.

La sera stessa appena all’imbrunire l’airone fu svelto a sostituire le sue piume con una pelle chiarissima, il collo si accorciò, il becco venne sostituito da delle labbra e da un naso dalla forma aquilina. Gli occhi rimasero simili a quelli originali: un marrone chiarissimo con qualche sfumatura di giallo, con una grossa pupilla nera. Il corpo snello, le gambe fine e le braccia che sostituirono le ali erano robuste. Sceso tra la popolazione che prima tanto derideva, il primo compito del nuovo uomo fu quello di cercare qualcosa per coprire il suo corpo, comprese che quello che prima gli sembrava normale ora non lo era più. Non aveva mai pensato ai vestiti, prima erano le piume a coprire la sua pelle. Completata la vestizione alla meno peggio andò alla ricerca del suo sogno.

I giorni prima della richiesta al grande re Falcone, aveva seguito la sua mondina. Ora sapeva dove abitava e trovarla fu facile. La trovò seduta su una sedia a dondolo che leggeva un libro.

La vista era cambiata, la percezione delle figure ora era più chiara; non aveva visto prima che fosse così bella.

Lui si avvicinò, chiedendole qualcosa da mangiare; quello che prima era il suo cibo, pensò ora non andasse più bene.

La ragazza alzando lo sguardo in principio ebbe un po’ di paura, poi guardandolo negli occhi, notò qualcosa di familiare. Quel colore le ricordava quelli dell’Airone che ormai coccolava ogni giorno. Non sapeva eppure in cuor suo intuiva.

“Possibile?” si domandò lei.

La voce di quel giovane uomo aveva anche lo stesso tono del verso di quell’uccello.

Si propose di accompagnarlo dove avrebbe potuto mangiare, lui le rivelò di non sapere come pagare e lei gli offrì la cena.

L’airone agiva in modo strano, diverso dalla sua reale natura, capì che il re Falcone gli aveva dato il potere di essere simile agli uomini non solo con il corpo, ma anche nei pensieri, aveva in testa cose che conosceva eppure non sapeva come.

La mondina dagli occhi chiari ed i capelli scuri, iniziò a passare la sua mano sul suo braccio: provava le stesse emozioni di quando accarezzava il volatile. Un po' aveva paura, non riusciva a comprendere le sue sensazioni. Parlarono molto quella sera, lui non capiva come riuscisse a trovare gli argomenti giusti, ma era contento. Lei era rimasta lì tutta la notte a raccontarsi con lui, guardandolo negli occhi che trovava piacevolmente amichevoli.

Giunto quasi all’alba il giovane dovette trovare una scusa, doveva tornare airone prima che il sole spuntasse o non sarebbe più tornato come prima.

I primi giorni passarono così. Di giorno si faceva coccolare come Airone, la sera le parlava come umano.

La ragazza non riuscì a resistere a quel ragazzo così gentile, dai modi garbati e lo trovò un po’ impacciato nel primo bacio il sesto giorno.

Nei giorni seguenti non dormirono molto: lui cominciò ad imparare il significato di sonno, lei gli insegnò la parola amore.

L’ottavo giorno si amarono, così come il nono ed il decimo e la mattina dell’undicesima alba fu convocato dal re Falcone.

«Dimmi giovane Airone, cosa hai imparato?»

«Oh mio grandissimo re Falcone, vi ringrazio di aver esaudito la mia richiesta. Ho imparato che gli umani possono esser cattivi, ma anche molto buoni e dolci quando si vogliono bene.

Noi ci accoppiamo solo per la riproduzione, loro anche solo per il proprio piacere. Dormono come noi, forse più profondamente. La donna che amo mi ha insegnato la parola sacrificio e lavoro, a noi parzialmente sconosciute, dobbiamo solo cercare cibo e costruire il nido per i nostri piccoli. Ma la cosa più bella che mi ha insegnato è cosa sia l’amore. Noi non ci guardiamo con quegli occhi tutto il giorno, ci avviciniamo alle nostre femmine solo quando è il momento dell’accoppiamento, loro no, si amano tutti i giorni, anche se poi per alcuni motivi si lasciano.»

«Bene giovane Airone, ora dovrai affrontare la tua ultima prova. Avrai la possibilità di trasformarti per un’ultima volta. Una volta diventato umano, dovrai decidere se rimanere tale per tutta la tua mortale vita o se tornare ad essere un Airone, ma immortale.»

Diventare umano avrebbe significato amare quella donna, ma anche andare incontro a morte sicura.

Tornare Airone voleva dire volare per sempre con il dono dell’immortalità, ma dire addio a quella fanciulla.

In oltre il re Falcone gli mise un’ulteriore postilla. Se si fossero lasciati, per qualsiasi motivo, o lui avesse amato un’altra donna, sarebbe morto il giorno dopo. Per tutto il giorno non andò dalla fanciulla, volò su quelle risaie, guardò dall’alto quelle pianure, osservò quelle persone chine sull’acqua mentre lavoravano.

Gli sarebbe mancata quella vista?

Quanto avrebbe potuto trarre giovamento nel vederla mutare di stagione in stagione, ma in eterno?

Quanto gli sarebbe pesato lo stesso paesaggio per sempre?

Certo avrebbe potuto migrare, vedere altre terre. Ma non avrebbe più potuto accarezzare lei.

Avrebbe potuto godere delle sue brevi carezze andandola a trovare di tanto in tanto, ma ormai sapeva che un giorno non sarebbe più andata, sarebbe invecchiata o se ne sarebbe andata.

O forse più semplicemente lo avrebbe dimenticato, avrebbe accarezzato e amato qualcun altro.

La sera stessa, bussò alla porta della sua mondina. Le restò accanto tenendola stretta mentre lei dormiva tra il calore delle sue braccia, pensò a come sarebbero state le notti seguenti a come sarebbe stata la sua vita con quelle vesti. Pensò che in fondo la vera felicità, non era altro che vivere e condividere le piccole cose con la persona amata. Non gli serviva l’eternità, se non fosse stata con lei. Accettò tutti rischi perché sapeva che ne sarebbe valsa la pena.

La mattina l’alba lo sorprese sul letto, tra le braccia di lei. La guardò svegliarsi, aprire gli occhi lentamente, vide le sue labbra disegnare la curva di un sorriso che sciolse ogni suo indugio.

Si sentì stranamente contento, era la prima volta che si svegliava uomo e non era mai stato così felice.

Passarono le settimane e la mondina non vedendo più il suo airone, un giorno rientrò triste a casa.

«Cosa c’è che non va?» Le chiese lui preoccupato.

«Alla palude c’era un Airone che si faceva avvicinare solo da me, è qualche giorno che non lo vedo più.»

Ireneo, così aveva deciso di chiamarsi, l’abbracciò: «tesoro, lui sarà sempre vicino a te finché lo ricorderai».

Lei si strinse in quell’abbraccio, pensando alle coincidenze della vita: aveva perso il suo amico volatile e aveva trovato l’amore. Ricordò le parole di sua nonna: “ogni qual volta perderai una cosa, ne troverai una migliore”.


Lui non si rammaricò mai della scelta fatta e invecchiò sereno e amato.