Gli allenamenti continuarono ogni giorno: combattimento, esplorazione e investigazione alternati allo studio di antiche pergamene sulla storia, la politica e la filosofia greca e romana. Nany si impegnava molto ottenendo risultati migliori nelle attività all’aria aperta piuttosto che negli studi. Dopo un anno, fu in grado di andare a caccia per conto proprio, sia di animali, che di banditi. Dopo quasi sette anni dal suo arrivo, la regione era di nuovo sicura e alcuni borgomastri inviarono ambasciatori all’imperatore Arcadio per comunicargli che il princeps Tigrane aveva pacificato i suoi territori, rendendoli sicuri per i sudditi dell’impero.
Nella primavera di quell’anno giunse alla torre un messaggero dell’imperatore, scortato da alcuni cavalieri. Non avevano trovato alcun bandito da quando erano entrati nelle terre del princeps. Durante il loro tragitto avevano interrogato contadini e borgomastri, in ogni villaggio avevano trovato delle guardie cittadine ben armate e organizzate, pronte ad ogni evenienza di ordine pubblico, dalla rissa all’incendio. Gli uomini dell’ambasceria furono stupiti dell’ordine che regnava in quelle terre e dell’abilità dell’uomo che gestiva quell’ampio territorio. Nel loro viaggio il messo imperiale venne a conoscenza anche delle alleanze politiche con i signori confinanti, con i quali erano stati stipulati dei trattati di aiuto reciproco.
Grande fu lo stupore del messo imperiale e del comandante della scorta quando un capitano delle guardie cittadine affermò che chi aveva organizzato e gestito gli incontri con i vari borgomastri era stata la figlia del princeps. Il capitano era stato presente ad uno dei colloqui per gli accordi con i borgomastri e aveva seguito tutto con molto interesse, lodando le qualità diplomatiche della donna.
All’incontro tra il princeps e la delegazione imperiale presenziò anche Nany. La delegazione si fermò nel monastero per alcuni giorni e gli uomini notarono con grande stupore che l’uomo più importante di quelle terre aveva ceduto il proprio castello a degli uomini di fede mentre aveva tenuto per sé solo la torre di guardia dalla quale poteva dominare tutta la vallata. Alcuni giorni dopo la delegazione ridiscese per la strada lastricata che congiungeva il monastero con il villaggio a valle; il messo aveva con sé una lettera sigillata da parte del princeps per l’imperatore, che sarebbe stata letta e valutata da Antemio, il prefetto che aveva soggiogato l’imperatore Arcadio, divenendo il regnante ombra dell’Impero Romano d’Oriente.
Nany, dalla terrazza della torre rimase a guardare il drappello di cavalieri allontanarsi dalla loro casa chiedendosi se avrebbe mai più rivisto il giovane messo dell’imperatore.
Quella notte, dopo una cena frugale nel refettorio dei sacerdoti, dopo aver fatto alcune considerazioni con i suoi fedeli aiutanti e alcuni di quegli uomini di fede, Elios si ritirò nella torre mentre Nany rimase a parlare ancora un po’ con Giuliano che ormai le si era affezionato come se fosse sua nipote. Quando la fanciulla uscì dal monastero era già buio e il pianoro era illuminato solo dalle luci delle stelle e della luna che brillava piena nel cielo. L’aria era umida, ma la giovane respirò a pieni polmoni, libera dall’angoscia che l’aveva attanagliata in quei giorni. Di proposito non aveva voluto usare i propri poteri per sapere cosa sarebbe potuto accadere e come si sarebbe dovuta comportare di conseguenza, come aveva fatto un paio d’anni prima, al colloquio con un patrizio confinante. Un disastro, la punizione di Elios era stata così esemplare che ancora ricordava alla perfezione ogni singolo sasso acuminato sotto le ginocchia. Stavolta si era affidata solo alla propria oratoria, quando interpellata.
Giunta davanti alla porta della torre la giovane rimase in ascolto, non sentendo rumori provenire dall’interno rimase a fissare il cielo ancora alcuni istanti e poi entrò annunciata dal lieve cigolio della porta. Dopo averla chiusa dietro di sé, tirò il paletto fissando Elios, addormentato sul tappeto di pelliccia d’orso davanti al camino. Nany coprì in silenzio i pochi passi che li separavano, poi si inginocchiò per coprirlo con un’altra pelliccia per farlo stare al caldo. Carezzandogli il viso in un gesto affettuoso si rese conto che l’uomo non era invecchiato di un solo giorno da quando lo aveva conosciuto. Posando i polpastrelli di entrambe le mani sulle tempie di Elios iniziò un lento massaggio. Senza rendersene conto, il movimento la portò a concentrarsi e vide ancora quei volti alieni di quegli uomini e quelle donne che aveva visto spesso nei sogni di suo padre, con la pelle e i capelli in tutte le sfumature del cielo.
Nei suoi ricordi li chiamava con nomi che ben conosceva, ma non riusciva a trovare il nesso tra quelle creature blu con quattro dita e Zarich, l’uomo dai capelli bianchi come la neve o Cassandra, la donna dai capelli rossi come il fuoco. Nemmeno Arianna, nei ricordi di Elios, era la stessa guerriera dai capelli neri e corti come quelli di un uomo che le aveva sorriso serena un anno addietro, prima di voltarsi e andarsene.
La quarta figura azzurra, però, rimaneva un mistero. Sembrava rispondere a un nome che talvolta il suo maestro aveva chiamato nel sonno: Omar. Lei non conosceva nessun Omar.
All’improvviso si riscosse, togliendo le mani dalle tempie di Elios e osservò l’uomo che l’aveva salvata, curata, istruita. L’uomo che aveva amato con l’impeto di una ragazzina affamata d’affetto e che ora amava come solo una figlia può amare il padre. Eppure, lui continuava a celarle dei segreti.
Fissò lo sguardo sulla fibula che teneva chiusa la tunica di lana pregiata e allungò le mani per sganciarla, pensando di far dormire il padre più comodo. Se non altro non si sarebbe ferito alla gola nel sonno.
La mano di Elios scattò rapida come una vipera, artigliando la sua. Lo sguardo di quel verde azzurro incredibile le si piantò addosso scavandole dentro con la riprovazione che vi lesse.
Non servirono parole, vergognosa lei ritrasse la mano, si alzò di scatto e senza una parola si precipitò su per le scale e nella sua stanza, dove entrò come una furia sbattendo la porta.
La rabbia era montata scalino dopo scalino, più saliva e più realizzava come l’avesse fatta sentire una ladra con quello sguardo. Ladra di oggetti, ladra di ricordi. Era sua figlia! Stava con lui da oltre sette anni, le aveva insegnato tutto, ma ancora non si fidava di lei! Anzi, la guardava accusatore mentre lei si era sempre prodigata a cercare di farlo star meglio, certo sognare quei mostri azzurri doveva procurargli non pochi incubi, lei li aveva avuti più volte dopo averlo alleviato delle sue pene, eppure con quello sguardo Elios l’aveva accusata in maniera inequivocabile di essersi intromessa in affari che non la riguardavano.
Furibonda, si mise a camminare su e giù per la sua stanza ignorando il fuoco nel braciere che languiva in poche braci pronte a spegnersi del tutto e, nell’oscurità della stanza che conosceva a menadito, ebbe l’illuminazione.
La fibula.
Aveva l’aria di essere antichissima e la foggia era egiziana, di questo era sicura perché una delle cose che Elios aveva tenuto in grande considerazione nella sua istruzione era stata la storia degli antici imperi, da quello Babilonese a quello Egiziano fino alla lunga storia dell’Impero Romano, da quando era solo un piccolo regno a quando era diventato una Repubblica invincibile per trasformarsi poi nell’impero grande e glorioso ora finito diviso e in rovina.
Talvolta, ascoltandolo, aveva avuto l’impressione che lui fosse testimone degli eventi che narrava. E, sempre, in quei momenti si sfiorava la fibula.
Non solo. Crollò seduta sul letto, quando realizzò che lo stesso simbolo sacro egiziano sulla fibula del suo maestro era presente anche sullo spillone fermacapelli di Cassandra, sull’anello di Zarich e sull’orecchino di Arianna.
Strinse la stoffa della gonna nei pugni.
La fibula. La fibula era la chiave di tutto. E forse avrebbe scoperto quale fosse il reale legame tra Elios e i suoi tre amici, nonché tra loro quattro e quei quattro mostri dei ricordi di Elios che portavano lo stesso nome.
Nany impiegò cinque giorni a mettere a punto il piano, cinque giorni durante i quali aveva intavolato a più riprese un discorso sui suoi amici o sul suo passato, per lo più con domande casuali, fatte con il tono di chi non si aspetta una risposta, che puntualmente non era arrivata.
Ne aveva fatte spesso, in passato, di domande, ma Elios aveva sempre tergiversato, manipolando il discorso su argomenti che non lo toccavano da vicino. Sicché, quelle domande sporadiche non suscitarono alcun dubbio in lui, almeno così pareva a Nany.
Finì di mescere il vino che consumavano abitualmente la sera dopo cena, leggendo un buon libro riscaldati dal braciere. Avevano preso l’abitudine, negli ultimi anni, di mettersi schiena a schiena a leggere, per risparmiare sulle candele. Quella sera, però, Nany aggiunse alla coppa di vino per il suo maestro una dose abbondante di valeriana, di melissa e un pizzico della rara passiflora, pianta che era giunta lì da un remoto posto a Est e ottenuta dopo un’estenuante trattativa con il monaco erborista.
Spalla a spalla si misero a leggere, interrompendosi a vicenda con i passaggi che ritenevano più interessanti, ridendo e discutendo, come sempre. Dopo circa un’ora, però, Elios cominciò a ciondolare la testa e poco dopo Nany l’aiutò a stendersi con la telecinesi, per non tradirsi. Poco dopo la ragazza fissò il maestro dormire profondamente.
«E adesso, maestro, scopriamo un po’ i tuoi segreti», annunciò decisa e con queste parole gli tolse la fibula.
Se non fosse che era già in terra, ci sarebbe finita per lo shock.
Impiegò un tempo indefinito per calmare il cuore galoppante e il respiro, osservando la corta barba blu notte, dello stesso colore dei capelli. La pelle invece aveva lo stesso tono blu-violaceo del cielo al tramonto. Non riusciva a credere ai propri occhi.
Pose la fibula sul suo petto, ma non accadde nulla. Aggrottò la fronte. Che avesse esaurito il suo potere magico? Poi ricordò. Un giorno era stata lei a svegliare il suo maestro, alcuni anni addietro. Ricordava di averlo preso in giro per giorni per essersi messo la fibula sulla tunica corta che usava per dormire. Scostò un lembo della tunica e posò la fibula sulla pelle del collo e il miracolo si compì sotto i suoi occhi: Elios non era più quella creatura aliena, mostruosamente bella, ma di nuovo l’uomo che conosceva. Deglutì spiazzata. Lo carezzò dolcemente e la fibula cadde, perdendo il contatto con la pelle dell’uomo, rivelando ancora il suo reale aspetto.
Nany singhiozzò, abbassando lo sguardo sulle proprie ginocchia e allora vide la mano di Elios abbandonata vicino alle sue gambe. Aveva solo quattro dita.
Guardò il vero volto del suo maestro e tutti i pezzi del mosaico andarono al loro posto.
Comprese anche la visione avuta al lago anni prima, quella che aveva visto era Cassandra, nel suo vero aspetto.
«Certo che devi sempre incasinare le cose in grande stile. Questo ti ha detto Arianna, quell’unica volta che è venuta qui. Ora capisco cosa intendesse, maestro. Sai? Non posso darle torto!».
Nany ridacchiò tra le lacrime, poi con un sospiro gli rimise addosso la fibula. «Anche se blu resti sei stranamente affascinante, io ti preferisco così», sussurrò a quell’illusione che conosceva e amava. Gli carezzò i capelli, poi ricacciò indietro le lacrime e si predispose a leggere di nuovo tra i suoi ricordi. Ora era pronta. Gli toccò le tempie, si concentrò e infine scese nei ricordi di Elios, ricordi antichi, di mille e più vite fa e tutto acquisì un senso.
Tremò intravvedendo tutti gli eventi che legavano quelle cinque persone, ma non si perse nel vortice delle immagini e continuò a seguire a ritroso le loro vite passando per l’ultimo incontro durante il quale erano presenti tutti e quattro: la morte dell’imperatore Costantino. Omar non c’era.
Omar comparve poi durante una riunione di tutti loro, in cui sembrava per lo più l’accusato. Zarich gli puntava un dito contro e Nany percepì il dolore di Elios nello scoprire un segreto di quell’amico che chiamava fratello. Era il dolore di chi si sentiva tradito. Omar se n’era andato con aria afflitta, Nany non avrebbe mai dimenticato quello sguardo d’argento offuscato dal dolore e dalla stanchezza per la vita. L’ultimo incontro prima della morte di Omar.
Li rivide in un luogo assolato, poco distanti dal deserto, stavano partecipando a un funerale ed Elios era il padre del defunto, il cui corpo non giaceva in quel sarcofago. Altre scene si succedettero fino ad una soffitta nella quale i cinque parlavano con un soldato in armatura, i suoi vestiti non erano quelli dell’esercito di Costantinopoli, erano di un’epoca più antica. Poi li rivide ancora insieme alla fine di una cruenta battaglia e poi Elios e la donna dai capelli rossi su un’isola, abbracciati come due amanti.
Lo vide spietato terrore del Mare Nostrum navigare e assaltare altre navi, lo vide schiavo ai remi, lo vide nel deserto egiziano sedotto da una dea. Nany continuò il suo viaggio tra i ricordi del suo maestro, di suo padre, fino a quando giunse al momento in cui le vite di quei cinque si incontrarono per la prima volta. Vide l’immane esplosione della sua terra natìa e patì il dolore di Elios, la perdita delle persone a lui care e, in un vortice incontrollabile vide i volti delle sue tre mogli e quelli dei figli. Sentì i sentimenti che Elios nutriva nei loro confronti, venne sommersa dall’odio per una di loro, la passione focosa per la più giovane e l’amore profondo per colei che scaldava il suo cuore.
E poi vide l’isola, che non esisteva più, in cui era cresciuto orgoglioso e amato. Anzi, era un arcipelago di isole a formare cinque cerchi concentrici, un labirinto fortificato di canali di accesso a un’isola centrale su cui svettavano dodici torri sottili ed eleganti, di un’altezza vertiginosa, almeno tre o quattro volte l’altezza della torre di guardia in cui vivevano. Queste coronavano l’isola a intervalli regolari, circondando un palazzo sontuoso, di marmo bianchissimo e oro, che si ergeva poi in torre alta almeno il doppio delle dodici sorelle, accanto alla quale svettava una statua colossale di Poseidone nell’atto di emergere dal mare, tutta in zaffiro, smeraldo, argento, lapislazzuli e oro.
Un nome le sorse spontaneo alle labbra, ma non lo pronunciò. Riaprì gli occhi, riscuotendosi e interrompendo il contatto mentale. Nany sentì la testa girare… cercò di resistere e di staccare le dita dalle sue tempie, ma aveva esagerato e la stanchezza fu più forte di lei. Fallì nel tentativo crollando svenuta sopra di lui.
Il mattino seguente Elios si svegliò con la figlia addormentata sopra di sé. Sorrise per la bocca impastata, erano parecchi decenni che non dormiva così profondamente.
PADRE E FIGLIA
Tre anni dopo.
Terminata la cena, Elios e Nany si ritirarono, alcuni nobili tornarono alle proprie case nella valle mentre gli ospiti che avrebbero dovuto affrontare un lungo viaggio vennero accompagnati alle stanze approntate per l’occasione. Gli operai erano già ritornati al villaggio e non vi era nessun altro quando il princeps e sua figlia uscirono per dirigersi alla torre attraversando il giardino. Camminando alla luce della luna i due iniziarono a parlare tra loro di quello che li avrebbe attesi di lì a poco, delle difficoltà che li aspettavano e della forza che aveva appena ottenuto il loro casato con la vittoria di quella che agli occhi di molti poteva sembrare solo una piccola scaramuccia di confine. Per le genti di quei luoghi, però, era una vittoria importantissima.
«Padre ho sentito raccontare dai soldati che hai guidato l'esercito in modo esemplare e che hai ispirato il popolo a combattere». Elios fece finta di nulla, ma Nany continuò presa dall'entusiasmo e dalla gioia. «Porti lo stesso cognomen del primo re che riunì l'Armenia e fondò Tigranocerta, potresti ottenere dall'imperatore la tutela di tutta l’Armenia».
«Meglio di no, parlare di certe cose potrebbe constarci caro di questi tempi. L'imperatore ama i bravi condottieri, non gli eroi che potrebbero oscurarlo».
Lei si fermò un istante a guardarlo poi comprese e decise di cambiare discorso e lo fece con il tono tipico della ragazza che rimprovera il proprio padre per una mancanza grave: «Sto invecchiando e sono ancora senza marito, Elios».
«Non è colpa mia se hai rifiutato anche gli ultimi due pretendenti».
«Non vuoi capire, padre?», chiese lei, grave.
Elios rimase alcuni istanti in silenzio poi si voltò a guardarla, ormai Nany era diventata una donna molto bella e anche molto saggia. Non aveva avuto difficoltà a ricevere numerose offerte di matrimonio, ma le aveva sempre rifiutate tutte ed Elios temeva che fosse ancora infatuata di lui, o, peggio, che il suo fosse divenuto un amore più tenace.
«Speravo ti fosse passata», esordì con tono cupo.
Nany ridacchiò, rivelando la celia. «Comunque, prima o poi dovrai accompagnarmi all’altare, no? Meglio sbrigarsi visto che ho già ventiquattro anni. Nessuno vuole una vecchia zitella!».
«Tu sei invecchiata Nany, io no».
«Lo so, tu non puoi invecchiare. Come non lo possono fare Zarich, Arianna e Cassandra».
Elios si voltò allarmato a guardarla sorridergli con falsa innocenza, cambiando espressione in un istante. Elios avrebbe riconosciuto quell'espressione saputa in mezzo a migliaia di altre donne.
«Te la ricordo molto?».
Elios capitolò comprendendo che lei sapeva moltissime cose di lui, anche se non riusciva a comprendere come vi fosse riuscita.
«Sì, piccola, più cresci e più le assomigli».
«E anche questo è un problema per te, vero?».
«Tu non sei lei e io non sono più l’uomo di un tempo. No, non è questo il problema». Elios fissò le stelle brillanti nel cielo, rimanendo in silenzio per molto tempo. «Più passerà il tempo, più diventerò un pericolo per te e non posso portarti con me».
Nany sorrise comprensiva guardando la vallata buia e spettrale sotto di loro, illuminata dalla luna.
«Non puoi portarmi con te perché non hai una dimora fissa? Perché vai a trovare la tua dea in Egitto e lei sarebbe gelosa al vederti arrivare con una ragazzina come me?».
Elios si voltò a guardarla sorpreso da quanto lei avesse scoperto.
«Oppure vuoi solo scappare da me e dalle persone alle quali ti stai affezionando e non vuoi vedermi morire come sono morti i tuoi figli?».
Elios gelò dinnanzi all’ultima domanda, la voce della donna non era salita di tono, ma lui percepì l’accusa. Più passava il tempo e più Nany assomigliava a Cassandra.
«Mia piccola Nany…».
«Non sono più piccola! Sono cresciuta se non te ne sei accorto!». Riprese fiato cercando di calmarsi, ma ormai sentiva la rabbia montarle dentro. Nany inspirò a fondo ed espirò lentamente, riuscendo a controllarsi come lui le aveva insegnato.
Elios l’abbracciò in un impeto di affetto e di dolore che aveva cercato di nascondere negli ultimi mesi, da quando aveva realizzato di doverla lasciare.
«Padre, lascia che respiri il tuo profumo per questa notte affinché me lo possa ricordare per sempre».
Entrarono in casa.
***
Nany si svegliò da sola nel letto della torre, stringeva un cuscino nell'illusione che fosse il corpo di Elios. Durante la notte avevano parlato a lungo per poi cadere addormentati abbracciati, come capitava spesso quando lei era ancora una ragazzina. Elios le aveva raccontato tutto di sé, completando un mosaico che aveva iniziato a costruire nella sua testa una notte di alcuni anni prima. Aveva scoperto di essere sì discendente di Cassandra, ma anche di Omar – per via dell’egiziano amato dalla sua antenata. Era morto da quasi un secolo, motivo per cui lei non lo aveva mia visto.
Questa sua doppia discendenza era la causa per cui lei aveva gli occhi bicolori, così come li avevano avuti anche sua madre e sua nonna. Scoprì quindi che dell’aspetto degli Atlantidei il colore degli occhi era l’unico dominante a testimoniare l’esistenza di una civiltà divenuta mera leggenda. Le aveva parlato anche di Atlantide, ma non si era tolto la fibula per mostrarle il suo vero aspetto e lei non l’aveva chiesto, lasciandogli l’illusione di quell’ultimo segreto.
La giovane si levò dal letto, spalancò le imposte e lasciò che il calore del sole la scaldasse nella speranza che il gelo che sentiva dentro scomparisse, ma non fu così. Voltatasi verso il letto vide un luccichio sulla panca e raccolse l'anello che Elios vi aveva lasciato assieme a due pergamene. Nany fissò l'anello notando che non era quello di suo padre, ne aveva fatto incidere uno apposta per lei con il simbolo della sua familia, la tigre che erompeva da un’onda.
Nella prima lettera Elios la salutava con affetto, augurandole la felicità che ogni padre si augura per la propria figlia mentre la seconda era la lettera dell'imperatore di Costantinopoli che la riconosceva come legittima erede del princeps Tigrane per i titoli, le terre e il potere di amministrare la giustizia per proprio conto.
Con l'anello al dito Nany uscì sulla terrazza della torre e si fermò a guardare la valle sotto di sé, quell’anello e il foglio dell’imperatore la riconoscevano come padrona di quelle terre. Ma era una donna ed era sola. Era tempo di trovarsi un marito che l’affiancasse nel ruolo di guardiani di quelle terre, come le aveva insegnato il suo maestro.
Suo padre.
***
Nany sentì del pelo ispido sfregarle la gamba nuda e una lingua ruvida le leccò il polpaccio mentre lei insisteva a restare in piedi stringendo le mani sull'asta di legno della terrazza.
«Se n’è andato».
L'unica risposta fu un uggiolio provenire dal basso, di fianco ai suoi piedi.
«Elios mi ha insegnato molte cose, e mi ha sempre trattata come una figlia. Non dimenticherò mai quella frase che mi ha detto una sera che ero scoraggiata».
Nany s’inginocchiò a carezzare la testa dell’enorme lupo grigio accucciato ai suoi piedi. L'animale sollevò il capo sentendo che la donna lo stava rendendo partecipe dei suoi pensieri come era spesso accaduto in quegli anni.
«Sai cosa mi disse, quella sera, il mio maestro?».
Il lupo si fece attento e i suoi occhi gialli brillarono di attenzione perdendosi nei suoi.
«No, non c’eri quella notte, ma lui mi disse che Plinio, uno scrittore antico, aveva scritto: “male opera chi dimentica ciò che ha imparato”. E non dimenticherò quello che mi ha insegnato».
Il lupo guaì in risposta, per poi fare un unico abbaio. Nany lo gratificò di molte carezze sul muso e sul collo, sorridendo tra le lacrime, poi gli rispose: «No, non tornerà. Adesso sta andando dalla sua dea per riposarsi e trovare conforto».
Il lupo ululò piano e Nany sorrise divenendo ancor più bella.
Da quel giorno Nany sostituì il padre alla guida del castello e la gente della valle l'amò come aveva amato suo padre. Qualche ubriaco disse in seguito di averla vista spesso passeggiare di notte con un lupo al fianco e parlare con lui, ma nessuno gli credette mai.
***
La nave mercantile attraccò al porto di Caralis all'alba, l'unico passeggero aveva pagato profumatamente per farsi imbarcare e salì sul ponte quando furono terminate le operazioni d'imbarco. I marinai lo seguirono con lo sguardo mentre scendeva sul molo per avviarsi verso il porto. Era vestito come un qualunque viaggiatore dell'impero, ma i consigli che aveva distribuito in quei giorni di navigazione gli avevano fatto guadagnare il rispetto di tutta la ciurma, aveva dimostrato di avere più conoscenze delle navi dello stesso comandante e del suo secondo messi insieme.
In fondo alla banchina una giovane lo stava aspettando e gli andò incontro solenne nella semplice veste nera lunga fino ai piedi. I due si fissarono rimanendo ad un passo l'uno dall'altra.
«Salute Elios, come mai da queste parti? ».
«Mi sei mancata».
Lei si sforzò di sorridere. «Lo so».
«Cosa ci fai qui?».
La giovane donna dalla pelle scura e i lunghi capelli neri gli sorrise sbarazzina e lui sentì il cuore mancare un battito.
«Veramente lo avevo chiesto prima io… ma sarò generosa». La giovane gli prese la mano e si voltò incamminandosi seguita da Elios che non riusciva a starle dietro.
«Me ne sarei dovuta andare già da tempo, ma ho voluto aspettarti. Sono tempi difficili per noi, con il Cristianesimo tutto sta cambiando».
«E quindi?».
«Quindi… non lo so».
Elios la guardò stupito. «Non lo sai? Tu? Che razza di dea sei?».
Bastet ridacchiò, stringendosi nelle spalle. «Una dea ormai spodestata ed esiliata, in cerca di un porto sicuro. Hai qualche idea?».
«Forse. Un po’ fuori, a nord-ovest, dovrei avere ancora qualche terreno e una casetta».
Bastet sorrise, lieta. «Sarà un po’ come tornare alla nostra vita a Bubastis, eh?».
Elios le carezzò il viso, dedicandole un sorriso triste. «No, non sarà mai come a Bubastis. Per me sono passati duecento anni mentre tu sei sempre uguale. Ma sarà lo stesso bello».
Bastet gli rivolse uno sguardo di sfuggita, ridendo. «Vuoi dire che sono sempre la stessa ragazzina che pensa solo a divertirsi? Se pensi questo sappi che sono cambiata anche io».
Vedendola rabbuiarsi Elios le porse il braccio e lei lo condusse verso una nave che stava per salpare riprendendo subito il suo carattere gaio.
«Hai ragione, Elios sarà una nuova avventura».
Elios sorrise scuotendo la testa rassegnato, non era cambiato nulla. Più di duecento anni che non si vedevano e lei era sempre la ragazzina entusiasta e la dea che lo anticipava in ogni pensiero.
Quando arrivò sul ponte Bastet si rivolse al comandante.
«Capitano, salpiamo!».
«Subito signora, alzate le vele si parte!».
La prima vela fu lasciata cadere e Elios rimase basito nel vedere l’enorme occhio che era stato dipinto su di essa.
«Avanti cani del mare, siete sull’Occhio di Horus non su una nave di marinai d’acqua dolce».
La nave lasciò il porto di Caralis con la prua a Nord mentre un vento costante soffiava a loro favore e il sole alto nel cielo illuminava quel mare e sua figlia che salpava per una nuova vita finalmente libera di vivere con l’unico uomo che avesse mai amato.