Pietre, L'asino Onnigrafo Magazine

Pietre, L'asino

Le tende di lino intagliato si gonfiavano con gli sbuffi dello Scirocco caldo. Dalla finestra più alta il mare era una perfetta tavola azzurra su cui brillava il sole, che ormai si avviava a scendere sotto l'orizzonte. Quel mare così vicino, eppure così sconosciuto. Cosa avrebbe dato per sentire nella sua bocca di cosa sapesse quell'acqua. Le dicevano che era salata, e che la sabbia e il sole assieme alla salsedine avrebbero potuto rovinare il suo incarnato delicato. Era sconveniente ad una nobile andare al mare. Mai vista una cosa simile. L'aria le faceva bene e le finestre aperte le permettevano di riempirsi i polmoni. Era sufficiente. Mica era più bambina e doveva giocare! Che poi non si ricordava di esserci stata nemmeno da bambina.
Poi quell'incarnato. Delicato non so per chi lo fosse. La pelle era ambrata nonostante l'unico sole che conoscesse era quello di un cortile che attraversava per pochi minuti al giorno. I capelli lunghi neri e folti si aggrovigliavano in riccioli ribelli e disordinati. E le sue mani apparivano quasi tozze, così come i suoi piedi, che correvano sempre scalzi nelle stanze del castello, e a fine giornata erano neri di polvere e ruvidi.
Ma la leggenda vuole che la principessa fosse così bella da diventare superba e non ritenere nessuno all'altezza di sposarla.
Bella era bella si. Ma nulla a che vedere con i libri di favole pieni di bionde e diafane principesse dai modi gentili e angelici.
Maria era la principessa di un paese pieno di campagne e contadini. Con pochi gioielli e pochi vestiti di broccato e seta. Aveva un sorriso gentile e uno sguardo acuto e intelligente. Lunghe ciglia nere facevano da cornice ai suoi occhi di un verde salmastra brillante.

L'estate era lunga e calda. Iniziava presto il caldo rovente. Già a maggio la zappa faceva sudare i contadini nei campi. Le giornate scorrevano lente tra un sonnellino, un ricamo, un frutto maturo portato alla bocca.
Alle cinque del pomeriggio chiedeva di poter andare nella stanza della torretta. Era una stanza lunga e stretta dalla quale si arrivava da una torre laterale. La parete aveva diverse finestre che davano sulla strada principale del paese. A quell'ora la gente tornava dai campi e lei restava timidamente dietro le tende a guardare le persone passare.
Ultimo ad arrivare era sempre un giovane contadino. Il suo arrivo era preceduto dal rumore degli zoccoli di un asino, si sentivano già a molta distanza, a volte uno zoccolo scivolata sulle pietre lisce della strada. Era alto quel giovane in confronto agli altri uomini che aveva visto in paese. La pelle del viso e delle braccia bruciata dal sole. L'asino era sempre carico di qualcosa e lui lo precedeva a piedi, tenendo la corda che lo legava.
Maria restava alla finestra senza sporgersi. Il vento caldo le riempiva le narici e l'agitazione la assaliva.
Il giovane era lì, visibilmente stanco camminava con lentezza lungo la strada che andava leggermente in salita.
Un pomeriggio come tanti altri però si fermò, si tolse il cappello e si asciugò la fronte con un fazzoletto lercio tirato fuori dalla tasca dei pantaloni. I suoi capelli erano di un nero brillante bagnati di sudore. Ed i suoi occhi per un attimo incrociarono quelli di Maria.
Quella giovane e inesperta principessa priva di etichetta trasalì e fuggì via sbattendo la finestra.
Ma il giorno dopo era di nuovo lì. Alla stessa ora passò il giovane, alzò il capo per vedere furtivamente se la ragazza fosse dietro alle tende. Stesso gesto: si tolse il cappello, si asciugò il sudore e se ne andò.

Settimane intere di appuntamenti insoliti. Maria si pettinava davanti allo specchio e si lisciava i capelli che poi tornavano a gonfiarsi perché lei si agitava e sudava nell'attesa, non guardava più la gente passare ma correva frenetica da una parte all'altra della stanza in attesa di sentire l'asino.
Non una sola parola. Mai. Ma la tenda ogni giorno veniva scostata un po' di più e gli sguardi si fecero meno timidi. Fino a quando il giovane si tolse il cappello e fece il gesto di salutarla con un goffo inchino. Maria allora aprì le tende del tutto.  E c'è chi dice che si aprì anche una porta nei giorni successivi. Perché quella torre dava sulla strada principale tramite una scaletta.
E Maria cantava tutto il giorno nel castello e abbracciava le persone che le passavano accanto. E al tramonto aspettava lo scalpiccio di un asino e la notte si infilava furtiva in qualche stanza. Era un castello di paese, non c'erano guardie a sorvegliare la pace.

Poi arrivò la fine di ottobre. La vendemmia era finita e le campagne davano respiro alla gente che ora poteva pensare a fare anche altro.
E ci fu una domenica in cui la principessa andò a messa con la famiglia. La prima messa della domenica era solenne e privata solo per la famiglia regnante che non poteva mischiarsi con il popolino. E dopo la messa, delle ragazze con sorrisi allegri portarono dei fiori bianchi in chiesa.
Salutarono con reverenza e li sistemarono sull'altare.
"Per cosa sono questi fiori?" Chiese Maria.
"Per il matrimonio di Caterina con Salvatore signora".

Di salvatori ne è pieno il mondo. E ne era pieno anche il suo paese. Mai a pensare che fosse il suo Salvatore.
E davanti alla chiesa arrivò un giovane ben vestito accompagnato dal suo fedele asino bardato anche lui a festa con fiori e uva. E a Maria, con la morte nel cuore e gli occhi gonfi di pianto, ora che oltre al suo amore aveva perso anche la sua virtù, non restò che diventare superba, che a dire zitella pareva brutto.